Il mio primo articolo regolarmente retribuito è uscito su Abc, che era una rivista soft-porno. Avevo 18 anni, e l’articolo riguardava la protesta dei Disoccupati Organizzati, che avevo intervistato nella tenda innalzata a piazza Venezia. Conoscevo perfettamente la natura del giornale con cui ho collaborato per quell’unico pezzo, e per mettere a tacere quella che potremmo chiamare coscienza mi sono detta e ripetuta che la mia presenza poteva essere “virale”, e che era importante intervenire soprattutto nei media abissalmente lontani dal mio pensiero e dalla mia etica. Anzi, soprattutto in quelli.
Avevo 18 anni, appunto, e sapevo benissimo che mi stavo consolando con una bugia: i lettori di Abc avrebbero continuato a comprare il giornale per le tette esposte e non per gli articoli miei o di coloro che pure portavano un contributo importante, nella politica e nella cultura, in quel giornale.
La storia di ABC mi è tornata in mente in questi giorni, nel riacutizzarsi della querelle sui collaboratori di Libero, e in particolare su Paolo Nori, che secondo il quotidiano viene “messo al rogo” e che martedì prossimo discuterà del “processo” che lo vede protagonista insieme ad Andrea Cortellessa (qui la notizia, qui il commento di Nori alle polemiche, qui le polemiche).
Quel che penso della faccenda è deducibile dall’aneddoto di gioventù. Poi, penso anche che ognuno è libero (senza doppi sensi) di fare quel che crede. Semmai, mi piacerebbe sapere come l’Ordine dei Giornalisti giustifica la propria esistenza e se qualcosa sia accaduto in seguito a copertine come questa. Lo chiedo perchè non ho notizie di sanzioni o provvedimenti, in tutta onestà. E perchè il problema di questo paese, paese letterario incluso, non è cosa fa nella e della sua vita Paolo Nori: ma è il proliferare di toni, immagini, titoli, articoli che hanno davvero avvelenato i pozzi. Anche culturali.
Nori è libero di scrivere su Libero.
Libero è libero di linciare Veronica Lario.
Nori è libero di scrivere, su Libero, che quella di Libero è una porcata, oppure no? (Nel caso pensi non sia una porcata, il dilemma “Nori su Libero” non si pone più.)
Secondo me la questione è questa: la risposta non la so, ma è questa.
Non faccio finta di non vedere l’elefante: io pubblico (in buona parte) per Stile Libero, che fa parte di Einaudi, che fa parte di Mondadori, che è di proprietà di Berlusconi, che era (è?) iscritto alla loggia P2.
Io sono libero di scrivere quel che penso della loggia P2?
Sì: l’ho fatto. Senza problemi (anzi: ho avuto anche una consulenza legale gratuita sul manoscritto, a spese della collana).
Perfetto, Girolamo, allora viviamo in un mondo libero, dove ognuno può dire tutto quello che vuole e quando Berlusconi dice di essere il garante della libertà ha perfettamente ragione.
A meno che il fatto che tu, e ciascuno di noi, può dire tutto quello che vuole non abbia più nessuna importanza e non incida in modo alcuno sullo stato delle cose.
Per questo dico che Lorella Zanardo, come intellettuale (anche se atipico, o forse proprio perché atipico), oggi è più importante di un qualsiasi scrittore o filosofo o critico letterario.
Dico questo perchè subito dopo la proiezione de ‘il corpo delle donne’ tutti i ciambellani del re si sono stretti intorno a lui e hanno alzato alte grida di scandalo.
Quando qualcuno dice che il re è stato (è) iscritto alla p2 nessuno alza più nemmeno il sopracciglio.
postilla. In questo senso Libero è una freccia da seguire con attenzione. I suoi bersagli non sono mai casuali.
Tutti ipocritamente buoni nello scrivere “no al processo”, però RICORDEREMO! Ridicolo, sotto un profilo prettamente culturale scrivere certe cose. “tentativo di civilizzare”, scendete dalla scaletta di casa. Ecco, il problema vero è come si può costringere ad una maggiore consapevolezza di ciò che si è. Molti in questo blog hanno smarrito il senso della misura, proprio perché falsata è l’dea che hanno di loro stessi. Ci vorrebbe uno spillo.
No, Valeria, hai frainteso: Nori (o io, o tu) può scrivere quel che pensa dove vuole (è un suo diritto soggettivo, non posso pensare di imporre a tizio o caio di scrivere o non scrivere qui o là), ma questo non significa che io, tu, i lettori debbano accettare quel che scrive in modo acritico (anch’io sono libero di non comprare questo o quel libro per mie personali ragioni, fossero anche pretstuose). Personalmente io sono d’accordo con Valentina, infatti.
Ponevo una questione: a chi dice che Nori scrive le stesse cose sul Manifesto e su Libero (ma proprio le stesse: ha piazzato su Libero un articolo su Amanniti già uscito sul manifesto a proposito di un altro libro di Amanniti) rispondo: Nori è libero di prendere posizione, su Libero, contro la linea del giornale, se non la condivide, oppure paga pegno per scriverci sopra?
Avrai notato (speravo si capisse l’allusione ironica) che un pezzo del tipo “Questa secondo me è una porcata!” a firma di Paolo Nori non è (ancora?) uscito, su Libero.
Volevo farla breve, e invece l’ho allungata più del dovuto. Evidentemente in questo periodo la sintesi non è il mio forte 🙂
… voglio aggiungere che i commenti di Valeria mi piacciono molto, c’è molta intelligenza e onestà. Purtroppo è vero: gli scrittori sembrano incapaci di rappresentare dei riferimenti del pensiero, anche se io mi chiedo se lo siano mai stati, veramente, in questo Paese (ma il discorso è immane e per me insostenibile). Nella capacità di provocazione, esempi come quello della Zanardo mostrano più chiaramente cosa dovrebbe essere capace di fare un intellettuale. Io credo però, anche, nel desiderio di purezza – decisamente presente in molti commenti su questo post – ci sia uno dei più pericolosi miti del ‘900 (dalla razza, alla cultura). È un bene lasciarcelo alle spalle: ha fatto molti danni. E molti morti.
