Ogni tanto, nelle perenni discussioni “realismo versus fantastico” che ancora sono, almeno in Italia, vivissime, mi vengono in mente due pagine, che mi è capitato di leggere in pubblico, anche. Sono due esempi portatori della stessa malinconia e dello stesso dolore per il tempo che passa. Il primo viene da I Buddenbrook di Thomas Mann. E’ il momento in cui il console Thomas, giunto, così pensa e così è, al culmine della sua vita professionale e di uomo, torna al luogo delle vacanze familiari, e guarda il mare:
“Quando giunsero su al Tempietto marino, calava già il crepuscolo; l’autunno era avanzato. Si fermarono in uno dei capanni che si aprivano sul golfo, che odoravano di legno come le
cabine dello stabilimento, e avevano pareti sconnesse coperte di iscrizioni, iniziali, cuori, versi. L’uno accanto all’altra essi guardarono, giù per l’umido pendio verde e oltre la sottile striscia
di spiaggia sassosa, il mare cupo e agitato.
«Onde lunghe…» disse Thomas Buddenbrook. «Arrivano e s’infrangono, arrivano e s’infrangono, una dopo l’altra, senza fine, senza meta, solitarie e vagabonde. Eppure danno un tal senso di
quiete e di conforto, come le cose semplici e necessarie. Sempre più ho imparato ad amare il mare… forse un tempo preferivo la montagna, perché era così lontana. Adesso non ci ritornerei. Credo
che avrei paura e vergogna. È troppo capricciosa, troppo irregolare, troppo multiforme… sicuro, mi sentirei soccombere. Quali sono gli uomini che preferiscono la monotonia del mare? A me sembra, che siano quelli che hanno visto troppo a lungo, troppo a fondo nel groviglio delle cose interiori, per non cercare in quelle esteriori una cosa sola: la semplicità… Non è il fatto che in montagna ci si debba arrampicare coraggiosamente, mentre al mare si riposa tranquillamente sulla sabbia. Ma conosco lo sguardo con il quale si accarezza l’una e l’altro. Occhi sicuri, caparbi, felici, audaci, fermi e coraggiosi, vagano di vetta in vetta; ma sulla vastità del mare, che con questo mistico e snervante fatalismo srotola le sue onde, sogna uno sguardo velato, sapiente e disincantato, già profondamente entrato in dolorosi intrighi… Salute e malattia, ecco la differenza. Si scala arditamente la meravigliosa molteplicità delle cime frastagliate, delle vette e dei dirupi, per mettere alla prova la propria energia vitale, non ancora consumata. Ma si cerca riposo sulla vasta semplicità delle cose esteriori, stanchi dei grovigli di quelle interiori.»
La signora Permaneder ammutolì intimidita e a disagio, come una persona semplice, quando in società sente improvvisamente dire qualcosa di buono e di serio. «Non si dicono queste cose!»
pensò, guardando ostinatamente in lontananza per non incontrare gli occhi del fratello. E per chiedergli silenziosamente scusa, di essersi vergognata di lui, lo prese a braccetto”.
Il secondo brano è il finale di It di Stephen King:
“Si sveglia da questo sogno incapace di ricordare esattamente che cosa fosse, a parte la nitida sensazione di essersi visto di nuovo bambino. Accarezza la schiena liscia di sua moglie che dorme il suo sonno tiepido e sogna i suoi sogni; pensa che è bello essere bambini, ma è anche bello essere adulti ed essere capaci di riflettere sul mistero dell’infanzia… sulle sue credenze e i suoi desideri. Un giorno ne scriverò, pensa, ma sa che è un proposito della prim’ora, un postumo di sogno. Ma è bello crederlo per un po’ nel silenzio pulito del mattino, pensare che l’infanzia ha i propri dolci segreti e conferma la mortalità e che la mortalità definisce coraggio e amore. Pensare che chi ha guardato in avanti deve anche guardare indietro e che ciascuna vita crea la propria imitazione dell’immortalità: una ruota. O almeno così medita talvolta Bill Denbrough svegliandosi il mattino di buon ora dopo aver sognato, quando quasi ricorda la sua infanzia e gli amici con cui l’ha vissuta”.
Parlano con parole simili, narrano lo stesso concetto, e chi arriverà alla fine di It vi si rispecchierà esattamente come un uomo – o una donna – di mezza età nelle parole del console Buddenbrook. Vanno benissimo, in questo malinconico lunedì d’autunno.