ANCORA SUL PORNO, OVVERO DAL WEB ALLA CARTA E RITORNO

Sono tornata, Berlino era bellissima, ho un preoccupante mal di gola e poco  tempo. Ieri, sul quotidiano, è uscito un pezzullo della sottoscritta che riprende e rilancia molte delle discussioni avvenute qui. Vi posto la versione estesa, poi torno e racconto, promesso.

In un Dizionario della
pornografia
si possono chiarire molti dubbi. Per esempio, si scopre che
l’amplesso più antico è stato ritratto su un bassorilievo babilonese
quattromila anni fa, che i manga pornografici si chiamano hentai e che
il primo afrodisiaco di cui si ha traccia (fiori polverizzati) venne offerto al
dio Shiva. Ma quello appena tradotto in Italia a cura di Roberto Marro e
pubblicato per i tipi CSE (pagg. 581,
euro 38,00) contiene molto più della semplice elencazione di atti, posizioni,
rappresentazioni del sesso.

Uscito in Francia nel 2005 a cura dello scrittore Philippe Di
Folco, il Dizionario della pornografia analizza infatti gli spostamenti
del desiderio e la mutevolezza delle immagini che gli danno forma: è, insomma,
una raccolta di brevi saggi storici, filosofici, sociologici, dove, accanto alle voci “tecniche”, appaiono quelle assolute: la bellezza, il
male, il femminile, la lussuria.

Più che un dizionario, una cartografia: compilata da estensori di diverse provenienze e spesso di parere
opposto. Se, per esempio, la voce
“Oltraggio alle donne e all’uguaglianza” è firmata da una celebre nemica del
genere come Catharine McKinnon, (la giurista americana che negli anni Ottanta
chiese di vietare la pornografia in quanto linguaggio che esercitava un reale
potere oppressivo), sotto “Femminismo” vengono riportate anche le posizioni di
chi, come Nadine Strossen, ha ritenuto che per le donne il divieto fosse più
opprimente del porno medesimo.

Il problema è che definire la pornografia è diventato
difficilissimo, e che nulla resta dell’originaria chiarezza: perché i due
termini, porne e graphein, indicavano la pittura delle
prostitute, in cui eccelleva Parrasio di Efeso e di cui si dilettava, fra gli
altri, l’imperatore Tiberio. Quindi, per un lunghissimo periodo, la parola
viene utilizzata quasi esclusivamente al negativo, per prescrivere discorsi e
immagini relativi al sesso e al corpo. Infine, e siamo ai giorni nostri, si
arriva non solo al consumo di massa, ma all’autoproduzione da parte delle masse
medesime. Nonché alla quasi impossibilità di capire cosa sia pornografico e
cosa no: perché, come ricorda il prefatore Jean-Claude Carrière (che, per
inciso, è stato lo sceneggiatore di Luis Buñuel), i confini si spostano continuamente.

Gli esempi, scorrendo voce per voce, sono innumerevoli. In
alcuni casi si tratta di evoluzioni di riti e convenzioni del passato. Così, i
diretti discendenti dei giovani Baruya della Nuova Guinea, rinchiusi dai nove
ai ventuno anni nelle “case degli uomini” sotto la sorveglianza dei più
anziani, sono i civilizzati maschi contemporanei: quelli, almeno, che
confermano una “omosocialità” separata dal femminile affiggendo nei luoghi di
lavoro calendari di nude bellezze, in quanto simbolo – sostiene il sociologo
Thomas Guénichon – della “specificità e solidarietà” del gruppo. Laddove, per
consolidata prassi pornografica, “l’unica donna autorizzata a partecipare alla
socialità maschile è la prostituta”.

Con evidenza lampante, poi, il porno trasmigra nei media
generalisti. E se il quotidiano Libération, nell’agosto 2004, illustra
tranquillamente un articolo con la foto di una penetrazione, la pubblicità
arriva a citare con frequenza ormai altissima posizioni e varianti del sesso: è
il caso di una nota marca di gelati, ma anche di quella linea di abbigliamento
giovanile che sta or ora tappezzando le città italiane con l’immagine di una
modella – sia pur vestita – che simula la masturbazione. Quanto alla
televisione, nel dizionario viene individuata senza mezzi termini come “il
mezzo pornografico per eccellenza”. Le prove? Nell’idea di reclusione e di
ripresa in tempo reale degli atti dei reclusi che è il fondamento dei reality
(i quali, peraltro, usufruiscono delle stesse luci “a doccia” del cinema
hard-core). Ma anche talk-show e
telefilm, sostiene il documentarista
Tancréde Ramonet , hanno fatto proprio il dispositivo principe della
pornografia, quello che è a monte dello stesso atto sessuale: “trivialità della
situazione, impudicizia di chi si esibisce e indecenza dello sguardo del
voyeur”.

