Schegge di Fiera. Il suono di miele dei Radiodervish. L’umiltà e il genio di Lorenzo Mattotti (lo confermo anche qui: Hansel e Gretel da lui illustrato è il libro più bello di questi quattro giorni). Scrittori. Supponenti o gentili, disponibili o timidi. La festa per Piazza del diamante di Mercé Rodoreda, libro dell’anno.
Schegge dall’Inghilterra. La campagna “anti-rosa“: avercene.
Schegge di cronaca. Il Papa attacca i mass media e Paolo Fabbri commenta su Repubblica, a Simonetta Fiori. Così:
«È evidente che l´esibizione della sofferenza non deve rimanere solo spettacolo ma deve suscitare una reazione etica», dice Paolo Fabbri, semiologo e studioso della comunicazione. «Ma questa riflessione, prima che dal pontefice, è arrivata da intellettuali come Susan Sontag, che ai nostri sentimenti ha dedicato pagine molto intense».
Benedetto XVI sostiene che giornali, radio e Tv «raccontano e amplificano» il male, con l´effetto di abituarci alle cose più orribili.
«Non direi che i media enfatizzino il male. In realtà essi rappresentano un luogo doloroso, ma vero, in cui gli spettatori possono sperimentare sia il bene che il male. Sono luoghi liberi, non governati da un principio di ortodossia; mentre il pontefice ha una sua dogmatica ben precisa».
L´esibizione del dolore può produrre assuefazione?
«Aristotele sosteneva il contrario. Teorizzava la funzione catartica della sofferenza, ossia un processo di svuotamento e rovesciamento del dolore ottenuto proprio attraverso la sua messa in scena».
È difficile sostenere la qualità catartica di molta spazzatura televisiva.
«Non c´è dubbio. Ma come è possibile sostenere che quella spazzatura ci abitua al male? Non bisogna dimenticare che nei media c´è molta sofferenza e c´è molto disgusto – inteso come il contrario del gusto – ma negli stessi media si può trovare anche una critica del disgusto».
Secondo il Pontefice, c´è anche una sorta di «inquinamento dello spirito» e le persone tendono a diventare «corpi senz´anima».
«Ma qui siamo alle teorie di Emmanuel Lévinas, un filosofo ebreo che ha scritto pagine illuminanti sul volto come incontro con l´altro. La grande metropoli produce anonimato. Sul fenomeno della depersonalizzazione esiste un´ampia letteratura».
Dovrò meditare su quanto dice il signor Fabbri, ma in linea generale credo di non essere d’accordo sull’interpretazione data alle parole del Papa. Non sono una papista, anzi, ho sempre criticato – nel mio piccolissimo ovviamente – gli interventi di questo Papa, per il modo, per il senso, per il gusto, appunto. Ma raccontare la favola che i media ‘rappresentano un luogo doloroso, ma vero, in cui gli spettatori possono sperimentare sia il bene che il male’, raccontare questa favola ancora adesso, in questo tempo, mi pare una rappresentazione piuttosto superficiale. Ma, dicevo, che devo riflettere su molte frasi-
Ho letto di corsa, ma mi pare che nelle parole riportate dal tuo post ci sia una profonda superficialità, se mi perdonate l’ossimoro.
Come si può paragonare lo spiattellamento del dolore sui media al processo catartico aristotelico che avveniva attraverso il teatro? Che poi non era un processo di svuotamento di una generica sofferenza, ma di due precise passioni: la pietà e il terrore, guarda caso, che sono proprio le due emozioni sfruguliate dai media, ma non ‘purificate’.
No, invece mi è piaciuta molto la riflessione che ha fatto Goffredo Fofi proprio a proposito di Mattotti e dei libri cosiddetti del terrore, cito a memoria due frasi: “Rivendicare la coscienza del nero, ritornare a questa selva oscura”. Tornare ed elaborare, appunto, quello che faceva il teatro greco, quello che oggi fanno i cosiddetti noir, horror.
Insomma ho finito King, e sì, quello vuol dire attraversare il terrore, il nostro, quello quotidiano, di noi ‘piccole persone’, per dirla con il grandissimo King.
