QUATTRO MOSSE

Nuovo e Utile, il sito di Annamaria Testa sulla comunicazione, andrebbe visitato tutti i giorni: questa mattina, per esempio, ho pescato questa notizia, che riporto:
Ecco le regole: 1) vai su Wikipedia “random”: il titolo del primo articolo che trovi è il nome della tua band. 2) vai su random quotations: le ultime quattro o cinque parole dell’ultima citazione della pagina sono il titolo del tuo album. 3) vai su flickr “explore the last seven days”: la terza immagine della pagina, qualsiasi sia, sarà la copertina. 4) usa Photoshop per mettere tutto assieme. Per i titoli scegli sul tuo computer il primo font con l’iniziale del tuo nome.
Bene: dovrebbe venirne fuori una schifezza, e invece i risultati sono più che plausibili. Ne vedi di ottimi in un blog dedicato. Il gioco gira su Facebook tra Francia, Inghilterra, USA, Canada, Argentina, Australia, Sud Africa… digitando nel search “random covers” escono le pagine. Al gruppo italiano (che chiede anche di produrre una recensione) appartengono nomi eccellenti della grafica, della musica e del design e stimati professionisti delle cover vere. Probabilmente tutto funziona perché a una copertina si chiede di essere evocativa, non narrativa. Gli elementi sono sì casuali, ma già strutturati e di buona qualità, e la sintassi (il format) è rigorosa, nota e consolidata. Ma la sensazione che sia troppo facile rimane. Altre spiegazioni?
Ne azzardo una: si sta diventando abili nell’assemblare pezzi che vengono da provenienze diverse (cosa che, a ben vedere, i narratori fanno quasi regolarmente: basti pensare alla lunga lista di credits apposta da Antonio Scurati al termine di “Una storia romantica”). Mi astengo dal tirare conclusioni rapide, ma è qualcosa su cui riflettere.

8 pensieri su “QUATTRO MOSSE

  1. forse non è fuori luogo parlare dello schifo con cui Il Giornale sta cavalcando la polemica relativa al presunto plagio di Gomorra.Qualche anno fa non riservarono la stessa cagnara sull’analoga onda che riguardava la prefazione dell’Utopia di Thomas More autenticata in calce dal premier ma disgraziatamente copiata dall’opera di Luigi Firpo
    computers4u.com.au/Music/Soundtrack/Trainspotting%20%5bOriginal%20Soundtrack%5d/3%20Trainspotting.wma

  2. L’ho fatto anche io, su facebook.
    Mi pare una cosa simpatica… anzi no, se ci penso, mi viene da cliccare in sequenza per vedere quante e quali combinazioni mi propone il random.
    Ma qualcuno (?) ha detto che le storie sono state già tutte raccontate, e che l’originalità sta nel modo in cui vengono ri-raccontate (l’hanno detto davvero? E se sì, chi? Non sto ironizzando, lo chiedo veramente).

  3. Anche la musica, specie se cosiddetta “leggera”, è un plagio ben riuscito. Non so se conoscete questo sito, che avevo segnalato l’anno scorso sul mio blog:
    http://www.plagimusicali.net
    È divertente ascoltare i vari plagi elencati nel vastissimo archivio (potete segnalarne altri, se vi va): il plagiante è sempre ascoltabile in sequenza col plagiato. E ritorno.
    Su quel sito ho scoperto, fra l’altro, che per legge l’opera simile all’originale, per essere definita “plagio”, deve suscitare nell’ascoltatore le stesse emozioni dell’originale. Il che sembra lasciare uno spiraglio agli usi di tipo citazionistico.
    È interessante, inoltre, che una legge preveda il mondo delle emozioni, inevitabilmente sfumato e soggettivamente variabile (d’altra parte, si dice, fatta la legge, trovato l’inganno).
    🙂

  4. C’è stato un periodo in cui l’aggettivo “postmoderno” serviva a nobilitare qualsiasi cosa: un risotto, un bikini, una sedia; oggi è diventato una parolaccia. Io credo che se è vero che il suo assunto fondante (“tutto è già stato detto”, vedi John Barth di “Letteratura dell’esaurimento”) era un’emerita fesseria, è altrettanto vero che i suoi principali corollari (l’invito a considerare la tradizione un grande serbatoio di idee da rivisitare) hanno sbloccato un’impasse non da poco (la c.d. angoscia dell’influenza). Per il resto, è una questione di misura. Il ricorso alle citazioni può essere il riconoscimento del procedere collettivo del sapere o un semplice sfoggio di erudizione, dipende se le si intendono come un ornamento o un argomento del proprio discorso. L’impressione è che sia diventato un vezzo svuotato di contenuto, come quando si fa il segno delle virgolette con l’indice e il medio, sottolineando così la nostra estraneità alla parola data, la sua convenzionalità. Il plagio in fondo nasce anche da questo distacco e da questa deresponsabilizzazione.

  5. @ biondillo: divertente. In un discorso sul plagio, trovo un sostantivo che pensavo di usare solo io al mondo: “cippa”. Tu dove l’hai preso, Biondillo? Che poi ti racconto da dove l’ho plagiato io 😉 nix59

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