In ritardo, ma vale la pena di segnalare un post e un articolo. Il post è di Vittorio Zambardino, in Scene digitali, e si chiama Professoressa, oggi Gutenberg si chiama Internet. Dice, per esempio:
E’ stato spesso richiamato il nome di Gutenberg e una volta tanto la citazione non è un eccesso di retorica.
Ecco perché straparlare, come fa l’establishment, di anima e di
tecnica, di cultura e di tecnologia come istanze fra loro distinte, è
un errore. Qui la sfida è capire l’alfabeto e la sintassi della
rivoluzione. Non si tratta di abbandonare il latino, l’arte
rinascimentale (che non sarebbe esistita senza rottura col passato) e
la cucina mediterranea. Si tratta di portare la nostra cultura dentro
la tecnologia, ma riconoscendo il primato della cultura tecnologica.
Un giorno dopo Zetavu, Andrew Gordon, direttore editoriale di Simon & Schuster, usa parole molto simili a proposito del rapporto fra libri e tecnologia:
“this is the biggest revolution in publishing since the invention of movable type.”
Trovate questo e molto altro nell’articolo A novel use of technology di Brian Appleyard, su The Sunday Times (non smetterò mai di ringraziare Fogliedivite per il suo preziosissimo lavoro, io).
Ci fa piacere che Gordon sia arrivato a far sua la metafora che si usava per descrivere internet nel ’92 o nel ’93. 🙂
La conquista, oggi, sarebbe cominciare a chiederci come usarla per bene 😀
G.G., non pretendere troppo da un editore cartaceo 🙂
Al concorso letterario in rete lanciato da scrittomisto.it, in combutta con wireless media (= niente steccati fra i vari media, in particolare tra cartaceo e digitale) impazza il seguente giochino: ogni concorrente si fa assegnare un bel 10 da quanti più amici e parenti possibili, invitandoli nel contempo a rifilare un secco 1 a chiunque abbia un punteggio considerato pericoloso. Un po’ come al premio Strega, per dire. Insomma, oggi Gutemberg si chiamerà anche Internet, ma i dinamismi interni sono rimasti gli stessi:- )
Sedersi ancora lungo l’Ilisso, all’ombra di un platano, nella speranza e nella verità delle relazioni (peer too peer?) è tuttora un sogno vivo e non lontano dalle soglie del tempo a noi contemporaneo. Sognare che le nostre parole trovino accoglienza, giusta dimora, comprensione nell’anima di chi ci ascolta è un destino indipendente dalla natura dei mezzi (old and new). Molto connaturato, invece, alla qualità dei messaggi, la verità di noi e in noi, qualunque essa fosse, e ciascuno ne ha una propria da narrare (con blog e senza blog), in virtù della sua singolarità di creatura. Seduti in riva al fiume, come Socrate e Fedro nell’opera di Platone, nell’erba, all’ombra di un platano, che sono metafora e preludio della quiete ideale che informa il più intenso dialogo. Con il cuore della verità acceso in sé ed in mano (sulle labbra). Maestro e discepolo, media educator o apprendista comunicatore, insegnante o allievo, esperto dei nuovi media o dilettante della parola, giornalista o lettore, blogger o autore di un post (e viceversa). Sic transit gloria media, ma il fondamento dell’uomo non tramonta, e nemmeno la sua attesa curiosa di sé e dei fratelli. Di vecchio e di nuovo c’è solo lo sguardo del vero che emana dall’occhio di chi dialoga, parlando, scrivendo, ascoltando, leggendo, digitando, agendo nel corpo della parola con la propria vita (o viceversa: vivendo nel corpo l’essenza, la verità coerente, della propria parola). Aperto (oblativo?) o chiuso (ottuso?). Vivo e vero o morto e menzognero. Dunque, nuovo, o vecchio. Acceso o spento. Nascente o morente. Come la nostra civiltà, Occidentale, che non di rado si affaccia al domani con lo sguardo drammaticamente rivolto all’indietro. Piuttosto strabica esteriormente, di rado davvero memore di sé interiormente. Aggrappata alla scialuppa di salvataggio di un antico sapere e sgonfia dentro del sé che dovrebbe dialogare con i padri che invoca. Dunque, orfana anche dello spirito vivo dei suoi mentori. Che spesso soffia altrove, negli eredi che praticano, magari ignari, la maieutica di Socrate. Avverso alla scrittura (la forma del mezzo), certo, ma non alla verità che in essa si esprime, quando lo è, viva (la sostanza dell’anima). E’ la verità di noi che guida la danza. Il resto, la scrittura di Theuth, i caratteri mobili di Gütemberg, i media di massa (o la messe dei media) sono un dono di Dio per meglio stringerci la mano (libera parafrasi prosaica dalla poetica di Paul Celan). Certo, dimenticare di ringraziare Pan, può guadagnarci un’altra Babele. Molto, non tutto, dipende da noi. Intesi come creature, prima che come attori, attivi o passivi, dei (nei) media.
L’anagrafe bugiarda ch’entro mi rugge.