PREMETTO CHE HO SBAGLIATO: UNA QUESTIONE DI LIBRERIE

Partiamo da un dato. Secondo l’indagine presentata da AIE alla Buchmesse, i libri si comprano soprattutto nelle librerie fisiche. E questo è un bene. Nel dettaglio, c’è un calo, ma ancora il 71,3% dei lettori cerca, sceglie e acquista in libreria. Si presume di catena, perché le librerie a conduzione familiare scendono fino al 30%.
L’altro dato, ben noto, riguarda il calo dei lettori:  ne abbiamo parlato infinite volte, e per ora non ci torno.
Il terzo dato, ugualmente noto, riguarda la bibliodiversità: il che non significa che tutti dovrebbero leggere i titoli di Empiria o di Exorma o dell’Orma. Ma che sia data una possibilità anche ai piccoli o piccolissimi di essere presenti.
Il quarto dato, stravecchio, è la scarsa, direi minima permanenza di un titolo in libreria. Nel 2011 era di 30 giorni. Oggi? Mi piacerebbe saperlo.
Il quinto dato, antico, è la polemica best-seller versus libro letterario. Insensata, come ben sa chi segue questo blog dai tempi (dieci anni fa) della polemica sulla letteratura popolare, che grazie al cielo usava ben altri toni di quelli contemporanei. Il best-seller in sè non è il male. Anzi. Dentro la categoria best-seller esistono titoli di grande letteratura. Inoltre. Chi inizia leggendo anche un pessimo libro (pessimo non in quanto best-seller: in quanto mal scritto, disonesto, irrilevante, neanche divertente) può comunque trovare in quel pessimo libro la chiave per andare avanti nella sua strada di lettore.
Però.
Però, in una situazione italiana confusa e grave, la sensazione è che non si cerchi il buon libro che può diventare un best-seller, ma si riproduca forsennatamente un modello ritenuto vincente per conquistare il lettore riluttante, quello che invece di leggere preferisce una partitella a Candy Crush. E in questo modo il lettore continua a giocare a Candy Crush, e l’editoria non si salva lo stesso. E questo, sia detto per la centomillesima volta, non è un bene per nessuno: lettori, scrittori, editori. Librai.
La lunga premessa, noiosa per chi conosce la situazione, serve ad arrivare qui. Parafrasando Stephen King, io credo. Credo nei librai. Non da oggi e non perché si fa così. Non da oggi e non perché mi piaccia la retorica della lettura e del Buon Libraio che si toglie gli occhialini di tartaruga e paternamente (o maternamente) ti conduce sulla via del Libro Bello. Ci credo perché so quanto può fare un libraio. L’ho visto, anno dopo anno, con Fabio Masi, che con L’ultima spiaggia a Ventotene ha creato non una libreria, ma un’intera comunità che gli si stringe attorno (a lui, ai libri, all’isola). L’ho visto con Fabrizio Piazza e Modusvivendi a Palermo. L’ho visto con Teresa Porcella e la Cuccumeo di Firenze. L’ho visto con Aldo Addis e l’utopia realizzata di Liberos. L’ho visto con Marino Buzzi e con quello che un libraio di catena può fare.
E’ per questo che sabato mattina ho fatto, in parole povere, una solenne cazzata. Ero in anticipo per il mio treno, ho curiosato come faccio sempre nella libreria della stazione (che peraltro ha uno dei migliori reparti di letteratura fantastica che io conosca) e ho colto un brano di conversazione. Una commessa di libreria che vendeva un best-seller a una cliente in cerca di consigli. E non mi sono fatta gli affaracci miei, come avrei dovuto. Ho parlato alla libraia, dicendole, ma perché non ci aiutate? perché consigliate sempre best-seller? E ho sfiorato il romanzo di Yehoshua che era sullo stesso bancone, dicendole “perché, per esempio, non le ha consigliato questo?”. In verità, visto che la cliente voleva una storia d’amore, i libri potevano essere un’infinità, ma quello era sul bancone. Esattamente come l’altro, quello che da quanto ho capito è stato acquistato, Prometto di sbagliare. Se avete la pazienza di scorrere la scheda che ho linkato, scendendo fino alla sequenza “caso editoriale”, capirete perché il libro era sul bancone. Quello e centinaia e migliaia di altri.
Dal momento che quando comincio a fare solenni cazzate non mi fermo, ne ho fatta una seconda: ho postato uno status su Facebook dove ho sbagliato titolo, “La ragazza del treno”, perché fra le mani della cliente e della libraia c’era quello. Uno status che recita così: “Stazione termini. Arrivo sempre in anticipo e faccio un giro in libreria. Una donna cerca un libro da regalare. Una storia sentimentale, dice. La libraia, senza esitare, le porge La ragazza del treno. È un best-seller, dice. Non distruggeteci, dico io, senza trattenermi. Sipario.”