Poi, certo, c’è il mercato ufficiale, in continua e decisa
espansione soprattutto in due canali: web e home video. Cose note, è vero, ma
con una tendenza di notevole interesse: perché quello che si va affermando è il
prodotto amatoriale, vero o falso che
sia. Laddove, cioè, è l’industria ad
inseguire i prodotti di quelli che un tempo erano i consumatori: se tra i video
più visti di Internet ci sono quelli che riprendono un rapporto sessuale fra due persone comuni, o quasi (si
pensi al ricercatissimo filmato sulla prima notte di nozze della pattinatrice
Tonya Harding o a quelli che hanno fatto di Paris Hilton una star), il porno
professionale simula la verità con il cosiddetto filone gonzo, che ruba
il nome alla letteratura e ai reportages anti-giornalistici di Hunter
S. Thompson. Gonzo è la pornografia senza pretesto di sceneggiatura, con
luci casuali, inquadrature sbagliate ad arte, protagonisti dai corpi
imperfetti: si è andata affermando negli ultimi vent’anni, e al momento il vero
e il finto amatoriale tendono a confondersi.

Solo che
il porno è arrivato prima, in questa generale ricorsa fra produzione
industriale e produzione dal basso che sta attraversando tutto il mondo della comunicazione e
dell’immaginario (i videoclip di Youtube, le fan fiction, i blog e via
elencando). E lo ha sempre fatto ogni volta che un nuovo medium si affacciava
sulla scena: alla voce “democrazia”
scopriamo infatti che nel 1855, meno di vent’anni
dopo l’invenzione di Daguerre, si potevano trovare dagherrotipi di contenuto
sessuale, o che il primo utilizzo di massa delle Polaroid furono gli autoscatti
erotici. Di più: come sosteneva Wu Ming 1 in una recente discussione sul web, “tutte
le metamorfosi produttive ed espressive del cinema degli ultimi trent’anni sono
avvenute prima nel porno: il passaggio dalla pellicola al nastro magnetico, con
conseguente passaggio dalla sala all’home video; il passaggio dall’edicola alla
rete; la messa in commercio di cd-rom prima e dvd poi; l’e-business. Ed è importante e per nulla banale capire per tempo che
una tecnologia pensata per altri scopi sta per essere piegata ad un utilizzo
fai-da-te che mette in crisi i rapporti di produzione e proprietà all’interno
dell’industria culturale”.

16 pensieri su “ANCORA SUL PORNO, OVVERO DAL WEB ALLA CARTA E RITORNO

  1. E’ davvero interessante questa tendenza del professionale di fingersi amatoriale.
    All’inizio erano i “cut” dei film importanti, le scene mal riuscite, le inquadrature sbagliate che (con il consenso o meno dei loro creatori) venivano messi on line nei siti gratuiti.
    Poi è subentrato un interesse quasi fetiscista per l’amatoriale.
    I siti porno hanno ampliato le loro sezioni “amateurs” perchè la richiesta di pornografia non patinata, senza tette al silicone o membri di dimensioni siffrediane, è diventata pressante ed anche urgente.
    Qui, credo, entri in scena il gonzo.
    Su PornoTube è facile trovarne molto.
    Sembrano filmati fai da te ed invece sono produzioni vere e proprie, un’ennesima branca dell’infinito mercato del porno.
    Mi resta sempre una domanda: è la gente che chiede il porno per suo interesse/necessità oppure è l’industria del porno che fa diventare necessità/interesse il prodotto che deve vendere?
    Magari di risposte ce ne sono, ma rimane il dubbio di come una cosa così antica (ed utilizzata) come la pornografia possa essere ancora così richiesta e necessaria.

  2. Ciao Loredana, ben tornata.
    Al tuo interessante articolo aggiungo una considerazione tratta dal libro di Ugo Volli, “Figure del desiderio” (Cortina, 2002).
    Ciò che tu dici (e la tua lettrice Isabella riprende) sul ruolo anticipatore della pornografia è talmente vero che oggi possiamo dire che il paradigma della pornografia informi di sé tutta la cosiddetta comunicazione “virtuale”.
    Il meccanismo di base della pornografia prevede infatti l’assenza dell’oggetto reale del desiderio (la persona in carne e ossa) e la soddisfazione del desiderio grazie alla rappresentazione visiva dell’oggetto assente.
    Di qui la circolarità: la pornografia permette la soddisfazione (obliqua), di un desiderio che essa stessa suscita; o, se si vuole, suscita un desiderio solo per soddisfarlo obliquamente (ho ripreso più o meno le parole di Volli).
    Ciao

  3. Non per complicarvi la vita (o forse si): secondo la teoria del desiderio mimetico di René Girard il desiderio è sempre triangolare: il desiderio è indirizzato dal mediatore (ad es. la persona amata, o il suo ideale) verso l’oggetto, che in quanto tale diventa degno di essere desiderato. Il che porta a concludere per la minore rilevanza della presenza/assenza, e per il carattere fantasmatico di ogni desiderio, che finisce col non differire molto dalla fantasia messa in atto in presenza dell’oggetto (o dell’amat@). Ovviamente l’oggetto può essere a sua volta una persona in carne ed ossa, oppure un fantasma. Probabilmente è Lacan spiegato meglio (la sua lettura dello schema freudiano in “Psicoanalisi delel masse”), ma Girard lo negherebbe (e comunque perché dir di no a uno che ti spiega Lacan?). E mi sembra che Zizek, sotto sotto, non dica altro (ma riesce a dirlo con paroloni talmente alti da sembrare profondissimo, dunque novissimo…)

