Uno. Ancora Vittorio Zambardino su Scene digitali:
riporto integralmente:
Non so voi, ma in questi giorni ho ricevuto decine di mail
che m’invitavano a firmare appelli di solidarietà, tutti quelli che la rete ha
creato e fatto circolare a difesa di Roberto Saviano, l’autore
di Gomorra,
minacciato dai segni inequivoci dell’ira camorrista.
In queste situazioni però scatta la conoscenza diretta
dell’ambiente (sono nato dove è nato Saviano) e una valutazione diversa del
peso che certe mobilitazioni di opinione pubblica, telematica o reale, possono
assumere.
Non ho firmato niente.
Credo che bisognerebbe tacere. Per il bene primario che è
la vita di Roberto Saviano.
L’autoconsolazione di essere cittadini elettronici, che
con un mail si promuovono a eroi anticamorra, potete risparmiarvela.
Condivido molte delle cose scritte
qui, da La Rocca.
Due. Paolo S. che mi manda questa riflessione in mail:
La strategia delineata da Wu Ming I,
"desavianizzare" Gomorra percorreva due linee: (a)
focalizzarsi sul contenuto del libro e sulle sue lucide analisi, (b) evitare la
creazione di un obiettivo "comodo" da eliminare. Saviano non deve
diventare un martire, ha ripetuto WM I tre volte nel suo primo post a riguardo.
Si è sviluppato un dibattito, sull’utilità della
solidarietà, sulla modalità opportune per manifestare, sul modo migliore di
mostrare impegno da parte degli scrittori. Niccolò La Rocca ha sottolineato
molti punti importanti, tra cui la pressione da esercitare costantemente verso
il livello politico. Rimbalzano sui blog notizie coraggiosamente pubblicate da giornali
nazionali. Mai come oggi l’attenzione (non dico di massa, ma di un così gran
numero di cittadini) è stata così alta sul fenomeno camorrista in un periodo
apparentemente privo di emergenze. Il lato B della vicenda sono la
sovraesposizione mediatica di Saviano con tutti i rischi che questa comporta,
purtroppo. Ma su Nazione Indiana, Luigi Maria Lombardi Satriani fa
notare che più che di fatti ora è il momento di parole – e intende analisi
migliori, osservazioni più attente all’oggi che alla storia ecc ecc.
Trovo serissima e rivoluzionaria l’idea che abbiamo
bisogno di più parole: "Purché NON se ne parli" è infatti una
condizione chiaramente espressa in Gomorra perché il sistema possa
continuare indisturbato a fare affari. E eliminare i portavoce è un ottimo modo,
chiassoso, estremo, temporaneamente rischioso per il sistema, ma che garantisce
un vantaggio di lunga durata che paralizza la società civile: la paura. Ci si
vergogna di vivere in una società dove dire la verità può portare alla morte.
Non si può parlare proprio quando non si dovrebbe tacere. Si potrebbe
analizzare meno rozzamente questo doppio vincolo, chiamare in causa la rabbia,
la disperazione. Mi accontento di enunciarlo.
Il "Desavianizzare", allora, può percorrere
ancora una pista. Più volte, leggendo Gomorra, ho pensato a Michel Foucault,
alle sue analisi in termini di forze, di poteri, di resistenze. E Michel
Foucault mi viene in mente anche per altri motivi. Per la sua battaglia contro
il concetto di autore. Per la deriva antipsichiatrica italiana della sua Storia
della follia nell’età classica, di cui lui stesso si stupisce e si esalta. E’
uno che ha avuto il coraggio di dire che i libri, una volta pubblicati, sono di
chi li usa, non di chi li ha scritti. E’ uno che con pazienza ha lavorato sulla
"vita degli uomini infami", e su tutti i paradossi della visibilità e
dell’invisibilità dell’individuo di fronte al potere. Autore, soggetto,
anonimato, scrittura – in questo contesto possiamo far giocare questi concetti
in un altro modo, e trarne vantaggio.
Qualcuno, sui blog, in questi giorni, ha inarcato con
sarcasmo il sopracciglio, a sentire l’idea di una manifestazione di scrittori.
Ebbene, io penso che oggi, nella rete, nell’anonimato e con la scrittura si
possa manifestare in un modo radicalmente nuovo. Si può rendere manifesta la
moltitudine delle voci senza bisogno di un porta-voce, ma solo con un supporto
informatico. Grida senza un corpo – idee che non possono essere colpite dalle
pallottole. Sfoghi, grida, testimonianze sussurrate – che importa chi parla. The revolution is faceless. Revolutionaries are
faceless. Che importano anche la lingua o lo stile, dopotutto, di
fronte alla possibilità di parlare finalmente liberata.