È un’immagine efficace, senza dubbio, quella del boy scout che si accompagna a dei manganellatori, ma non è esattamente questa la realtà? Restando nelle metafora: il boy scout può anche andar per farfalle da solo, o con altri boy scout, ma cosa cambia, realmente? Che i manganellatori sono passati dal bosco cinque minuti prima di lui, o passeranno fra cinque minuti? Essere al mondo, esserci, calpestarlo, non è IN OGNI CASO passeggiare insieme a quei manganellatori?
Tenerli lontano dalla vista cosa cambia per chi piglierà manganellate? Nulla.
Insomma, noi siamo già qui, conviventi con questi comportamenti che non ci piacciono e condanniamo. Noi siamo già complici. Ma il nostro agire, pubblico, le nostre azioni, restano l’unica cosa da fare: da soli o male accompagnati, quello che facciamo e diciamo – se ce lo lasciano dire e fare – resta nostro e tutto ciò che verrà ricordato di noi.
Se la pace la posso fare soltanto con chi è in guerra contro di me, se l’altro è l’unico al quale mi devo rivolgere se voglio conoscere il mondo, perché uno scrittore dovrebbe eliminare dalla portata del suo lavoro, del suo dire, intere porzioni di lettori, di umanità, di coscienze? Ha un concetto così basso degli altri, e/o di sé stesso?
@Girolamo. Non è certo da me che può venirti un rimprovero per mancanza di sintesi, ma in effetti non avevo capito quello che volevi dire. Riformulato in questo modo il tuo pensiero, mi pare di essere d’accordo.
grazie, luca: hai fatto un bel po’ di luce, a mio parere.
Berlusca sta vincendo, ok. Ma una cosa è pubblicare senza censure in un catalogo Suo ma comunque vario, specie in un sistema editoriale dove non è facile non “lavorare”, almeno indirittamente, per Lui (i casi Saviano, Wu Ming, De Michele ecc). Altra cosa è scrivere su un foglio ha enormi responsabilità nel processo di trasformazione dell’italia in un paese razzista e incivile, e pure orgoglioso di esserlo.
Il problema qui non è berlusca che vince o si ingrassa (e chi se ne frega, alla fine): il problema è l’italia che va a rotoli, e con lei il senso di cittadinanza, il rispetto, la curiosità intellettuale, l’apertura ecc.
Avreste mai pensato di leggere su un quotidiano nazionale, sparato in prima pagina, “Hanno ragione i negri”? (Il Giornale, dopo Rosarno).
ops, un refuso: intendevo “scrivere su un foglio che ha enormi responsabilità”…
una volta i pensieri razzisti e/o violenti non li si poteva esprimere ad alta voce “in società”: si veniva sommersi da un cumulo di sdegno civile. Ora non più. Il senso comune è cambiato. Molto. Abbiamo politici e istituzioni (la Legge!) che fanno discorsi razzisti e norme razziste. E giornali che scrivono “negri” in prima pagina.
Ecco, Libero mi sembra il capofila di tutto questo, l’avanguardia che per prima lavora (sputtanandolo) sul linguaggio, sul modo di esprimersi e quindi sul modo di pensare, sulla mentalità. Scusate, forse sto andando un po’ OT, ma io ‘sta cosa non la tollero, e non vorrei mai e poi mai sentirmene complice.
“Di certo noi non ce ne andremo prima che succeda tutto questo (“resistere un minuto più del padrone”, diceva un vecchio slogan operaista), a meno di non essere cacciati. Non ce ne andiamo perché dentro l’Einaudi abbiamo vinto tutte le battaglie, perché abbiamo piena autonomia, e perché con tutti i suoi limiti rimane la migliore casa editrice del Paese.”
La posizione di Wu Ming mi pare cristallina. Resistere un minuto di più. Perché abbandonare il campo di battaglia?
” E’ convinzione diffusa che se il b******ismo è in crisi è perché i disastri che ha prodotto sono sotto gli occhi di sempre più gente. Se ci si riflette bene, si vedrà che è proprio il contrario: i disastri sono sotto gli occhi di sempre più gente perché il b*******ismo è in crisi, ed è in crisi perché nonostante lo strapotere mediatico non riesce a “sfondare” sul piano dell’egemonia culturale.
Uso la parola “Cultura” nella sua accezione più vasta: “complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici, tipi di comportamento e sim., trasmessi e usati sistematicamente, caratteristici di un dato gruppo sociale, di un popolo, di un gruppo di popoli o dell’intera umanità” (così dice lo Zingarelli)” ( Wu Ming 1, 1/2 settembre 2004)
La previsione di Wu Ming mi pare sbagliata.
Ma forse in quel momento il berlusconismo era in crisi per davvero. Di sconfitte ne incassava tutti i giorni. Infatti poi la destra ha perso le elezioni e se le ha perse per pochi voti fu solo per la legge elettorale che Calderoli stesso definì “una porcata”. E ci sono stati altri momenti in cui Berlusconi era in crisi. Non era malconcio anche nei mesi passati? Ma arriva sempre un inciucio. Un D’Alema. Una finta opposizione che lancia un salvagente. E Lui si riprende… Non sono più sicura di niente, ma credo che nel 2010 si possa dire: non è solo colpa di Berlusconi se abbiamo Berlusconi. Dico male?
Dici benissimo, le complicità della sinistra esistono eccome e, oltretutto, io non credo affatto nel titanismo berlusconiano. E su questo punto concordo assolutamente con Wu Ming 1. La sua ascesa era decisamente resistibile.