Scusa Valeria, con ‘nelle parole riportate dal tuo post’ ti riferisci al mio post? Sai, sono talmente imbaaaaaarazzata dai miei pensieri verso il signor Fabbri che ho paura di metterli sulla carta. Non riesco a capire come si possa fraintendere, e direi mistificare, la realtà di eventi che abbiamo sotto gli occhi tutti, ormai. E per questo, il mio disagio nel mettere in riga le tante obiezioni che mi si affollano. Scomodare poi Aristotele per falsificare la realtà, beh, mi sembra di aver già sentito questi tentativi e di averli trovati di poco pochissimo buon gusto.
non ho ben capito: Fabbri “rimprovera” al Papa di non essere originale (visto che Susan Sontang e Lévinas si erano già espressi più progondamente su questi temi)? Bah, anche io non sono papista, magari nemmeno condivido tutto l’ intervento di B.XVI, ma qualche maggior risonanza e la capacità di raggiungere più persone di un suo intervento rispetto ai testi richiamati da Fabbri ci sarà pure no?
@Rosemarie. No, per post, intendevo quello di Loredana.
Insisto. Pensavo che Loredana avesse riportato solo un estratto dell’intervista, invece l’intervista è tutta qui.
A parte che tra ‘esposizione’ e ‘messa in scena’ qualche differenza ci corre, mi chiedo perché uno studioso della cui serietà non dubito affatto si sia prestato a questo scambio di battute così veloci e, tutto sommato, poco sensate.
Insomma è vero che la banalità del male è un rischio grosso, e i media probabilmente ci mettono il carico da dodici, ma pure il male della banalità non è da sottovalutare. Chi può (in senso intellettuale, dico) si dovrebbe sottrarre.
Spero in un approfondimento. Oppure no, magari ci penso da sola che forse è meglio.
Ecco, io opto per la chiosa: esiste ampia letteratura critica sui guasti dei media totalitari (soprattutto la tv) come li conosciamo oggi, il papa fa scalpore perché è sostenuto in maniera fortissima del suo stesso marketing: nessuno sa chi è Levinas oppure McLuhan o Adorno, tutti sanno chi è B16. E ogni volta ci si accapiglia come in una guerra di religione su papa/non papa quando il problema andrebbe spostato su conoscenza/non conoscenza. Oggi, mi sembra, poca conoscenza, poco spirito critico e molta teledipendenza…
Adesso la sparo: la posizione di B16 non vi fa venire in mente critica Wu Minga a proposito de Le benevole di Littel? Quei corpi senza anima come i lettori anestetizzati…
Ciò detto, concordo con Valeria. Paolo Fabbri questa volta ha distillato, presupposto e implicato troppo rispetto a quanto ha enunciato.
Günther Anders, nel suo libro su Kafka, si chiedeva addirittura se non dovessimo “bruciare kafka”, dal momento che la sua letteratura, mentre annuncia e anticipa l’orrore dei lager, ci rende quest’orrore, attraverso la dimensione estetica e letteraria, accettabile.
La risposta di Ander, tutt’altro che scontata, è no: ma il problema è posto. Il punto non è, mi sembra, il ruolo dei media in sé, ma quello del prodotto complessivo (contenuto+ mezzo), e della sua capacità di suscitare domande e/o interrogativi, oppure di assopire o abituare. C’è, ad esempio, un’estetizzazione della violenza mascherata da pseudo-ironia o da gusto del trash o del b-movie che rende accettabile e non-problematica la violenza e, più in generale, l’orrore: e questa è una forma di fascistizzazione, che parte da molto lontano (ben prima della televisione: ricordo che Marinetti non era un mero teorico della violenza, ma un capo-squadrista milanese).