Un errore sul titolo. Un po’ troppa sintesi. Nessun nome, però, e soprattutto nessun desiderio di colpevolizzare la libraia. Perché NON ha colpa alcuna. Non ci sono colpe in questa faccenda, come vedremo, ma un ormai estenuato automatismo del sistema che lo sta facendo implodere.
Rimaniamo ai fatti. Alcuni commentatori si arrabbiano molto, sostengono che io crocifiggo la libraia, cosa che non è mia intenzione fare, evidentemente.  Si arrabbia anche la libraia, che da innominata si nomina e scrive questo post. Si arrabbiano moltissimo i librai amici della libraia, e si innesca il solito meccanismo coraggiosa-ragazza-sconosciuta-contro-Tizia-con-follower, rendiamole i libri facciamole causa togliamole il microfono. Più o meno quanto è toccato a Michela Murgia dopo il post su Marie Claire: ah, la Murgia ha attaccato la modella, quella bastardona eccetera eccetera.
La modella, non un sistema.
La libraia, non un sistema.
Ora, sugli ego-meccanismi dei social si potrebbe scrivere un libro (e io l’ho anche fatto, magari sarà già stato reso da un po’).  Non è questo il punto, ci si sta maluccio, poi passa fino alla prossima volta.
Invece, è quanto dice la libraia che mi interessa.
“Scorro lo scaffale delle Novità. Decido di proporle un romanzo Rosa, un’avventura (Kazuo Ishiguro, “Il Gigante Sepolto”), e una storia più accattivante (onestamente non ricordo cosa).
Il romanzo Rosa che ho davanti è “Prometto di sbagliare” (Chagas Freitas Pedro, Garzanti Libri, 2015) per caso, dico sul serio.”
No, il problema non è definire “Il gigante sepolto” un romanzo d’avventura, cosa che non è. E’ il criterio con cui non la libraia, ma la costruzione del sistema di vendita tende a reiterare se stesso. Con 61.000 novità l’anno, neanche Borges in persona riuscirebbe a leggere tutto. Neanche le schede di tutti i libri, evidentemente. Allora, perché i famigerati mediatori (noi tutti, lettori professionisti, giornalisti culturali, librai) siamo costretti a incagliarci davanti a una logica di vendita che pone Ishiguro accanto a Chagas Freitas (che magari avrà pure scritto un romanzone, come faccio a saperlo?)? La logica del “caso editoriale”, a cui i lettori smaliziati non credono più, prevale, e d’accordo. Ma con quale idea e con quale progetto?
Con l’idea che il lettore casuale debba avere un libro “facile”, a tutti i costi. Facile. Nello stesso post, Stefania Ricco dice:
“Mi fa molto piacere il suo interessamento alla causa. Ma in effetti non consiglierei MAI a una ragazza di ventidue anni una qualsiasi opera di Yehoshua.
Come già detto non sono ferrata sui romanzi rosa (e ne vado piuttosto fiera). Ma non tutti i lettori vogliono storie profonde e impegnative. Non solo. Non tutti i clienti sono lettori accaniti. E le dirò di più. Non tutti i clienti sono i lettori a cui è destinato il libro.”
Sono due riflessioni importanti e utili. E’ vero, non tutti i clienti sono lettori e non tutti i clienti sono i lettori a cui è destinato il libro.  Ma perché è passata l’idea che il lettore ignoto sia un consumatore di trame semplici, e che una ragazza di 22 anni non possa leggere Yehoshua, che peraltro non è Joyce, e peraltro ancora ci sono caterve di lettori di Joyce anche diciottenni?
Ho fatto una cazzata, e forse la rifarei anche. Perché quello che mi chiedo è semplice: possiamo menarcela per mesi e anni sulla qualità, per anni e secoli sul fatto che quella qualità sia ANCHE nella cosiddetta narrativa plebea (caspita, in tutto tempo passato a battermi per far riconoscere la grandezza di King, la prima storia d’amore che mi sarebbe venuta in mente è 22/11/63, ma queste son cose mie), possiamo incartarci in discussioni chilometriche.
Ma se i fatti sono su un qualsivoglia bancone, e ci dicono che il lettore è di bocca buona, e sappiamo anche che quel lettore di bocca buona è già scappato da un pezzo, nella gran parte, come ne usciamo? E come tuteliamo il lavoro di tutti i librai italiani, se alla fine il meccanismo dei casi editoriali si rivelerà, come è, fallimentare?
Io temo di non saperlo più, a questo punto. Faccio cazzate, faccio ammenda, mi tengo il dubbio.