Io credo che letto e discusso il libro, capitene le tesi,
si possa "desavianizzare" Gomorra a partire da Gomorra,
facendo quanto ha fatto Roberto Saviano senza di lui e nonostante
lui ci sia. Nelle storie zen, l’illuminazione spesso arriva anche senza
il maestro che indica la luna col bastone, poiché la trasformazione avviene
dentro la coscienza, e il catalizzatore esterno può essere qualsiasi. Ormai,
noi abbiamo visto che si può fare, si può parlare del sistema. Sul web e
anonimamente si potrebbe farlo senza rischi personali. Immagino un sito
(diciamo un blog per intenderci, ma sarebbe anche bello studiare uno strumento
ad hoc) che diventi un muro ricoperto di graffiti anonimi ma visibili e in
qualche modo inevitabili, a meno di non voler chiudere gli occhi. Potrebbe
essere uno strumento molto potente per dare una voce a tutti quelli che
vogliono dire qualcosa. Ragazzini, commercianti, padri o madri, preti – importa
chi parla, finché se ne parla e finché c’è qualcosa da far sentire?
Una manifestazione collettiva di un tipo nuovo, una
comunità invisibile ma viva, dove condividere angosce e speranze, un archivio
di testimonianze per chi vuol fare delle analisi, un’occasione per riflettere,
uno squillo che ti sveglia. Fino ad arrivare, forse, a una massa critica…
Certo, questo è solo uno degli strumenti che si possono
escogitare. Non l’unico, non il più importante. Ma alzare in molti la testa,
anche solo sul web, secondo me non è poco.
Ah, c’è anche un tre: questo post di Giulio Mozzi.
Coincidenza, poco fa un dispaccio Reuters (riportato da Mantellini) riferiva di un giro di vite anti-nickname da parte del governo cinese.
Web, Cina vuole imporre nomi veri nella registrazione di blog
lunedì, 23 ottobre 2006 9.20 145
PECHINO (Reuters) – La Società cinese per Internet ha raccomandato al governo che venga chiesto ai blogger di usare i loro veri nomi nelle registrazioni dei blog. Lo hanno riferito oggi media di Stato, ultimo tentativo di imporre regole al mondo dei contenuti web che va a ruota libera.
La società, parte del Ministero dell’Informazione, ha detto che non sono state prese ancora decisioni ma che un “sistema con nomi autentici”è inevitabile …”se la Cina vuole standardizzare e sviluppare la sua industria blog”, ha riferito l’agenzia di stampa Xinhua, citando il segretario generale della società, Huang Chengqing.
La Cina ha già imposto altri controlli a chi partecipa a chat su Internet su temi delicati di politica, che vanno spesso oltre a quanto è permesso nel sistema dei media del Paese controllato per tradizione dallo Stato.
Be’, non c’è problema. Hanno di quei nomi, i cinesi, che sembrano tutti dei nicknames! 😉
già, ti immagini le autorità che cercano ching di nanchino? hey, amico, conosci ching?
Bello, anche questo pezzo di Paolo S.
Sono d’accordo a metà con Zambardino. Penso invece che le iniziative web vadano sostenute, non per fare di Saviano ancora più un simbolo con tutti i risvolti negativi che ciò comporta, ma per aiutare coloro che (nel caso di “Sosteniamo Saviano” sono ragazzi provvenienti dalla provincia di Caserta ovvero da “piena Gomorra”) le sta promuovendo, a loro volta espondendosi. E perché mi pare che per loro il “caso Saviano” sia soprattutto un punto di partenza e dunque siano già chi porta avanti il lavoro anche senza Saviano. Che è poi quel che stiamo cercando di fare in molti..
che bello poi sarebbe se dopo aver desavianizzato gomorra riuscissimo a desavianizzare saviano! 🙂
Zambardino si commenta sufficientemente da solo, nel momento in cui dice di aberrare che si parli di Saviano e poi ne parla ai quattro venti. Mi sembra uno di quelli che dice di non votare da anni, però magari lo dice scrivendolo su un giornale o su Internet o addirittura in televisione: contraddizione in termini, ma tant’è. C’è di peggio e il male dell’Italia non è certo il buon Zambardino.
Dei “Saviani” c’è da parlare e soprattutto da leggere. Consapevolmente e senza lasciarsi andare a facili isterismi retorici.
[Ste]
L’effetto simultaneo è simile a quello del napalm. Pagina dopo pagina, la lettura t’incenerisce terminazioni nervose, papille gustative, capillari, ghiandole e sistema linfatico. Quando chiudi il libro sei un altro, anche se hai cinquanta anni suonati!