La posizione di Ratzinger è falsamente problematica e critica: la sua alternativa è basata su un principio di autorità e sul valore oggettivo e indiscutibile della “Verità” che al carattere problematico della contemporaneità oppone un pacchetto di rassicuranti certezze, il cui effetto non è dissimile dalle facili e just-in-time risposte del capitalismo globale. In entrambi i casi si tratta di “preservare il popolo fanciullo” dal rischio del pensiero critico, della libera interpretazione, dell’autodeterminazione dell’umano (basta pensare alla “scolastica” di don Giussani, la “educazione secondo testimonianza”, e all’impressionante analogia di questa pseudo-pedagogia con i corsi di formazione per jihadisti rappresentati nel film “Siriana”).
Piuttosto che rifiutare la contemporaneità in tutte le sue forme, io mi chiederei quali possibilità di andare oltre il contemporaneo sono insite nel tempo presente: che è quello che mi sembra abbia tentato di indicare (con riferimenti troppo brevi per il suo abituale stile argomentativo) Paolo Fabbri.
a proposito di fiera, ti dirò, fiero di averti abrazzà !
effeffe
No, scusatemi, qui non si può parlare di don Giussani, di Kafka, di filosofia teoretica, etc.. e neanche si può parlare del Papa e delle sue teorie che possono essere sviscerate o accettate in toto. Qui si sta parlando di becera TV, di esternizzazione del dolore, della assuefazione al dolore (degli altri) anzi, alla indifferenza al dolore (sempre degli altri); qui si parla di violenza che emana da ogni trasmissione: violenza più o mano gridata, più o meno manifestata, ma in ogni caso, violenza, anche psicologica. Quando i sei o sette TG ripetono perlomeno otto volte per ognuno una notizia di violenza con descrizioni sadicamente dettagliate dell’avvenimento, con sottolineanure macabre ripetute fino alla nausea, questa è una violenza che raggiunge masse di cervelli che nè Kafka nè qualunque altro scrittore può raggiungere. Secondo me è questo il centro della questione: libri, giornali, e altri mass media non hanno mai la potenza che ha la TV. Tutto quanto sopra, secondo me!
Io ancora mi ricordo quando il giorno che morì Kubrick, sul tg5 dell’una mi pare, mandarono alcuni spezzoni dei suoi film, e alla vista dell’ascia che in shining colpiva in pieno petto il custode, mia madre cacciò un urlo
da infarto collettivo. Qualche tempo fa poi lessi a mia madre alcune pagine di Hitler di Genna, in particolare quelle sul bombardamento di Guernica, dopo qualche pagina fu lei ad interrompermi perché le trovava insopportabili, complice anche lo stile ansiogeno della scrittura.
Ora, mia madre guarda poca tv, e non entra quasi mai in contatto con la violenza teletrasmessa, se deve vedere un film mi chiede prima se mette paura o no. Io invece ormai con lo splatter detto e mostrato ci pasteggio sopra, e ogni tanto me lo chiedo se sono normale. Per dire Hitler di Genna mi attraeva in maniera indecente, “a colpi di machete” sul genocidio in Ruanda, ad ogni chiusura di capitolo era una sofferenza ma poi ricominciavo, lo stesso per “olocoausto americano” di Stannard.
Per rientrare in tema Michele Serra mi pare ha scritto sulla confusione
tra gli orrori veri e quelli no citando l’ultimo caso di maltrattamenti all’asilo sui bambini e le trasmissioni e i telegiornali che titolavano ASILO LAGER e varie, ricordando che fino a non moltissimi anni fa non è che sui bambini ci fosse così tanto riguardo. A me ad oggi le due trasmissioni più
vergognose paiono le due concorrenti della domenica pomeriggio: Da Giletti a D’urso.
segnalo che sabato 12 dicembre a tarda notte su raitre daranno questo
documentario, io lo vedrò per la prima volta, magari a qualcuno può interessare.
12 DICEMBRE 1969 LO STATO TELEVISIVO DELLA STRAGE: I GIORNI DI PIAZZA FONTANA
Di Ciro Giorgini (1999, dur 60’ ).
Un montaggio di materiali di repertorio realizzato per Fuori Orario in occasione del trentennale della strage, restituisce per intero il linguaggio e la scena televisiva di quei giorni drammatici. Il grigio del cielo di Milano, le pause dei conduttori televisivi, il tono sommesso degli intervistati, e la perdita dell’innocenza si svela attraverso il teleschermo, fino alla notizia della cattura del “mostro” in un tg della sera, quando Bruno Vespa annuncia l’arresto di Pietro Valpreda, l’anarchico ballerino.