9 pensieri su “PREMETTO CHE HO SBAGLIATO: UNA QUESTIONE DI LIBRERIE

  1. Gli intermediatori
    Non sono i librai gli intermediatori intorno a cui costruire i dibattiti
    Gli intermediatori
    Sono agenti ed editor che mandano avanti a pubblicare la gente che va in tv o che
    Ha tanti follower sui social
    L’arte è l’unico ambito in cui se non sei autentico si vede subito
    Una sciarpa di cachemire la tocchi. Se è fatta di poliestere te ne accorgi in un secondo. Ti accorgi subito se è misto acrilico eccetera
    Le persone non leggono perchè sentono odore di poliestere di acrilico
    Gli intermediatori capiscono troppo poco di arte e di filati

  2. Loredana, inizio dicendoti che sei una brava persona, una professionista intellettualmente onesta e non sto a ripetere qui le parole di stima che ho nei tuoi confronti anche se non sarebbero né gratuite né false. Solo chi non conosce la tua storia, il tuo impegno e il tuo lavoro può pensare che tu abbia in qualche modo cercato di attaccare una libraia, una collega. Hai fatto una considerazione, giusta o sbagliata lo lasciamo ai posteri a questo punto. Il meccanismo buono/cattivo su internet funziona ormai a dei livelli da paranoia, qualsiasi discussione si trasforma in qualcosa di apocalittico. Vuoi per i personalismi, vuoi per il tentativo di emergere o per i fraintendimenti. Io non ho letto un attacco da parte tua, ho letto una legittima considerazione. Trovo del tutto fuori luogo gli attacchi alla tua persona allo stesso modo in cui ho trovato del tutto fuori luogo gli immediati attacchi alle librerie di catena e alla libraia etichettata da qualcuno immediatamente come incompetente. Da qualcuno ma non da te. Lo ripeto per essere estremamente chiaro. Non sopporto più queste continue lotte fra “poveri”, lettori veri vs lettori falsi, disoccupati contro lavoratori, tempo determinato vs precario. C’è un sistema che è sbagliato, invece di scannarci fra noi dovremmo combattere quello ma pare sia più complicato di quel che speravo. Le librerie hanno dei problemi, quelle di catena ne hanno moltissimi, le case editrici hanno dei problemi e anche noi scrittori non stiamo tanto bene. nel senso che i continui personalismi, l’egocentrismo di certi colleghi mi fa davvero vomitare. E purtroppo abbiamo visto un completo diinteresse su fatti importanti come il caso De Luca quindi figuriamoci il resto. Non starò per l’ennesima volta a ripetere cosa non va nelle librerie di catena ma finché non supereremo: centralizzazioni, premi di produzione su quantitativi, accordi commerciali disastrosi, vendite puntate su algoritmi di mercato (che ormai servono anche per scrivere i romanzi da destinare alle lettrici e ai lettori) non ne usciremo mai. Bene, ho detto quel che avevo da dire su questa storia. Spero che gli animi si plachino. Un abbraccio. Marino