Ma esiste una ‘cultura’, il cosiddetto berlusconismo, che va ben oltre la sua persona e di cui non ci libereremo con la sua scomparsa. Ed è da questo punto di vista che l’analisi di Wu Ming 1 si è rivelata sbagliata.
L’egemonia culturale, nel senso più ampio in cui viene precisato da Wu Ming 1, c’è e il berlusconismo ha sfondato.
E’ vero che c’era un piano strategico per ottenere una clamorosa vittoria in questa battaglia, ma non era quello messo a punto da Wu Ming 1. Purtroppo.
Eccomi qui, per alcune precisazioni.
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@ Valeria
io credo che sei anni fa quella partita non fosse persa. Su quel piano, il berlusconismo arrancava, non sfondava, il logoramento era evidente. C’era già veleno in diversi pozzi, ma non in tutti. L’elenco che facevo di passi falsi e defaillances non me l’ero sognato io, erano tutte cose appena accadute. L’anno prima tre milioni di persone avevano marciato a Roma contro la guerra in Iraq. Due anni dopo, la “devolution” (la più grande scommessa del berlusco-leghismo, un’impresa storica di de-costituzionalizzazione del Paese) fu spazzata via dal voto referendario. Nemmeno queste sono mie allucinazioni, o falsi ricordi. C’era ancora un blocco sociale, una “forza storica” che si opponeva e impediva al berlusconismo di sfondare. Quella forza storica, però, da sola non bastava. E’ stata boicottata, sabotata, massacrata prima dalla “opposizione” che dal governo. E inoltre ha commesso degli errori, continuando ad affidarsi a certi rappresentanti. E vabbe’, quel che è successo dopo lo sappiamo tutti.
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@ Alessandro Ansuini
“non ha senso combattere il sistema da fuori, dicevano.”
Beh, non esattamente. Dicevamo – e ancora diciamo, e ne siamo fermamente convinti – che un “fuori dal sistema” non esista. Il sistema è il capitalismo, ed è ovunque, nel micro e nel macro, nei rapporti sociali e nelle coscienze, nelle giungle e in cima all’Everest. Dicevamo – e tuttora diciamo – che *tutti* quelli che combattono il sistema lo fanno dall’interno, dato che l’esterno non c’è. Stare nel sistema non è una nostra prerogativa, lo fanno tutti. Solo che alcuni fingono di starne fuori.
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@ Saverio
“dov’è l’errore? Nel giustificarsi. Nel condire le proprie pratiche con meta-discorsi. Nel fare concretamente delle cose mentre se ne dicono di altre.”
Riguardo alla prima parte della citazione (la domanda con autorisposta), posso solo dire che è sempre stato nostro costume – e ancora lo è – rendere conto pubblicamente delle nostre scelte, soprattutto se ci viene richiesto dai lettori. Tu li chiami “meta-discorsi”, io la chiamo onestà. Il testo linkato è un montaggio di risposte date in pubblico, sul forum della rivista “Il Mucchio Selvaggio”, a precise domande e richieste. Se mi chiedono di spiegare la mia posizione, io non svicolo. Semplicemente, spiego.
Riguardo alla seconda parte, quella sul “fare delle cose mentre se ne dicono di altre”, beh, direi che la cosa non tocca noi WM, dato che abbiamo sempre fatto coincidere quello che dicevamo con le cose che facevamo. Non è una cosa difficile, in fondo: basta limitarsi a descrivere quello che stai facendo, mentre lo fai. Nel testo linkato facevo degli esempi, parlavo del nostro operato e di nostri risultati. Mi si dimostri che gli esempi erano falsi, che quelle cose non le abbiamo fatte davvero, che quei risultati non ci sono. Altrimenti, non si usi noi come esempio di attitudine ipocrita/parolaia. Noi possiamo fare degli errori, scazzare delle previsioni, fare passi falsi, ma sempre mentre agiamo con coscienza, e inoltre rendiamo sempre conto di tutto, ci sottoponiamo al pubblico scrutinio, facciamo autocritica. Più di così che devo fare? Devo mettermi una scopa in culo così vi ramazzo la stanza? 😀
P.S. Dài, Saverio, basta con ‘sta fola del Berlusconi “genio della comunicazione”. E’ una cazzata e mi fa piacere che Valeria sia d’accordo con me. Con quei miliardi e fantastiliardi, quel colossale apparato mediale, quegli ammanicamenti e quelle complicità, quelle consulenze d’immagine da parte di multinazionali del PRaggio e del marketing politico, quelle schiere di consiglieri, quei sondaggi compiacenti e farlocchi, e soprattutto con questa opposizione imbelle o addirittura collaborazionista etc., beh, sarei un “genio della comunicazione” anch’io. Datemela a me tutta quella roba, e vi capovolgo il pianeta, cazzo. E comunque, anche con tutta quella roba, di belle stronzate e passi falsi Burlesconi ne fa comunque. Nella seconda metà del 2009 era in oggettiva difficoltà, ha faticato parecchio a tirarsi fuori da quelle peste, e non è detto che non ci ricada. Io credo che i più grossi favori a Berlusconi li abbia fatto proprio chi ha continuato, per tutti questi anni, a esaltarlo come un genio della comunicazione. Anche quella è una forma di contemplazione del leader. Debord parlerebbe di “spettacolare concentrato”.
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@ Tutti quanti, sulla questione Einaudi:
la nostra posizione sul pubblicare con Einaudi rimane identica a quella espressa nel 2004. Non siamo noi il corpo estraneo alla tradizione (e al catalogo) Einaudi, ergo non siamo noi che dobbiamo levare le tende. Se qualcuno vuole trafugarmi o usurpare qualcosa, io non rinuncio fin da subito a tenermela o riprendermela, non gli lascio tutto in mano e tanti saluti. Io cerco di lottare, di resistere. Se poi i rapporti di forza sono schiaccianti, finirà con l’avversario che mi dà un fracco di botte. Ma almeno avrò fatto qualcosa. E’ meglio prenderle dimenandosi che prenderle stando fermi. L’Einaudi è un campo di battaglia importante, come diceva qualcuno in un commento, e finché avremo munizioni e fiato continueremo a combatterci sopra. E’ una posizione sbagliata? Può darsi. Ma è quella in cui crediamo.