@Girolamo. Scrivi: “Piuttosto che rifiutare la contemporaneità in tutte le sue forme, io mi chiederei quali possibilità di andare oltre il contemporaneo sono insite nel tempo presente: che è quello che mi sembra abbia tentato di indicare (con riferimenti troppo brevi per il suo abituale stile argomentativo) Paolo Fabbri”.
Scusami Girolamo, ma per me ‘tentare di dire’ non è abbastanza. Si sta parlando di media e di modalità comunicative, e i dettagli sono importanti.
Un articoletto in cui in cima appare ‘Il semiologo Fabbri’ secondo me va a parare, neppure tanto paradossalmente, nell”educazione secondo testimonianza’ di don Giussani: in sostanza si fa appello alla fiducia che io, lettore, non posso non negare all’autorevolezza di Fabbri.
Di fatto, così come è stata posta la questione sui media, mi trovo di fronte a due ‘ipse dixit’: chi scelgo il papa cattolico o quello laico? Io lettore, o ‘popolo fanciullo’, sceglierò orientadomi in base alla ‘fiducia’ (a meno che io non sia in grado di fare uno scarto critico e cominci a ‘chiedermi’ così come fai tu, filosofo).
E non ha importanza che Fabbri si ponga fuori di quella pedagogia autoritaria, l’importante è l’uso mediatico che si fa della sua autorità (e di quella del Papa: c’è assoluta specularità nel loro uso).
In tutto ciò il soggetto enunciante non è né Fabbri, né il Papa, ma sono i media. E questo a me non pare un dettaglio insignificante.
Come non è un dettaglio insignificante che l’esposizione del dolore avvenga attraverso i media.
Può pure darsi che io sia in odore di mcluhanismo ma insomma questo è quello che penso.
Scusa, Valeria, ma nell’intervista Fabbri non ha un tono apodittico, dice quello che pare a lui, ma non lo pone come principio di autorità. E indica un paio di possibili fonti che, volendo, uno può andare a leggersi (la teoria della catarsi di Aristotele, i testi di Lévinas) come possibili alternative a quello che dice il papa: tutto il contrario del “è vero perché lo dico io”, mi sembra.
Quanto al principio di autorità, c’è una certa differenza tra il dire “parlo (ho titolo) perché ho l’autorità che mi deriva dall’avere incontrato la verità (nella fede)” e “parlo (ho titolo) perché ho una documentata (e verificabile, ed eventualmente contestabile) competenza sull’argomento di cui mi occupo e che insegno da anni”.
Certo girolamo, ma quello che dici io l’ho dato per scontato e, stavolta, l’ho pure detto.
Fabbri può essere l’uomo più democratico del mondo e il papa il più oscurantista, è che i media hanno utilizzato tutti e due allo stesso modo.
Il fatto poi che ‘uno’ ‘può’ andare a leggersi i testi di Aristotele o di Levinas, se ‘vuole’, è incontestabilmente vero, andiamo a verificare però i concetti di: uno, potere e volere.
Per quanto io abbia un orientamento decisamente illuminista, trovo il tuo atteggiamento razionalista un po’ troppo ottimista.
E comunque, per me, il torto di Fabbri non è che ‘ha detto’, ma che ‘ha lasciato dire’ male e in modo sciatto. Sarebbe stato molto meglio glossare l’articolo del papa, da parte della giornalista, con una nota a margine di rimandi bibliografici, dicendo magari che quello letture gliele aveva consigliate ‘il semiologo Fabbri’: non aveva tempo di rilasciarmi un’intervista e se l’è cavata con questi rimandi.
In fondo è quello che il semiologo Fabbri ha fatto e andava detto.