  3. Non faccio il libraio ma suppongo che il libraio si trovi nelle stesse condizioni in cui mi trovo io, lettore, al cospetto di un conoscente che mi chiede un consiglio di lettura. E consigliare è attività complessa, primo perché chi consiglia deve poter aver letto l’ultima novità che sta consigliando, e sono sterminate le novità, inoltre, penso a McEwan, non è possibile consigliare McEwan solo sulla scorta delle letture passate, “Miele” per restare a uno dei suoi ultimi libri, è una delusione totale. Ricordo che nel parlarne bene D’Orrico su La lettura, mi trasmise la netta sensazione che quasi non avesse letto il libro e che ragionasse di capolavori avendo in mente McEwan di Espiazione o chissà quale altro libro. Marìas? ho letto “Così ha inizio il male”, e l’ho trovato bellissimo. Mi affaccio su Anobii e lettori che considero a me affini, l’hanno trovato un libro non riuscito, non tutti naturalmente. Alice Munro, che io amo, sono anni che vado incontro a delusioni, da molto prima del Nobel e ancora oggi. Ad alcuni piace in modo fatale, a molti irrita e mi vengono a dire sempre le stesse cose, “Alice Munro prende il giro il lettore, il personaggio cambia parere, umori troppe volte, sembra che egli stesso personaggio non sappia mai dove stia andando e questo mi snerva”. Alice Munro mi disse un’amica ci “prende per il culo”. Tornando al discorso iniziale, se io fosse nei panni della libraia in questione, e dovessi consigliare un libro regalo, cercherei di capire quali libri poter consigliare, e se non riuscirò a capirlo e avrò l’intera libreria come possibilità, le consiglierei un libro che piace a me, che ho letto e che ritengo bello. Letizia Muratori di Animali domestici, o Alice Munro o l’ultimo Marìas o altri ma con l’avvertenza che non sono libri che piacciono dalle prime pagine ma richiedono un certo sforzo ad andare avanti. E inoltre le consiglierei anche cose più leggere ma scritte con intelligenza, dall’ultimo di De Silva a saggi interessanti come “La prigione della fede” di Lawrence Wright, un saggio splendido sulle vittime di scientology. O qualche novità Iperborea che è una casa editrice meravigliosa. E altro ancora. Se poi mi accorgo che il cliente o la cliente è fatalmente tesa ad un libro di Fabio Volo, vada per Fabio Volo. Il libraio, il lettore, per me, devono essere dei conversatori pronti a scattare di lato, espositori di possibilità, esattamente come nei libri di Alice Munro (che non è affatto vero che ci prende in giro, Alice Munro è una grandissima, originale, vera Nobel).

  4. 1) I dati. Non sappiamo quasi mai quanto i dati siano attendibili.
    2) C’é differenza tra lettore e consumatore ? Direi di si. Ma chi o cosa sia un lettore dovremmo vederlo per bene.
    3) La bibliodiversità non mi sembra un problema, l’offerta è talmente vasta… il lettore e/o il consumatore che oggi vuole informarsi può farlo e scoprire tutti presente e passato di libri, uscite, case editrice in 5 click (se non trova qualcosa dal libraio della città dove vive o se abita in un posto dove non c’è una libreria o non può accedere ad una città con libreria si serve de l’eCommerce)
    4) Oggi ? 15 giorni
    5) Il problema non è il best seller appunto ma quando l’editoria diventa un cieco bifronte che vuole confezionare best seller (partire da un format e non da un buon libro che può diventare un best seller) e allo stesso tempo non impegnarsi nella ricerca.
    Ho lavorato per 10 anni in una libreria indipendente, al sud, anni ’90 altri tempi… con l’idea di occuparci di letteratura, soprattutto quella poco conosciuta e proponendo già allora un reparto di letteratura per ragazzi. (La libreria esiste ancora). Lettori si nasce, buoni lettori si diventa. E’ difficile che a una persona che non abbia voglia di leggere all’improvviso giunga questo desiderio (ovviamente ci sono delle eccezioni e tali restano). Influisce l’ambiente ? Talvolta influenza al contrario (Bernhard docet). Si, io credo nei librai, che non sono tutti uguali. Lavorare in una libreria (un mestiere da folli perché i libri e la follia hanno molto in comune come i grandi scrittori e i librai sanno bene… Clerks di Kevin Smith applicato alla gestione di una libreria è poco realistico…) o gestirne una, non fa di te un libraio e nemmeno un bibliofilo o un conoscitore di libri. Fare il libraio è un mestiere, non un lavoro. Un mestiere ha a che fare con l’artigianato e come tanti altri o come era un tempo, sicuramente sta scomparendo. Il libraio di un tempo ? Niente pc e statistiche, guidato da sympatheia, enorme passione per il libro e preparazione di lettore onnivoro e quasi onnisciente, che gli basta un’occhiata, se entri nella sua tana, per chi capire chi sei e chi non sei, se vuoi davvero un libro o cazzeggiare, e che lettore sei, cosa potrebbe piacerti e tutto quello da farti conoscere. In Italia ce ne sono rimasti pochissimi così.
    Un lettore, non un consumatore, scappa quando non c’è nulla di buono per lui… se davvero i lettori stanno scappando (benedetti i remainders e gli studi bibliografici) le domande dovrebbero farsele gli editori… ma non vedo nulla di questo all’orizzonte…
    p.s
    (qualcuno qui si è accorto che è stata decretata, non per caso, la fine dei punti einaudi vero ?)