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@ Tutti quanti, in generale:
Sconfitto il nostro progetto? Siamo ancora qui, quattordici anni dopo quel pomeriggio in cui uno di noi propose l’incipit: “Quasi alla cieca. Quello che devo fare.” Abbiamo vissuto e lavorato, scritto e pubblicato libri tradotti in quasi venti lingue, raccontato storie a/di/con tante persone, cercato di disseppellire “asce di guerra”, usato la rete intensamente (e forse un pochino di innovazione l’abbiamo prodotta), incontrato una vasta comunità aperta di lettori italiani e non, imposto all’attenzione il copyleft, diffuso (ancora troppo poco) la carta ecologica nell’industria editoriale, e in generale fatto quello che volevamo e sentivamo di dover fare. E andiamo avanti. Se è una sconfitta, la rivivrei tutta. Anche i momenti brutti.
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@ Tutti quanti su Nori che scrive su Libero:
non me ne potrebbe fregare di meno. Di Nori, e del fatto che scrive su Libero.
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Che altro dire? Venerdì parto per l’Africa, quindi nei prossimi giorni non seguirò granché le discussioni in rete. Devo prepararmi. Salirò sul Monte Kenya (5199 metri) per lavoro. Farò tesoro di un’esperienza, raccoglierò materiale per un libro prossimo venturo. Un oggetto narrativo non-identificato. Una storia di storie di prigionie, fughe, ascese, sfide con se stessi. Non ho nessuna esperienza di montagna, non sono mai stato a una quota così alta. Sono preoccupato? Sì. Mi spaventa soprattutto la possibilità dell’edema cerebrale. Sono eccitato? Anche. Fatemi gli auguri. Ciao.
Eccomi qui anche io. Intanto, faccio gli auguri a Wu Ming 1 e al suo compagno di scalata: sarà una splendida avventura. 🙂
In secondo luogo. Non sono intervenuta fino a questo momento perchè ero curiosa di capire se qualcuno avrebbe risposto a quello che, mentre lo scrivevo, consideravo il cuore del post.
Che non è Paolo Nori.
Ma è il giornalismo, il modo di concepirlo e il modo, anche, di monitorarlo laddove usa toni, argomenti, linguaggio che, insisto, non si limitano a far risuonare la “pancia” di una parte di lettori e cittadini, ma giocano al rialzo.
Nori può fare quel che crede: come narratore non mi interessava prima e non mi interessa ora.
Il linguaggio della comunicazione – con o senza la sua partecipazione – mi interessa moltissimo.
L’insensatezza di un Ordine dei Giornalisti che non interviene su quella prima pagina e su molte altre mi interessa ancora di più.
@Wu Ming 1: Auguri per il prossimo viaggio!!
Alla fine è sempre la “cultura” del berlusconismo che viene fuori. Va bene quali sono i modelli (se debbono esserci dei modelli dati) che i criticoni saccenti propongono? Nella cultura, per esempio, è positivismo fare roghi virtuali in cui buttarci libri e uomini che escono dal vostro angusto modo d’interpretare l’intellettualità? Personalmente non sono soddisfatto del mondo che mi circonda. Detesto tante cose. Anche molti critici e scrittori. Non credo al progresso ineluttabile, perchè c’è sempre in agguato il regresso, a volte salutare. In questo mondo siamo sommersi da una valanga di minute informazioni e di divertimenti addomesticati che scaltriscono e istupidiscono allo stesso tempo. Chi opera nel campo della cultura deve umilmente contribuire ad arginare la stupidità.
… l’insensatezza di un OdG interessa anche a me, nel senso che se non interviene è meglio: visto che si tratta di una invenzione fascista. Se proprio non possiamo eliminarlo, che almeno si perpetui senza pretendere di censurare i titoli dei giornali, o peggio direttamente i giornalisti. Mamma mia: non ne usciremmo più…
Intanto faccio gli auguri a Wu ming, anche se per un uomo di pianura come lui la scalata la vedo male. Poi, ovviamente fa benissimo a rivendicare i successi che il loro progetto collettivo ha raccolto.
Non sono ovviamente d’accordo con il passaggio su Debord e Berlusconi.
Secondo me invece i movimenti,la sinistra e gli intellettuali il berlusconismo l’hanno sottovalutato. Anche per questo abbiamo perso.Credo però che una battaglia vada condotta per limitare i danni. Anche a me non interessa molto Nori. Quello che mi interessa è cercare di arginare un’offensiva antidemocratica e razzista.
Che ha già fatto enormi danno se ci siamo assuefatti alle copertine di Libero , allo stile ricattatorio del Giornale e al linguaggio della Lega,
Di questo e non del bassotuba di Nori si tratta.
Concordo con quello che dice saint-just, ovvero che ci troviamo di fronte a un’offensiva, che appare ormai vincente (e confido tanto in quell’appare), antidemocratica e razzista. Si tratta di arginare i danni, sicuramente, e di trovare non solo modi di intervento ma, prima, metodi di analisi adeguati.
Anche per me il ‘caso Nori’ e il non intervento dell’Ordine dei giornalisti è solo un dettaglio di una situazione generale che mi viene sponaneo chiamare di disimpegno morale.
D’altra parte affidare le sorti etiche di un Paese alle diverse Autorithy competenti mi sa tanto di quelle orrifiche distopie di cui abbiamo letto tanto sui libri di fantascienza.
p.s. dimenticavo: buo viaggio, Wu Ming 1 🙂
Signori è stato un piacere. a quanto pare “l’annosa questione” rimarrà tale. magari quando diventerà secolare qualcuno ne parlerà.