  4. Penso che i “pretesti” (quindi sceneggiature traballanti, momenti kitsch e cliché vari) siano e resteranno un contorno importante e caratterizzante. Sarà interessante poi vedere come conviveranno e come cercheranno di conciliare questa richiesta di “bassa qualità” (seppure confezionata ad arte, ecc.) e amatorialità con l’imminente arrivo in tutte le case di TV e lettori ad alta definizione, quale sarà la reazione del mercato.

  5. @ Giro.
    Nessuna complicazione, figurati: d’accordo sul carattere fantasmatico e sempre intermediato del desiderio. Ovviamente.
    Il problema è la circolarità di certi intermediari…
    Ri-ciao

  6. Cara Loredana, oggi da accordo preso Biondillo mi ha postato su NI un raccontino omopornosoft – solo che ne ha tagliato ben 3 righe: cosa pensi?
    Dario Borso

  7. @girolamo
    “il desiderio è indirizzato dal mediatore (ad es. la persona amata, o il suo ideale) verso l’oggetto…”
    non ci ho capito assolutamente nulla. Il “mediatore”, ossia la persona amata, indirizzerebbe il desiderio verso l’oggetto? (che oggetto?) E ciò renderebbe l’oggetto misterioso degno di essere desiderato? Inoltre non credo di essere più consapevole della presenza assenza tanto meno del carattere fantasmatico…
    pensa se citavi Lacan…

  8. @ ferrigno
    faccio ammenda, mi è scappata come se parlassi ad addetti ai lavori, il che evidentemente non va bene: sfiora la mancanza di rispetto verso gli interlocutori, e li appiattisce su quel paio di persone che sanno di cosa sto parlando.
    Provo a riformularla.
    L’idea di Girard è che tu, desiderando un oggetto (credendo di desiderarlo), in realtà sei imprigionato in una relazione con un modello (dall’amat@ al capo carismatico, al modello sociale di riferimento: per Girard c’è sempre un modello) che ti indirizza verso l’oggetto. In questo senso il modello media il desiderio: desiderare l’oggetto è una forma di imitazione (inconsapevole) del modello (il “desiderio mimetico”). Tu ritieni desiderabile l’oggetto (che può anche essere un’idea o un ideale politico) che in realtà è indicato dal modello/mediatore. Anche un rapporto a due è, per Girard, triangolare: io, l’altr@ e il modello ideale dell’altr@. In questo senso, poiché io sono sempre in relazione non solo col corpo fisico dell’amat@, ma anche col fantasma di quel corpo (le fantasie erotiche, ecc.), è meno importante di quanto sembri che il fantasma erotico sia accompagnato dalla preenza o meno dell’altr@. In parole povere, crediamo di relazionarci con l’altr@, ma in realtà abbiamo a che fare col suo fantasma.
    Sul piano politico: io desidero “spontaneamente” ciò che il mio modello (dal ere Sole al leader carismatico) indica come degno di essere desiderato.

  9. Molto interessanti le sue riflessioni. Mi piacerebbe, un giorno, dialogare con lei riguardo all’Arte dell’Erotismo che, come maiko, cerco di apprendere.
    Un caro saluto.
    Mitsu

  10. Considero il porno una sorta di prostata della società, ad una società occidentale sempre più gerontofila corrisponde una “prostata” altrettanto vetusta. Il porno è semplicemente l’apologia del piacere, è l’androne nel quale molta parte dell’industria, mediatica e non, si è conficcata. Verrà considerata sempre più una tecnica di vendita, un atto di consumo a disposizione del consumismo di massa. La rete è un alveare che trasuda di pornografia, annunci, immagini, siti specializzati, una sorta di religione internautica, la base per molte neonate aziende sulla quale costruire il proprio futuro. La pornografia cerca di infettarsi con la tecnologia attraverso itinerari di circensi trasgressioni, cercando di rifare il palato a coloro che probabilmente cominciano a manifestare segni di sazietà. Ed è proprio contro la sazietà che opera la pornografia, creando neonate trasgressioni, coinvolgendo masse sempre più imberbi. Il messaggio finale è che c’è posto per tutti, tutto è possibile, tutto è consentito, tutto può succedere in questo limitato mondo….

  11. @ eleonore
    che io abbia studiato Girard non implica necessariamente che lo condivida, né che ne segua i dettami: altrimenti, essendo lettore di Delitto e castigo e avendo una vecchia stronza, avara e probabilmente con il materasso pieno di soldi come vicina di casa…

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