QUATTORDICI REGALI DI NATALE: PICCOLE CONFESSIONI E UNA LETTERA DI TOLKIEN

Rispetto agli altri anni, faccio fatica a recuperare quello che ho sempre amato del Natale.
Sono una romantica infatuata del mito, infatti. Mi piacciono i balconi illuminati, mi piace appendere le mie ghirlande sghembe fuori dalla porta, mi piace l’albero ancor più sghembo con poche palline, di cui alcune storiche: i ghiaccioli che risalgono alla mia infanzia, e fino a non molto tempo fa c’era ancora una Minnie, unica superstite di tempi remotissimi, quando non ero nata e l’albero di Natale dei miei genitori si suicidò, precipitando da solo in terra e sbriciolando tutte le palline, tranne Minnie, e poi ci sono quelle comprate da Vertecchi quando scoprii di essere incinta e dunque sapevo di voler tornare a fare l’albero e il presepe, quelle che chissà da dove vengono ma sono sempre, da anni e anni, chiuse in una valigia che, ai tempi in cui mia madre era giovane, conteneva una coperta Lane Rossi, e la valigia aspetta quieta in cantina per dodici mesi.
Quest’anno la valigia è rimasta in cantina. Le ghirlande hanno esalato l’ultimo respiro il Natale scorso e questa volta non me la sono sentita di allestire un albero: c’è solo un surrogato piccolino e dorato nel posto dove l’ho sempre fatto, vicino alla finestra, e una ghirlanda rossa alla porta, tanto per.
Tutti gli anni però, e dunque anche in questo, ricordo gli altri Natali, quelli che erano affollati, e con tutti i posti occupati, e due o tre tavolini di rinforzo per entrarci, uno dei quali era fatalmente il tavolino dei piccoli, che altrettanto fatalmente brontolavano per la definizione.Ricordo l’inganno che ho subito da bambina, quando credevo a Babbo Natale (e lo temevo anche, perché cosa ti aspetti da uno che attraversa mondi e cieli?) e che ho perpetrato anche io. Mi piace il ricordo della vecchia signora del piano di sotto che, quando avevo cinque o sei anni, accettava di ricevermi per farmi vedere il presepe, e il presepe occupava una stanza intera e per ogni lato della stanza c’era un episodio sacro. Su uno dei lati era raffigurata la strage degli innocenti, con tanti pupetti decapitati e trafitti (da qui, credo, nasce la mia attitudine all’horror).
Mi piace dedicare un pomeriggio ai regali, che sono sempre pochi e mirati, e in genere riesco a trovare quello che penso sia giusto in quel solo pomeriggio. Mi piaceva la frenesia delle persone che vedevo in metropolitana piene di pacchetti e che ascoltavo mentre si lamentavano. Non ho rinunciato ai regali (acquistati on line, impacchettati stortissimi domenica scorsa), pochi e mirati anche stavolta.
Mi piacciono le lasagne di mia suocera,  che troverà il modo di farcele avere comunque, mi piacciono le pubblicità con le stelle e infinite variazioni su Silent Night. Mi piace l’idea che ci saranno ovunque bambini, come lo sono stata io e come lo sono stati i miei figli, che lasceranno biscotti sul tavolo della cucina per ristorare un vecchio vestito di rosso che deve fare il giro del mondo. Mi piace l’idea che ci sia luce in un inverno freddo  e che, sia indotta o meno, ci sia speranza per questo, a dispetto di tutti i dolori e le perdite e la sofferenza per chi non si siede più alla tavolata del Natale e fluttua nell’altra curva dell’otto rovesciato. Mi piace che ci siano state cene di Natale in cui uno zio acquisito regalò a mia nonna, ultranovantenne, un tanga di pizzo rosso, e lei rise fino alle lacrime, e felicissima attaccò a rosicchiare, senza denti, squisite cotolette d’agnello fritte e dorate.
Questo sarà il primo Natale in cui sarò al microfono. L’ho chiesto io, perché volevo dare un senso al mio Natale, che ci sarà comunque, noi pochi conviventi umani e felini, con l’idea cocciuta di tutti gli anni: per stanotte, restiamo vicini.
Mi piace farvi gli auguri, caro commentarium, perché ogni tenebra, come quella che attraversiamo, sia illuminata da fiammelle, e perché quelle fiammelle aumentino, giorno dopo giorno.
In dono, dunque, una lettera di J.R.R. Tolkien. Auguri, ci si ritrova qui lunedì 28.
Cliff House
In cima al mondo
Vicino al Polo Nord
Natale 1925
Miei cari ragazzi,
Quest’anno sono terribilmente impegnato – se ci penso le mie mani tremano ancora di più – e non proprio ricco. Mi sono successe delle cose tremende, alcuni regali si sono rovinati, l’Orso del Polo Nord non mi ha aiutato e ho dovuto traslocare da casa proprio prima di Natale, così potete capire in che stato mi trovi: per questo ho un nuovo indirizzo e per questo posso scrivere solo una lettera per entrambi. È iniziato tutto così: un giorno molto ventoso dello scorso novembre il mio cappuccio volò via e si infilò sulla cima del Polo Nord. Gli avevo detto di lasciar perdere ma l’Orso del Polo Nord, ODPN, si è arrampicato in cima per prenderlo e in effetti l’ha preso. Ma il Polo si è rotto a metà ed è caduto sul tetto della mia casa e poi l’ODPN è caduto nel buco ed è finito nella sala da pranzo col mio berretto sul naso, e tutta la neve sul tetto è caduta dentro casa, si è sciolta, ha spento il fuoco ed è finita giù in cantina, dove tenevo tutti i regali di Natale di quest’anno; intanto l’ODPN si è rotto una zampa. Ora sta di nuovo bene, ma mi sono arrabbiato così tanto che ha detto che non mi aiuterà mai più. Penso di aver ferito il suo orgoglio, e che quello non guarirà prima del prossimo Natale. Vi ho mandato una foto dell’incidente e della mia nuova casa sul PN (con belle cantine che danno sulle scogliere). Se John non riesce a leggere la mia scrittura tremolante (ho 1925 anni) può chiedere a suo padre di farlo. Quand’è che anche Michael imparerà a scrivere e mi manderà le sue letterine?
Con affetto a tutti e due e anche a Christopher, che ha un nome simile al mio, Father Christmas.
È tutto, a presto
Babbo Natale

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