Scusa Alessandro, ma la questione è plurisecolare. Dell’intellettuale organico, disorganico, impegnato, di mezzo, di lato, di fronte ecc. ecc. se ne parla da sempre, con interesse altalenante.
La soluzione io non ce l’ho. Ma non penso che la discussione sul caso Nori si dovesse configurare come un dispositivo meccanico da cui sarebbe dovuto uscire un responso certo di comportamento ‘giusto’ o ‘ingiusto’ da parte di uno scrittore/intellettuale dei nostri tempi.
E mi pare fuorviante pure la formulazione data all’incontro di domani alla libreria Giufà di Roma: “c’è una cosa che si chiama: Si può collaborare con Libero?”.
Ci sono più cose in ‘quella cosa’, ma non stiamo a sottilizzare.
E con questo chiudo.
io ho un’alternativa, non una soluzione: sarebbe di non collaborare in nessuna forma con quello che si ritiene essere “il nemico”, per fare una macrocategoria che potremmo identificare anche col berlusconismo, così ci capiamo. faccio una premessa e dico due cosette, poi la pianto sul serio che tanto serve a poco. ci sono scrittori che si schierano politicamente e apertamente, e scrittori che non lo fanno. ad ammaniti nessuno dice niente perchè pubblica con mondadori. però a wuming e genna e saviano sì, per dire. sono loro stessi a soffrire la situazione, ed è comprensibile. ma, preso atto di questo, di questo disimpegno morale come l’hai ben chiamato tu, si fa prima lasciarlo sotto il tappeto e dimenticarselo, perché tanto da d’alema a wuming si pubblica col berlusca. invece sistematicamente, proprio da quella parte che farebbe meglio a far finta di niente, viene sollevata, spesso per caso, la questione rivolgendosi ad altri, tipo nori, in quest’occasione. io l’avevo detto all’inizio: siete sicuri che ne volete parlare? no, non lo eravamo. la padrona di casa dice che si parlava di giornalismo, nel post. e vabbé, cosa volete che vi dica. se vi sentite migliori a pensare che libero sia il male e repubblica il bene buon per voi. a me sembrano due facce della stessa medaglia, ma identica eh. il giornale pubblica le tette della lario? repubblica risponde con le dieci domande. si gioca sullo stesso campo. la politica, le cose serie, vengono lasciate da parte. repubblica o l’unità le facciano a d’alema le dieci domande sul perché la sinistra è vent’anni che inciucia con berlusconi. le facciano a violante. a bersani. a veltroni. invece si parla di tette e di culi che è meglio. spiegatemi, seguendo il vostro ragionamento su nori, allora chi scrive su repubblica, in pratica, appoggia quella parte della sinistra inciuciona e filogovernativa che ha mantenuto berlusconi al potere per vent’anni, dico bene? e non si vergogna quello che scrive su repubblica? e sull’unità? e sul manifesto? sono tutti organi di partito questi giornali, e rispecchiano i toni dei propri padroni. ricordo una copertina del manifesto con la foto del papa e la scritta “pastore tedesco”. io non sono credente ma ho gli occhi per vedere che magari a un credente dare del cane al papa puo’ sembrare cattivo gusto. concordo che i toni del giornale e libero sono davvero osceni, rispecchiano fedelmente i loro direttori, sono dei campioni del mondo di volgarità. repubblica invece è soltanto penoso, rispecchia la sinistretta del volemose bene basta che se magna. va detto che la pagina dei calendari di repubblica online è decisamente meglio di quella del giornale. bella soddisfazione.
Riapro perché la cosa che meno sopporto quando partecipo a discussioni in rete è di venire iscritta d’ufficio in una delle due squadre del derby: noi/voi, destra/sinistra, libero/repubblica, sostenitori fantasy/denigratori ecc. ecc. ecc.
I tempi sono paludosi e opachi, lo so, per cui per quel che mi riguarda faccio alcune precisazioni.
Non ho nessuna simpatia per la cosiddetta opposizione né per i suoi uomini politici. Vorrei che la stampa sostenitrice di questa cosiddetta opposizione fosse più schietta e radicalmente critica. La Repubblica non è il mio faro di orientamento né considero i suoi opinionisti i miei maestri di vita e di pensiero. E nemmeno considero Berlusconi il male assoluto e quando parlo di berlusconismo intendo quella specie di peste morale che ha colpito il paese in modo trasversale.
Sono perfettamente consapevole che questo paese ha mille e uno gravissimi problemi in attesa non dico di essere risolti o affrontati, ma addirittura di essere presi considerazione in modo serio e concreto, sia dalla maggioranza che dalla cosiddetta opposizione.
Aggiungo che non sono il tipo di mettere i problemi sotto il tappeto o di disfarmene perché fanno problema, che sono le due facce della stessa medaglia. Perché la realtà è complessa e lo è da molto tempo prima che fosse inventata questa parola.
Ci sono miscele, mescolanze, ibridazioni, nebbie addirittura di fronte alle quali credo che sia opportuno sempre distinguere e prendere posizione, anche individualmente.
E qui chiudo davvvero. Almeno spero.
si scusami valeria, da fastidio anche a me. non volevo inserirti in qualche categoria, facevo un discorso generale sulla discussione.
Scusate se mi intrometto: volevo soltanto ricordare che anche Tiziano Scarpa, ai primi di dicembre, pubblicò su Libero. Il testo dell’articolo compare sul Primo Amore e su Lpels, con una chiosa (presumo dell’A.) nella quale si chiarisce che il pezzo era stato pubblicato su Libero dopo che altri giornali di diversa area politica l’avevano snobbato.
Mi sembra anche questo un fatto di una certa rilevanza.
Egr. Ansuini,
ho la sensazione che Lei si ritenga persona molto, molto, intelligente, il che fa senz’altro bene alla Sua autostima. Di questi tempi è una bella fortuna, ne abbia cura.