Non concordo, Valeria. Detesto, perdonami, i giudizi “a prescindere”, che non tengono conto del come vengono scritti gli articoli, degli spazi che ci sono a disposizione e di miliardi di altri fattori. Possibile che tutti siano portatori dell'”io lo farei meglio”? E caspita! A me sembra importantissimo che ci sia stata una voce fuori dal coro, che dice cose diverse da quelle canoniche sia pure in un numero di righe limitato.
Loredana, io non ho detto: lo farei meglio. Non sono una giornalista. Sono una lettrice e pertanto: lo vorrei leggere, e dunque capire, meglio. Non c’è niente da cui prescindo, tanto che penso che non basti essere ‘una voce fuori’ dal coro’ per prescindere da tutto il resto. E questo resto, per me lettrice, è una informazione corretta e chiara, soprattutto quando viene da una voce fuori del coro che dovrebbe essere il più possibile comprensibile a tutti, anche a quelli che non sono del mestiere e che non hanno una laurea in filosofia. A meno che i lettori della Repubblica non siano tutti dei dottorandi in comunicazione, cosa che potrebbe pure essere, e allora il problema non si pone: quell’rticoletto è un rimando veloce a cose che tutti sanno, di cui tutti parlano, che tutti capiscono al volo. Io no, cosa per cui immagino mi riesce difficile continuare a leggere Repubblica.
uff! l’intervista “a caldo” è un genere codificato: risposte rapide e prese di posizione. Per chi vuol approfondire ho un sito http://www.paolofabbri.it.
Volevo e voglio osservare che il coretto politicamente corretto sui media (tutti?) che fanno (sempre?) il male, usa almeno la minuscola. Il papa invece mette la maiuscola al Male: da allora il problema diventa teologico e su questo lui ha l’infallibilità. Io però sono stato tentato dalla metafisica – e dalla teologia, branca affascinante della letteratura fantastica – ma salvato dalla felicità. Sono un semiologo europeista, anche per i segni confessionali ed un ecologista, per la difesa della natura e non del Creato,
Quindi mi limito fallibilmente a dire che lo studio dei media ha detto molto di più delle banalità “info-etiche” del messaggio papale del 4 maggio 2008 (42 giornata mondiale delle comunicazioni sociali). Non credo che i media “debbano promuovere il rispetto per la famiglia,(…) nel metterne in evidenza la bellezza”. E neppure che la “Verità – la vocazione più alta della comunicazione sociale – che ci rende liberi è il Cristo”. Non penso di essere il solo per cui che la correttezza e la giustezza delle informazione sono più rilevante e difendibile della maiuscola Verità. Su questo, c’è un gran bel tacere.
Quanto alla ricerca sulla comunicazione, ripeto: nei media -anche nei blog – c’è di tutto, il disgusto e la critica del disgusto, la croce (sic!) e la delizia. Dal moralismo dei situazionisti è ormai trascorso mezzo secolo! Mai sentito parlare di de-massificazione? La fola dello spettatore passivo che assorbe il Male come una spugna sintetica è soporifica, ma il sonno – a quanto vedo da alcune risposte – resta agitato.
Paolo, ti linko subito. Benvenuto qui.
c’è una svista, da fretta
Non penso di essere il solo per cui la correttezza e la giustezza delle informazione sono più rilevanti e difendibili della maiuscola Verità.
ciao. paolo
Siccome mi sembra che su questo thread sono stati i miei post quelli più agitati, vorrei precisare, per quel che mi riguarda, che la de-massificazione mi sta benissimo: non credo allo spettatore passivo che assorbe il Male come una spugna sintetica. Allo stesso modo non credo allo spettatore che assorbe il Bene, o bene che sia, con altrettanta facilità: forse un pizzico di argomentazione in più potrebbe essere di aiuto.
Per essere ancora più precisa: la mia presa di distanza era rispetto alla confezione dell’articolo che è andata a scapito, secondo me, della correttezza e giustezza delle informazioni, che concordo pienamente essere più rilevanti e difendibili di qualsiasi maiuscola.
Ah, ho letto e scritto di fretta anch’io. Volevo anche – in tutto ciò – ringraziare Paolo Fabbri per il link al suo sito per gli approfondimenti.