PROVE DI RESISTENZA

Da venerdì scorso, eccezion fatta per una rapidissima incursione a comprare le sigarette (strade deserte, solo gabbiani e vento, incubi letterari realizzati, fulminea sensazione di libertà), sono rimasta a casa. Il meraviglioso aggeggio che mi permette di trasmettere da casa si chiama Quantum: come l’associazione criminale di James Bond, come la particella elementare. Grazie a lui, ho riorganizzato una ritualità diversa: non più leggere e scrivere nella mia stanza di via Asiago, ma sul tavolo del salone, e verso le due, invece di scendere in studio, organizzo uno studiolo alternativo sulla scrivania della stanza di mia figlia. Qui il computer aperto sulla posta, sugli sms, sulle ultime notizie, qui il cellulare con whatsapp pronto a ricevere indicazioni dalla regia del K1, qui i libri, qui il blocco con gli appunti, la penna, la bottiglietta d’acqua. I gatti sono la variabile, e ieri si sono comportati come tale, saltando sul Quantum o osservandomi stupiti perché stavo, a loro parere, parlando da sola.
L’ordine del discorso, e delle giornate, è un privilegio. So che qualunque sia il mio stato d’animo, da quando mi sveglio il centro saranno le tre ore del pomeriggio. Disconnesso l’aggeggio miracoloso sono già le diciotto, e c’è un’ora al telegiornale e poi ci sarà la cena. E.
Quando mi fermo a pensare, quando permetto alla mia mente di scavallare l’ordine del discorso e della giornata, ho naturalmente paura, come tutti. Non solo del virus, evidentemente. Ma della situazione che si stringe attorno a noi. Ricevo molte storie, in questi giorni. Ne leggo altre, come questa. Che io lo voglia o no, mi scorrono sotto gli occhi le accuse di assassinio in cui probabilmente ricado anche io, per quella corsa al tramonto verso il tabaccaio. Questa notte, poi, ho sognato di andare in onda, sempre con l’aggeggio magico, dall’atrio di un albergo, davanti agli ascensori, e dagli ascensori uscivano persone allegre e senza mascherina, e io dicevo, nel sogno, ma no, dovete metterla, ma no, è pericoloso.
E allora non va bene, mi sono detta stamattina. Fai come Frannie Goldsmith dell‘Ombra dello Scorpione, personaggio che non ho mai amato perché è una di quelle che oggi probabilmente si affaccerebbe ai balconi per urlare assassini. Scrivi le cose di prima, quelle che devi ricordare per sapere chi sei. Le librerie, quelle piccole e toste, dove ci si affolla per parlare. Il mercato di via dei Castani quando ero una sposetta, dove comprare i funghi e la sogliola per la figlia bambina. Le manifestazioni delle donne. Le corse per prendere un autobus (e mancarlo regolarmente). La zuppa calda di Irma, vicino a via Asiago. Le interminabili e bellissime riunioni del Salone. Quelle, affollatissime e rinfrancate dalla pizza bianca, di Radio Tre. Beniamino Placido che arriva nella redazione cultura di Repubblica e tutti ci stringiamo attorno a lui ad ascoltarlo. Nessuna nostalgia. Resistenza, per quello che si può. Rileggere Arbasino.  Opporsi all’angoscia, per quello che si può.

Un pensiero su “PROVE DI RESISTENZA

  1. Mi è tornato in mente che una volta avevo un giardino e tenevo un gatto. Di giorno dormiva e mangiava, la sera usciva . Rientrava il mattino , lo accarezzavo sulle scale quando andavo al lavoro. Le mie figlie lo adoravano. Pelù lo avevamo chiamato, come il cantante. Cosi per tre anni. Poi un mattino non rientrò. Lo abbiamo cercato per mesi, fino a quando ne abbiamo adottato un altro. Poi anche questo non ritornò. E così per altri due gatti. Sapevamo in famiglia del rischio nel lasciarli fuori di notte, ma per noi era giusto che seguiessero la loro strada. Ora ho una nipote in Argentina da circa due mesi, col suo ragazzo che ha là il padre; doveva rientrare il 25 marzo, le è saltato il volo una settimana fa. I suoi in piedi di notte per cercare di organizzare il loro rientro con l’appoggio della Farnesina, preoccupati per l’avanzare del virus attorno a loro , anche perché le strutture sanitarie non sono come in Italia. Poi all’ultimo ha scelto di rimanere là. Ha scelto la sua strada.

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