UNO SMERALDO SOTTO LA LINGUA: COME ERAVAMO E COME SIAMO

E’ piuttosto complicato tentare un ragionamento sui social, da ultimo. Ed è normale, peraltro: in tempi eccezionali, non si può pretendere la lucidità, non sempre, non da tutti. Non la pretendo da me, evidentemente, anche se provo con tutte le forze che ho a rimanere razionale.
Da ultimo, mi ha angosciato lo spuntare di gruppi di segnalazione di runner o anziani che camminano in strada. Gruppi che sottolineavano con orrore come molti “sputassero in terra”, e in quello sputo, certo, c’era il virus, e probabilmente, qualcuno ha anche scritto, il gesto era maligno e intenzionale. Dunque, mi è venuto in mente Gian Giacomo Mora, il barbiere.  In accordo con i Commissari alla Sanità produceva un unguento che doveva difendere dalla peste. Caterina Rosa, una brava cittadina milanese, lo vide in atteggiamento sospetto. Gian Giacomo Mora morì il 1 agosto 1630, “attanagliato con pinze roventi, gli fu mozzata la mano destra e gli vennero spezzate tutte le ossa del corpo, poi fu piegato tra i raggi di una ruota ed esposto al pubblico per sei ore dopo le quali fu finalmente ucciso mediante taglio della gola. Il suo corpo fu bruciato e le sue ceneri disperse”.
L’accusa era di essere un untore.
Mi è stato detto che scrivendo questo favorivo i comportamenti illegali (un giorno, quando tutto questo sarà finito, vorrei un contraddittorio logico su questo punto) e che  commettevo una scemenza a fare il paragone. Noi siamo civili, siam brave persone, siamo cambiati. Forse è il momento di fare un ragionamento su letteratura e cronaca, e su quanto gli esseri umani, laddove si riuniscano in massa fisicamente o su un social, possano davvero cambiare fino in fondo.
Ai tempi della peste, si riteneva che per guarire occorresse fare palle profumate di zafferano, grani di mortella, scorza di cedro, rose e viole e portarle in mano. Per non essere contagiati dalla peste, si raccomandava, occorreva mangiare pane, possibilmente profumato con l’anice, e vino non troppo dolce né aspro. E carne di uccelli di montagna, galline, capponi, galli, pernici, fagiani, tortore, tordi, merli, quaglie. Niente oche. Niente anatre. Niente pecore agnelli e porcellini, ma sì un poco di prosciutto, sì i daini novelli e la carne di capretto arrostita, e il capriolo, specie se profumato di cannella, garofani e noce moscata. Niente latte, perché putrescibile. Uova se rotte in brodo o messe intere sopra la cenere calda. Niente frutti di mare e pesci, facili da putrefarsi. Niente legumi che causano malinconia, a parte le lenticchie con l’aceto. Niente verze, carciofi, funghi, trifole, melanzane. Sì l’indivia, sì la cicoria. Quando si esce, mai affrontare la via digiuni. Con la palla di erbe in una mano, nell’altra bisognerà portare una fetta di pane inzuppata in buon vino e un poco di cedro confettato. Serve anche lo smeraldo tenuto in bocca in piccoli granuli, oppure appeso al collo come un anello che non tocchi la pelle. Fa bene il giacinto tenuto in bocca, lo zaffiro, il rubino, le perle e i coralli e il diamante legato al braccio sinistro sopra la pelle. Serve il corno bruciato del cervo. Prima di uscire di casa è bene ungersi la parte del cuore e i polsi con olio di scorpione. Più efficace dell’olio è un sacchetto da portare appeso al collo dalla parte del cuore e contenente un arsenico in cristalli, bolo armeno, sandalo bianco, coralli, perle, zafferano, legno di aloe, ambra grigia, càlamo aromatico, il tutto spruzzato con acqua di rose.
Naturalmente non ci crediamo più: magari crediamo a qualcos’altro, ai video che circolano su messenger o whatsapp, ma non allo smeraldo da tenere in bocca (vai a trovarlo, poi, uno smeraldo). Ma non divergiamo, affatto, nel voler credere che il flagello sia da attribuire a qualcuno, e che esista un colpevole, o una categoria di colpevoli, contro cui rivoltarsi. E’, banalmente, umano. I molti che stanno rileggendo “La peste” di Camus sanno che i nostri comportamenti, le nostre reazioni, sono identiche a quelle degli abitanti di Orano, che si rifiutano di credere che la peste li riguardi perché la peste “non esiste”, e dunque è soltanto un brutto sogno. Oppure: “quando scoppia una guerra, la gente dice: “Non durerà, è cosa troppo stupida”. E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare”. Poi viene tutto il resto: sgomento, paura, accettazione, rassegnazione, focolai di ribellione, speranza, eccetera.
Tutto questo è la letteratura a raccontarlo: non per spaventarci, ma credo invece per rassicurarci, per dirci che è già avvenuto, per ammonirci, anche, su cosa siamo e cosa dobbiamo tentare di non essere più. Negarlo significa vivere agganciati al presente: il che è una scelta legittima. Forse, però, non utile: non ora.
“Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po’ di retorica. Nel primo caso l’abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio”.
(sempre Camus, sempre la Peste)

Un pensiero su “UNO SMERALDO SOTTO LA LINGUA: COME ERAVAMO E COME SIAMO

  1. Leggendo quello che ha scritto Loredana Lipperini mi è venuta in mente una parola: delazione. La definizione del Treccani è: L’atto di denunciare segretamente, per lucro, per servilismo o per altri motivi, l’autore di un reato o di altra azione soggetta a pena o sanzione, o di fornire comunque informazioni che consentano d’identificarlo. Questo cinquecento anni fa quando è nata mi sembra la parola e nel secolo scorso durante il nazismo e il fascismo, sempre segretamente. Ora lo si fa apertamente sui social ed oggi non ci sono appartenenti ad etnie, religioni, politiche da estirpare , ma persone con scarso senso civico trasformati in untori. A livello giuridico ,sempre la parola delazione ” Indica l’aspetto oggettivo del fenomeno successorio, vale a dire la possibilità di subentrare, in tutto o in parte, nel patrimonio del de cuius ”
    Quindi da delatori si può passare in un niente a vittime di delazioni altrui , ricevere in eredità . Mi sembrano lontani anni luce quelli dell’infanzia ,quando mi si diceva che la spia è peggio del ladro, ma forse è tutta un’altra storia. O no? E poi il senso civico che manca nelle persone che girano per strada siamo poi sicuri di trovarlo in quelle che le additano? Non è che l’emergenza ci porta agli estremi, quando invece ci dovrebbe guidare il buon senso, quando dobbiamo stare a casa invece di uscire o sulle tastiere a cercare di far capire invece di giudicare?

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