Tuttavia ritengo le sue argomentazioni una definizione esemplare del lemma “pretestuosità”.
Quella che Lei definisce “l’alternativa del non collaborare…”, qui ed oggi (Italy 2010) equivale nè più nè meno che farsi ibernare. A maggior ragione per coloro i quali, pur dotati di una coscienza civile o culturale, non sentano nè appartenenza nè rappresentazione da parte di alcuno dei cosiddetti schieramenti in campo. Ciò che Lei, con molta intelligenza, teorizza è: non fare, non dire, non prendere posizione mai, su nulla, perchè se no è chiaro che stai con quegli altri che c’hanno la rogna anche loro e quindi… E poi così almeno nessuno ti viene a rompere i coglioni.
Molto, molto “italiano”. e molto intelligente, pure. Se lo lasci dire da uno, uno qualsiasi, che questa “ibernazione” la sta vivendo da un po’. In pratica si tratta di non esistenza, molto privata, molto provata, e dà ben poca soddisfazione.
Ai paraculi pubblici però, di soddisfazione ne dà tanta, con ogni evidenza. Dunque si rallegri, chè ha una maggioranza schiacciante al suo fianco. E non è di destra o sinistra che sto parlando.
caro luca, non è vero che teorizzo di non fare, di non dire e di non prendere posizione. dico tutto il contrario. dico proprio di fare, di prendere posizione contro entrambi i cosidetti schieramenti in campo, e di non adagiarsi sul male minore. lei dice che fuori da questo c’è l’ibernazione? dipende dall’obiettivo che uno si pone. certo, se l’obiettivo è la visibilità, sicuramente è come dice lei. se l’obiettivo invece è fare, non mi trovo d’accordo. si possono fare molte cose, anche stando al di fuori. bisogna mettesi in testa però che si fanno per una convinzione forte, e mettersi l’anima in pace con le ambizioni di successo. fatto questo, ingoiato questo, di strade ce ne sono e molte e, le assicuro, io dormo meglio. non mi piace di parlare di me, ma le faccio un esempio. l’ultima volta che i wuming sono venuti al bartleby di bologna a presentare altai, c’ero anche io. ero quello che ha portato il proiettore per far vedere la presentazione anche nella seconda stanza e ha fatto il dj all’inizio e alla fine della presentazione. il mio nome non c’era sulla locandina, anzi, c’era ma ne ho dato uno diverso, come faccio sempre. quello di wuming c’era.(giustamente, aggiungerei) entrambi eravamo la per la stessa causa, loro visibili, per scelta, e io nascosto, per scelta. entrambi abbiamo “fatto”. solo che la mia presenza non ha lasciato traccia, a parte il mio piacere personale. e questo discorso vale anche per i libri, per i reading, per i concerti. ci sono diversi modi di fare le cose. e io ritengo che sia “sempre” una scelta. per questo non accetto il discorso del “dentro o niente”. stai dentro se vuoi stare dentro. mi si puo’ obiettare che così facendo non inciderò minimamente sulla cultura italiana. bé, abbiamo visto che neanche vendendo due milioni di copie si incide nella cultura italiana. come qualcuno ha detto qualche commento fa, ognuno risponde delle proprie azioni, alla propria coscienza e al proprio tempo. e io mi sento di poter dire che la mia scelta mi fa essere sereno con me stesso, e non mi sento affatto invisibile. a me non pare poco, per questo mi scaldo quando sento dire che non c’è nulla al di fuori del sistema.
“Gomorra” ha inciso eccome nella cultura italiana, e lo dico da persona nata e cresciuta in quelle terre. Prima di quel libro e del meritorio lavoro di Roberto Saviano, solo pochi esperti avevano un’idea reale del potere della camorra. Pochissimi sapevano che si tratta di una multinazionale ramificata in tutto il pianeta. E se lo sapevano non avevano idea di quanti settori dell’economia fossero coinvolti. Si pensava a un fenomeno locale e per giunta un po’ folkloristico. I terroni si scannano tra loro, è nella loro natura di ignoranti. Era qualcosa che aveva a che vedere con il “sottosviluppo” economico e culturale. Saviano ha aperto gli occhi a una grandissima massa di non-esperti, ha dimostrato che la camorra è economia avanzata, non arretrata, ha svelato molte cose che prima leggevi solo in inchieste di nicchia. Grazie a questa presa di coscienza i media non hanno più potuto relegare le notizie in invisibili trafiletti. La magistratura in quei territori ha potuto lavorare meglio, grazie a un’opinione pubblica (un po’) meglio informata. Si sono moltiplicati gli arresti e i sequestri, e i processi hanno avuto più copertura giornalistica. E per la prima volta da chissà quanto tempo, in Italia, UN LIBRO si è dimostrato pericoloso, tanto da provocare la condanna a morte del suo autore. Pensavamo che queste cose succedessero solo in paesi “arretrati”. Succede anche qui. La letteratura può davvero dare fastidio a un potere forte. Chi dice che “Gomorra” non abbia cambiato niente non sa di cosa parla.
Ci sono ottimi libri, nel catalogo Einaudi, e anche in quello Mondadori, scritti da ottimi autori. Sono libri davvero importanti, che probabilmente, nel volgere di qualche decennio, influiranno positivamente sulla cultura di questo disgraziato paese. Intanto, con effetto immediato, i relativi introiti entrano nel bilancio consolidato del gruppo Fininvest. L’utilizzo che da qui in poi ne viene fatto non è dato sapere.
Domande retoriche:
1) quanti lettori ha guadagnato Libero con gli articoli di Nori?
2) quanti lettori di Libero sono in grado di capire quello che scrive Nori?
