Amelia è una canzone di Joni Mitchell dedicata ad Amelia Earhart, l’aviatrice pioniera che per molte donne (e bambine) americane è il simbolo del coraggio. Mi sono tornati in mente alcuni versi di Mitchell, stamattina:
People will tell you where they’ve gone
They’ll tell you where to go
But till you get there yourself
You never really know
Finché non vai da sola, finché non parti e guardi con i tuoi occhi, non puoi conoscere nulla. Penso, dunque, all’avventura di Michela Murgia, che per molti si è conclusa ieri con una sconfitta. Per quei molti (e quelle molte, ahi), è motivo di soddisfazione e di rassicurazione: essere rassicurati significa dare fiducia a chi, in teoria, non si comporterà fuori dagli schemi. Ho visto accadere qualcosa di molto simile in altre due occasioni, e in tutti e due i casi il Pd era il luogo della rassicurazione e le personalità indipendenti erano il perturbante. La prima occasione è stata la candidatura (dal basso) di Lorella Zanardo al consiglio di amministrazione Rai: era la persona giusta nel posto giusto, ma dal partito democratico, e da alcune donne che in quel partito o per conto di quel partito erano “designate” a rappresentare tutte le donne italiane, si ritenne che era troppo autonoma. Non ce la fece. La seconda occasione è stata la candidatura di Stefano Rodotà alla presidenza della Repubblica: anche in quel caso, la persona giusta al posto giusto, e anche in quel caso si ritenne che no, non andava bene. Non ce la fece neanche lui. La terza occasione è nota: Michela non ce l’ha fatta.
Niente uva, niente volpi, niente giustificazioni: speravo che andasse meglio di così, evidentemente. Però, quel 10% conquistato con pochi soldi, una coalizione nuova, nessuna disponibilità all’intrigo e al gioco di potere (è questo, credo, ad aver fatto indispettire fino a perdere il lume della ragione molti interlocutori politici: nel momento in cui si rifiuta una pratica, ci viene posto davanti agli occhi uno specchio in cui si riflette chi quelle pratiche le adotta. E spesso non è una bella visione). Parole nuove, narrazioni nuove, come detto un’infinità di volta. Per me, questa è una lezione di coraggio di cui occorrerebbe far tesoro, qualunque cosa accada a partire da oggi.
E sono fiera di avervi assistito.
Anche a me è dispiaciuto molto che Michela non ce l’abbia fatta. Continuerò a seguirla e a pensare in modo autonomo: questo nessun voto popolare ce lo potrà impedire.
Gentile Loredana, mal comune mezzo gaudio in questo caso.
La verità è che in queste elezioni regionali abbiamo perso un po’ tutti.
Hanno perso i partiti vincitori, gli oppositori, gli indipendentisti, perfino io che sono astensionista dura e pura dagli anni ’90 (con sporadiche eccezioni) ho perso di brutto.
Hanno perso sicuramente le donne che hanno votato una donna presidente in quanto donna mentre nel resto delle liste c’erano centinaia di altre donne validissime, e hanno perso quelle che non hanno votato una donna presidente per lo stesso motivo di genere, non dimenticandosi di riversare nella rete e nei bar centinaia di commenti subdoli, cattivi, sovrastando il dibattito con cachinni, maldicenze, risate e battute offensive.
Ormai l’hanno capito tutti, perfino i preti l’hanno capito (leggevo ieri un editoriale cattolico molto lungimirante), cos’è l’antipolitica.
Lo sanno perfino le pietre qual è il fuoco che cova sotto la cenere, qual è il nuovo fascismo che avanza alle porte.
Gli unici veri vincitori ora sono quelli che si accontentano di questo piccolo successo momentaneo, che hanno colto questa opportunità al volo prima che la marea di merda ci sommerga, e intendo quelli e quelle che hanno i soldi, che hanno agganci ovunque e i cui faccioni campeggiavano dai lati degli autobus con i loro clientes sparsi in tutto il territorio a promettere lavoro.
Mi spiace per gli indipendentisti che hanno creduto in questo sogno “democratico”, sia per Sardegna Possibile che per il FIU, ma credo che sia finalmente arrivato il momento di fare un bel po’ di autocritica sul perchè non si sia riusciti ad intercettare la massa di persone che non intende più legittimare il sistema che è la realtà politica più importante che abbiamo in Sardegna in questo momento.
Grazie per questo spazio, come sempre.
guardando come si è spalmato(è la parola giusta,intesa nell’accezione peggiore)il consenso di coloro che anno votato,direi che non c’è molta speranza.Anche perchè senza essere manichei il centro-sx,come del resto il suo antagonista storico,ha dimostrato di essere a malapena in grado di gestire l’ordinaria amministrazione. Michela Murgia,end her friends,senza dare mai la sensazione di volere assurgere al rango di salvatore della patria(cosa che mi avrebbe fatto ragionare diversamente)forse avrebbe potuto far scartare di lato il treno in corsa(quello di “cassandra crossing” o l’altro di “a 30 secondi dalla fine”,decidete voi quale),nella fase di rallentamento in prossimità di qualche altura,e magari saremo potuti scendere nei campi a prendere il sole e ragionare sul da farsi. Comunque,se tanto mi da tanto,è solo questione di tempo,e se avranno la pazienza di riprovarci raccoglieranno senz’altro qualche frutto di stagione. Pane,fiore e pertinacia
Tutti si lamentano che le cose non cambiano, ma non si rendono conto che sono loro restii a farle cambiare.