Mentre finivo l’università, subito dopo il terremoto dell’80, fui formattato per la vita a colpi di una ventina di morti ammazzati al giorno. Tornavo dalla facoltà la sera tardi e mia madre mi aggiornava: “Oggi hanno ucciso il Tale sulle scale di casa”. Cenavo e andavo a metabolizzare nella piazza del paese: davanti al bar c’era sempre qualcuno pronto a pontificare sugli effetti indotti dalle nuove morti sui rapporti di forza tra i clan. In pubblico massima omertà, ma in privato la conoscenza rappresenta, oggi come allora, una sorta di status symbol: gli amici ti ascoltano, t’interpellano e, non si sa mai, qualcuno potrebbe pure avvicinarti per chiederti una mediazione. L’unica regola aurea è quella di stare attenti alle orecchie indiscrete e, anche se sei al cospetto di platee “sicure”, non emettere mai giudizi. L’omicidio mafioso si analizza, si sviscera, si ispeziona, mentre si digeriscono i peperoni arrostiti davanti ad un gelato affogato nell’amaro. Ma guai ad entrare nel merito, perchè l’esecuzione a tradimento è un evento naturale, tipo i temporali o i terremoti. Ci sono e ci saranno sempre. Chi si scandalizza o si meraviglia è un “cretino”, come il povero insegnante protagonista di “A ciascuno il suo”, campione indimenticabile dell’insipienza illusa con cui l’intellighenzia democratica tenta d’interpretare la questione meridionale.
Sotto il diluvio di soldi che inondò la Campania per la ricostruzione, i media restituivano un’eco smorzata e manipolata della mattanza, sempre più relegata verso il fondo del “pastone” televisivo, ma con un messaggio nemmeno tanto subliminale: “Niente paura, si stanno solo ammazzando tra loro”. Peccato che lo fanno per strada, agli incroci, nei saloni dei barbieri, sui marciapiedi affollati d’indigeni alle prese con le rogne quotidiane.
Se vivi una gioventù del genere ti procuri anticorpi grossi come anguille. Quando sei pronto a prestare il tuo contributo alla vita economica e civile del paese, quando senti l’istinto invincibile a procreare per garantire la continuità del tuo ceppo, lo scafandro che ti sei cucito addosso per non scappare da quei luoghi di morte ti procura un ottundimento da oppiaceo, irredimibile ed irreversibile, verso ogni forma di orrore. Mentre il resto dei connazionali andava consolidando l’attitudine a rimuovere i morti sciorinati durante la cena dal telegiornale, noi imparavamo ad aggirarci sulla scena di un agguato. Sapevamo classificare i bossoli circoscritti col gesso, interpretare la posizione della salma, analizzare il significato recondito delle modalità dell’esecuzione ed intuire la più verosimile relazione tra la vittima ed i mandanti. Nessuno stupore, nessun turbamento per le macchie di sangue indelebili sul selciato. Sapere quanto è difficile rimuoverle e quanto è semplice girare il volto dall’altra parte, è la sintesi perfetta della nostra educazione sentimentale. L’unica era chiudersi a riccio nel privato, cercare di fare carriera, educare i bambini, rispettare moglie e genitori, sperando che i ras non si accorgessero di te e dei tentativi che facevi per illudere i tuoi figli di essere nati in una terra opulenta dell’occidente avanzato e democratico.
Ma poi, un po’ per caso, un po’ per il masochismo istigato dal pessimismo della ragione, t’imbatti nel bombardamento al napalm di Gomorra, ed assumi (o riscopri?) la drammatica consapevolezza che ai tuoi ragazzi toccherà lo stesso destino taroccato dal peccato originale di essere nati a Gomorra che è toccato a te. Ti senti colpevole per non averli portati via da qui quando ne hai avuto la possibilità. Tra i bagliori delle bombe affabulatorie di Saviano, riconosci i comportamenti genetici con cui sei riuscito a convivere nella lusinga che fossero il risultato della povertà, dell’ignoranza, dello sfruttamento, dello sperpero di denaro pubblico, dei disegni malefici dei poteri occulti. L’arsura delle meningi ti sveglia dal torpore posticcio nel quale ti sei volontariamente ibernato e capisci che la morte del diritto (quando va bene), la porti nel sangue, come i portatori sani di una malattia aberrante. Intuisci cosa si prova quando ti dicono che sei affetto da un male inguaribile. Pensi al futuro e sai per certo che non potrà che peggiorare, perchè il gene della sopraffazione, rimosso durante il periodo di forzato letargo in cui ti sei concentrato ossessivamente sul tuo privato sbarrando ogni più piccolo spiraglio verso l’esterno, quella tara atavica intrisa di paura e rispetto, ma anche di malcelata ammirazione, è mutata, si è irrobustita ed ha assunto il pieno controllo dei rapporti economici leciti, dei centri decisionali, della classe dirigente nazionale ed internazionale. Abbiamo esportato il morbo, lo abbiamo fatto attecchire ovunque. L’ascesa della “linea della palma” è completa, e nessuno può ancora illudersi che il racconto di Saviano non sia vero come acqua di fonte, illazioni e simulazioni comprese, tutto tristemente sotto gli occhi di tutti e chi ha ancora il coraggio di scandalizzarsi è proprio senza speranza!