Non voglio minimizzare il lavoro di saviano, però dalla sua denuncia io mi aspettavo ben altri cambiamenti. sarò troppo ottimista e ingenuo, puo’ essere. ma che il porto di napoli sia ancora lì come è stato descritto da saviano a me fa paura. non abito da quelle parti, è vero, ma da qui (il nord) questo grosso cambiamento non l’ho percepito. e questo “nonostante” la denuncia di saviano, non per colpa sua, ci mancherebbe.
Accettare di scrivere su un giornale come quello è comunque avallarlo, piaccia o no.
Non posso nascondermi dietro una foglia di fico, dire magari “Beh ma io mi occupo solo di ravioli e lasagne”, “Beh ma tanto non sono d’accordo con tutto il resto”… Se si accetta di scrivere su un giornale come quello, ripeto, significa che di tutto il resto che vi si scrive importa poco o comunque ce ne laviamo un po’ le mani, o non lo riteniamo sufficientemente importante da meritare un nostro “niet”.
Lo si avalla, un giornale di quel genere, se non altro con il far finta di niente, con il tacere (sarebbe poi possibile parlare “contro”, su quel giornale?) per starsene nella torretta d’avorio che in casi come questi è tanto comoda.
Alessandro,
1) se non ho capito male il caso Nori era solo lo spunto per la Lippa per porre la questione relativa, sì, soprattutto ai giornali (anche se ti sembrerà banale), e a tutti quegli – come chiamarli? – agenti della comunicazione che intervengono nel discorso pubblico: l’impressione di qualcuno è che stiano danno pubblica legittimità a pratiche di linguaggio antidemocratiche e razziste, con le conseguenze che vediamo sul livello di civiltà del paese.
(Es: http://mazzetta.splinder.com/post/21892647/Il+Giornale%3A+fabbrica+d%27odio+e )
In questo senso Libero (e a ruota il Giornale e altri) è molto diverso da Repubblica – che pure a me non piace affatto, per inciso. Non facciamo i manichei, ok: non è tutto bianco o nero, giusto o sbagliato. Ma neanche dire che è tutto uguale. (Le dieci domande a un premier, per quanto più o meno significative, rientrano in un normale lavoro giornalistico; la foto della Lario o dire “negri” in prima pagina è un bel salto in avanti…)
2) Poi si entra nella secolare questione del ruolo dell’intellettuale ecc. ecc. Questione che ovviamente lascio ad altri, mi tengo solo la mia convinzione che una responsabilità individuale rimane, anche in un caso disperato come quello dell’Italia, che ormai sembra l’immensa corte di un sovrano fuori tempo.
Scusate, ora smetto di ripetermi.
A proposito, chissà se Cortellessa e Nori sono approdati da qualche parte…
Allora. Mi esprimerò in prima persona, ma aggiungete sempre un “insieme ad altri”.
Ho lavorato negli “spazi sociali” o C.S.A. se preferite, dalla metà degli anni ottanta fino al 2003. Erano i luoghi “fuori dal sistema”. Ho organizzato assemblee, meeting, manifestazioni, concerti, rave, presentazioni, proiezioni. sono stato alla porta, al bar, al tavolo di presidenza, dietro al banchetto delle sottoscrizioni, a reggere lo striscione, a volantinare, nei gruppi di “contatto”, relatore, conferenziere. Ho preso botte, ne ho date.
Ho fondato radio, librerie, tipografie, centri di documentazione, laboratori antiproibizionisti. Le migliori intenzioni. A volte, a volte, risultati dignitosi. di rado, molto di rado, addirittura brillanti. Sempre, molti effetti collaterali.
non si immagina quante depressioni, quanti alcolisti, tossici, drop out e fulminati. quanta sofferenza, psichica e sociale, abbia indotto o alimentato. quanta violenza non abbia contribuito a scongiurare, anzi il contrario. Mi creda, ne porto i segni, profondi, nella carne e nell’anima.
Non eravamo “fuori”. Non lo siamo mai.
Si immagini che un povero ragazzo del Togo che fugge dal suo inferno, e si fa a piedi il deserto e quasi a nuoto il mediterraneo per giungere mezzo morto nelle nostre rosarno, in ogni suo passaggio di questo moderno calvario alimenta una smisurata macchina di profitti e crimini e ogni sorta di nefandezze che può immaginare. Nemmeno “lui” è fuori, si figuri noi.
La visibilità non c’entra nulla.
Senza alcuna polemica.
@ Alessandro Ansuini
prima di “Gomorra”, al nord il camorrista era, nell’immaginario comune, il cafone con la coppola, e questo immaginario non lo bucavi. Da “Gomorra” in poi è possibile parlare di camorra in termini di sistema, e studiarla con l’apporto delle scienze sociali. E alla fine i ragazzi capiscono che camorra è anche l’outlet più grande d’Italia, la società di prestiti sotto casa appena chiusa dalla finanza, il circuito nazionale dei rifiuti, compresi quelli che scompaiono dlla propria provincia per ricomparire altrove. E se sentono al Tg nomi come “Schiavone” o “Bidognetti”, vengono in clase a dire: “profe, ieri al telegiornale parlavano di…” E anche una giornalista come Rosaria Capacchione acquista una visibilità che fino a ieri, a nord di Napoli non aveva (e che in qualche modo le fa da protezione).
A me non sembra poco, anche se il più è ancora tutto da fare.
La critica pertinente, di fronte a libri dal forte impegno sociale, libri che vorrebbero ‘ottenere dei risultati’, è quella della Capanna dello Zio Tom.
Il romanzo della Beecher Stowe ebbe ai suoi tempi un’influenza dirompente, contribuendo a rendere rispettabile l’abolizionismo ed a compattare l’opinione pubblica del Nord degli Usa contro il dominio sudista. Da questo punto di vista ‘ottenne dei risultati’.
Ma si è abbastanza d’accordo nel ritenerlo un romanzo povero e, oggi, abbastanza illeggibile (provate).