  5. Buongiorno signora Lipperiri. Non la conosco come persona, ho saputo della sua esistenza solo dal suo post precedente, quindi non posso entrare in merito a questioni personali. Proprio per questo risulto abbastanza imparziale. Forse il suo intervento è stato visto un pò invadene, in quanto non conosceva i fatti antecedenti alla vendita di quel libro. Quindi, non è vero che i librai sono dei semplici lavoratori stipendiati. Nella catena del sistema editoriale, hanno comunque un ruolo quasi pari ai mediatori, anzi sono proprio loro ad avere il contatto diretto con il lettore, quindi hanno un ruolo notevole. Sorvolare questa responsabilità è una difesa nei confronti di se stessi controproducente. Perché si decide di lavorare in una libreria?
    La libraia in questione era sicuramente in difficoltà, data dal fatto che la cliente non era riuscita a dare la minima indicazione. Forse la scelta del best-seller è derivata dal fatto che si pensa che tale libro si adatti a tutti. Questo è un errore culturale, come è tale pensare che ci siano libri adatti all’età. Purtroppo, mi trovo d’accordo con Marino Buzzi. Il sistema ha creato la scia culturale che seguiamo. L’impegno delle persone che hanno autorità nel settore è quello di trasformare, anche piano piano, un sistema che sta già implodendo. Può sembrare un’impresa titanica e forse lo è. Sono convinta che il suo tentativo è sembrato sfacciato, ma non si può mettere in dubbio la buona volontà di divulgare un pensiero che accomuna molti lettori ormai, cioè, abbiamo bisogno di tornare a leggere una letteratura più sincera.
    Per sfatare il mito commerciale dell’età, conosco una bambina che ha letto il The Hobbit a otto anni. E come lei, ce ne sono molti altri. Il sistema ha bisogno di mettersi in discussione, smettere di ragionare per categorie, smettere di andare sempre e solo verso la vendita “sicura” e cominciare a dirigersi verso una strada più vicina al lettore.

  6. Non entro nel merito: hai già detto tutto tu e chi ti ha risposto o ha reagito.
    Mi interessava il meccanismo che ti si è/hai innescato: accade un qualcosa nel mondo reale, reagisco immediatamente mettendo in Rete il primo pensiero che mi passa per la mente. E’ curioso come la struttura-social stia costruendo la nuova forma antropologica: il famoso “uomo (o donna) di vetro”; ovvero, si esprime pubblicamente ciò che in condizioni “fisiche” si sarebbe mediato “contando fino a dieci”. Tu dirai: ma anche “dal vero” può accadere che non si conti fino a dieci (e a te in effetti è successo, come hai scritto), tuttavia qui i dati interessanti sono 2: la velocità (sempre più ridotta) di reazione e, soprattutto, la tipologia del medium attraverso il quale si veicola la reazione. Che arriva a un pubblico ben più vasto della situazione che ci troviamo a vivere e soprattutto che non contiene tutte quelle informazioni di linguaggio non-verbale che la situazione reale e la conversazione diretta hanno. Con conseguenti, facili, malintesi che si propagano con effetto-valanga.
    A questo punto mi sorge spontanea una domanda: premesso che di cazzate ne facciamo tutt* a bizzeffe (siamo umani, no?), questi mezzi così potenti (i social) sono davvero qualcosa che possiamo dominare (per esempio con la cultura?) o sono una bomba sociale che nessun livello culturale anche “alto” potrà mai disinnescare? Altrimenti detto: sono meccanismi che amplificano fino alla risonanza le nostre pulsioni più profonde senza che la “corteccia cerebrale” possa intervenire in tempo utile? Ci penso da tempo, e confesso che la cosa mi spaventa almeno quanto i meccanismi della psicologia di massa… ma forse pure queste sono cazzate.

  7. Ieri sera ho colto la coda di un servizio del TGR Lombardia: mi pare di aver capito che in una piccola azienda si è scelto di provare a non usare la posta elettronica per le comunicazioni interne x una settimana. Un modo x riappropriarsi di quelle tenniche di comunicazione non verbale che dovrebbero arrichire il dialogo tra le parti, ridurre il rischio di esser fraintesi ed instaurare rapporti meno effimeri. Naturalmente è possibile solo se posso alzarmi , uscire dal mio ufficio e chiedere ad un collega, guardandoo negli occhi. Il mondo è davvero troppo grande xchè funzioni ancora tutto così e troppo piccolo, considerato che è possibile discutere via rete con persone dall’altra parte del pianeta, in tempo reale.

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