Il nostro destino è già in necrosi, i nostri residui gradi di libertà ci lasciano solo la possibilità di scioglierci nel terreno come concime infetto. La nostra più rosea prospettiva non consiste più nella fuga, ma nella sottomissione, perché per la resistenza non ci sono più le premesse. La Confesercenti valuta il giro annuo d’affari leciti della malavita organizzata in 75 miliardi di euro, “pari a un colosso come l’Eni, doppio di quello della Fiat e dell’Enel, dieci volte maggiore di quello della Telecom”, mentre nelle vetrine di Palermo compaiono le magliette con la scritta “Mafia, made in Italy”.
La cronaca, vera, raccontata da Roberto non è anamnesi, né tanto meno terapia. L’enormità dei soprusi, la palese evidenza del diffuso consenso sociale che riscuotono gli attori della criminalità organizzata, la determinazione da kamikaze dei ragazzini che fanno a gara per farsi arruolare dalle cosche, ricordano piuttosto le tristi cadenze di un referto autoptico, privo per giunta delle indicazioni operative necessarie ad individuare le cause del decesso e ad evitare che muoia altra gente per mano dello stesso male.
Chi legge Gomorra “dall’interno”, specie se si era illuso di aver tenuto fuori il morbo dal proprio cortiletto, avverte nella pancia che non c’è alcuna via di scampo, non c’è bonifica che tenga. Chi ne sta fuori, chi non conosce gente che paga il pizzo, chi non si muove tra collinette d’immondizia abbandonata per strada e muore di cancro per le scorie radioattive sepolte sotto il paese, chi si sente al sicuro di fronte ai trafiletti di cronaca nera che raccontano gli agguati con il template dei “coccodrilli”, s’indignerà per un quarto d’ora, osannerà le doti incontrovertibili di narratore dell’autore, si preoccuperà ancora, giusto dieci minuti, che il brillante ragazzino (categoria completamente ignota alle dinamiche dell’esistenza italiana) dotato di talento letterario e palle ipertrofiche sia ancora in buona salute, firmerà un appello accorato sul web e poi si concederà un bel caffè ristretto, perché, dopo una cena pesante, parlare di omicidi porta pure sfiga.
Cara Loredana,
grazie. Il punto grave è che non si comprende che dietro l’invito a spegnere i riflettori su Saviano ci sono due considerazioni:
1) salvare la vita di questa persona;
2) chiamare lo stato ad essere decente (stavo per dire efficiente, ma non è il caso) e non aver bisogno sempre delle mobilitazioni straordinarie, e dei relativi martiri, per fare il suo dovere.
Che in campania sarebbe quello di stroncare la camorra manu militari (e di intelligence) come da 60 anni non si fa, preferendo acquiescenza e intendenza, all’occasione.
Il resto è foia della firma. Gia’ negli anni ’50 si polemizzava su questo, non continuerò io.
Vorrei dire al signor Zambardino che ho firmato la mail e l’ho fatto senza autoconsolarmi né promuovendomi a eroe anticamorra. L’ho fatto soltando pensando che se fossi sotto tiro vedere che qualcuno dice qualcosa per me sarebbe moralmente d’aiuto.
Può darsi che questo sia ingenuo, ma per come la mette il signor Zambardino io sarei un disgraziato mitomane, mentre al massimo sono un disgraziato ingenuo.
Sarebbe bello che un giorno ci svegliassimo e scoprissimo che durante la notte tutti quelli che si autoproclamano giudici sono tornati persone semplici.
La prossima settimana chiudiamo la raccolta firme.. e magari tentiamo anche di desavianizzare Gomorra e ancor meglio di Desavianizzare il tutto. Io il sito avrei intenzione di mantenerlo magari cambiare il banner e il nome ( creare un redirect da sosteniamosaviano al nuovo sito )e seguire l’idea di wu-ming. Purtroppo wu una volta si fa sentire e 10 no.
Riguardo Zambardino posso dire che la cosa è partita dal cuore e dall’impulso di chi a 19/20 anni si è stufato del luogo comune Casertani e Napoletani = filocamorristi .. ed è rimasto sconvolto da un titolo come Saviano? No grazie e dagli episodi raccontati in quell’articolo.
Quando è stato creato il sito sinceramente non ci siamo messi a pensare alle cose importanti che tu analizzi, avevamo bisogno di lanciare un messaggio forte anche esponendoci in prima persona dato che essendo abitanti di Gomorra chi vuole può sapere chi siamo in due minuti.