Ora, nel libro c’è qualcosa oltre la denuncia? Qualcosa che rimanga quando l’oggetto della denuncia è superato? Uno di quei libri così forti da far sì che un tirannello locale, un governo incapace, una guerra ingiusta ma piccola, un artista alla moda, invece di essere dimenticati vivano per sempre perchè hanno avuto la fortuna di finire nel mirino di un genio, magari ingiustamente? (detta anche Sindrome di Farinata degli Uberti)
C’è in “Gomorra” qualcosa che abbia impedito il terremoto in Abruzzo? Che rallenti la deriva dei continenti? Che fermi l’asteroide che nel 2032 rischia di impattare la Terra? Che fermi il ribollire del Vesuvio, o della caldera di Yellowstone?
(se a qualcuno interessa ancora l’argomento, qui c’è un’ulteriore evoluzione)
non ho messo il link, scusate: http://www.paolonori.it/riassunt/
se interessa ancora, su nazione indiana la storia continua:
http://www.nazioneindiana.com/2010/01/20/pubblicare-per-berlusconi/#more-29002
vale la pena
luca, secondo me quello che hai fatto ti fa molto onore, da come l’hai descritto, fermorestando che non conosco le vicende che poi ti hanno fatto rimanere male. qui spesso si sovrappone il capitalismo col berlusconismo. quando uno parla di non pubblicare per berlusconi ci si aggrappa a dei macrosistemi che comunque ci inglobano. voglio dire, contribuiamo al pil anche respirando, questo lo sappiamo tutti. scegliere a chi far fatturare sulla propria scrittura resta e resterà sempre una scelta dell’autore, e di quella dovrà render conto, se non ora, in futuro. anche craxi diceva che facevano tutti così. cosa doveva fare, poverino, smettere di fare il politico?
Concordo con Ansuini: è sempre questione di scelte.
Ci sono scelte più semplici e scelte più complesse. Io ho scelto di fare della scrittura un mestiere, quindi di entrare in una filiera integrata nell’industria culturale di questo paese. Potevo fare il dj nei centri sociali o nei posti occupati e sbarcare il lunario con un altro mestiere? Certo che potevo. Questo non significa che sarei rimasto “fuori” dal sistema, ovviamente, perché nessuno lo è, ma è indubbio che ho fatto invece una scelta diversa. Una scelta che mi porta a lottare in determinati luoghi e su determinate posizioni, a imporre certe cose e a subirne altre, come accade dovunque nel mondo, in ogni settore. Accade perfino nei centri sociali e negli ambiti di movimento, dove mi è capitato di incappare in dinamiche politiche e umane che avevano assai poco da invidiare al craxi-berlusconismo o al peggior democristianesimo.
E’ verissimo che ognuno renderà conto delle proprie scelte, ed esse verranno commisurate ai risultati ottenuti sul campo, alla traccia lasciata, al contributo dato alla sopravvivenza di un barlume di senso nella propria e altrui vita.
grazie della risposta wuming4. so benissimo che vi pesa portare avanti la vostra battaglia da lì dentro. mi permetto di tifare nel senso di una svolta che porti tutti gli autori di sinistra a disertare le ramificazioni berlusconiane. poi ognuno sa che quello che puo’ fare.
La nostra scelta pesa (leggi: sta sui maroni) di più agli altri. A quelli che – non si sa bene in virtù di quali galloni conquistati su quale campo – si sentono autorizzati a emettere “certificati di purezza antagonista” bollati e timbrati. No, a pesarci (nel senso di “uffa”) non è lavorare con Einaudi. A pesarci (nel senso di “due palle”) è il tran-tran degli anatemi, il mettersi in posa da rivoluzionari coerentissimi, autentici ribelli della tastiera. Mai visto un tentativo così insistente di delegare un’intifada. Wu Ming, dovete tirare questo sasso al Berlusca per conto mio. Io? No, io non posso, ho il gomito del tennista… Ho la pressione bassa… Ho il ginocchio che fa contatto col piede… Mio padre è rimasto chiuso nell’autolavaggio… Wu Miii-iing! Giochiamo a fare la guerra? Ehi, Wu Ming, ma dove andate? Aspettate… Aspet…
Per i due prossimi esploratori.
Questa canzone, che sembrerebbe offensiva, ma, invece no.
Buon viaggio!
wuming 1 non mi pare che ti delego. io il mio sasso lo tiro tutti i giorni, stai tranquillo. ti ho offerto un punto di vista “sbilenco”, poi fai/farete come vi pare.
Più che “sbilenco”, terribilmente banale.
@Ansuini: non ho detto che ci pesa portare avanti una battaglia dentro il sistema editoriale. O meglio, non più di quanto pesi portare avanti qualunque battaglia in altri settori. Certo le cose che abbiamo ottenuto con Einaudi hanno richiesto tempo, cura ed energie. Sicuramente molta di più di quanto ne costi mettere su dischi in un CSA (con tutto il rispetto per i dj e per i CSA). Nel frattempo abbiamo lavorato e lavoriamo anche con altri editori – piccoli, medi e altrettanto grandi -, che hanno meno compromissioni con l’impero economico berlusconiano, ma con nessuno siamo ancora riusciti a mettere in piedi una collaborazione virtuosa come con Einaudi. Ecco spiegato il motivo per cui continuiamo a pubblicare con quella casa editrice: per non dare un calcio al nostro lavoro, per non trovarci accanto partner magari apparentemente più “puliti” (e più presentabili alle anime belle) ma assai più incompatibili con il nostro modo di intendere il nostro mestiere.
Ai posteri dunque l’ardua sentenza su questa nostra scelta. Ognuno è padrone di emettere le proprie sentenze. E anche per le sentenze si verrà giudicati (ma non in futuro, bensì just in time). E’ appunto, una questione di scelte. Come quella di essere qui, 48 ore dopo un’operazione chirurgica o a 24 dalla partenza per l’Africa, a discutere con chi pretende di stigmatizzare le nostre contraddizioni.