MM si conferma di straordinaria stazza intellettuale, a fronte di frotte di navigatori di incerto piccolo cabotaggio
Considerata realisticamente la situazione, il 10% della Murgia non mi è sembrato una sconfitta.
Nutro un grande disprezzo per la conquista del potere fine a se stesso (e/o, peggio, al sevizio di interessi disdicevoli); è al contrario “virtuoso” ricercarlo in funzione di un progetto, anche modesto, giovevole per la comunità.
Per ottenerlo – o almeno provarci con qualche possibilità di successo- occorre una visione alta (ma non rigida e utopica) del campo in cui tocca muoversi. Altrimenti la battaglia -pur sempre onorevole, come in questo caso- ha un valore dimostrativo.
La candidatura di Rodotà è stata di tal genere…
Da osservatore (molto) esterno, mi vien spontanea una domanda: come mai invece di votare Murgia, il 48% circa dei sardi ha preferito astenersi? Sarò ingenuo ma mi par di capire che l’unica speranza di cambiamento non violento e democratico in questo Paese potrà arrivare solo se si riuscirà a rimotivare chi per varie (e spesso valide, ahimé) ragioni non va più a votare.
E allora: si è ripetuto lo schema “piene le piazze, vuote le urne”?
Oppure in molt* hanno pensato che la proposta di Murgia era troppo utopica per essere messa in pratica e quindi se ne sono allontanat*?
O ancora: dobbiamo rassegnarci a essere un popolo troppo plagiabile dai proclami (specie se televisivi) per poter immaginare una qualsiasi alternativa?
Michela Murgia parlava solo alla testa o anche al cuore dei possibili elettori?
E coloro che hanno votato, a parte quel 10%, hanno pensato solo ai propri possibili tornaconti più o meno immediati?
La questione forse l`ha risolta la Santacroce qualche sera fa su FB,quando,in un altro contesto e con un iperbole,ha scritto che siamo quasi tutti morti
Due parole controcorrente – nel senso: non sono il commento di una “sconfitta”. La politica, quella vera, è fatta di tempi medi, a volte anche lunghi: sì, i tempi lunghi, quelli che nel lungo periodo saremo tutti morti, come diceva Keynes. Il che vuol dire avere lo sguardo più lungo del nostro orizzonte. Ora, legittime delusioni a parte, ragionare sul 10% del 50% in un’isola dove il 42% ha votato per la cementificazione [apro parentesi: Michela Murgia ha tolto più voti al centrodestra che al centrosinistra col voto disgiunto, chi l’ha accusata di voto inutile dovrebbe avere la capacità di scusarsi e ringraziarla] significa ricadere nel frame della “donna della provvidenza” che “viene dal di fuori della politica” e come tale vince, e vincendo fa la rivoluzione. Murgia, peraltro, di politica – su posizioni sardiste – si è sempre occupata. Oltre a cercare di far capire che è “politica” anche quello che appare, ai più, impolitico. La scommessa politica comincia invece adesso: costruire un’opposizione che cercherà di essere maggioranza la prossima volta, con un lungo e paziente lavoro di 4-5 anni (e del resto, mica ha esordito con “Accabadora”: però ci è arrivata, a scrivere “Accabadora”, partendo dal blog di “Il mondo deve sapere”). Se Murgia ne sarà capace potrà farcela, se deciderà di dargliela sù (come si dice “darla sù” in sardo?) avrà sprecato un’esperienza e legittimato la politica-fast food. Io spero che ci provi.
“È più facile spaccare l’atomo che togliere un pregiudizio dalla testa”,diiceva Einstein. In questo caso il pregiudizio su la donna-Michela. Ciò che ha influenzato è un “tempo infinitamente piccolo”. Alla prossima Michela. Piedi e scarpe non sono disturbati da staticità,a quanto pare… Mirka
Incollo qui l’intervista che Michela ha rilasciato alla Stampa.
Due giorni dopo le elezioni sarde a cui ha partecipato per la prima volta guidando una coalizione indipendentista (10,3% dei voti, terza dopo Pd e Forza Italia), Michela Murgia torna scrittrice. Oggi ricomincia a lavorare al romanzo bloccato sette mesi fa, quando decise di candidarsi.
Aveva detto chissenefrega dei romanzi…
«Non ho vinto, torno al mio mestiere. Dovrebbero farlo tutti».
E la politica?
«Continua. Il progetto prescinde dal mio mestiere, nulla andrà perso. È un inizio, non una fine».
Sente il peso del flop?
«Per l’aritmetica sì, per la politica no. In cinque anni il centrosinistra ha smarrito 65 mila voti, Cappellacci 165 mila. Noi sette mesi fa non esistevamo, siamo partiti in 300 e arrivati in 76 mila. Allora, chi ha perso?».
Però siete fuori dal Consiglio.
«È una delusione. Merito di una legge liberticida e incostituzionale che premia partitini con un decimo dei nostri voti purché si intruppino con Pd e Forza Italia. Nel sistema. La democrazia se la passa male».
Ha mai sperato di vincere?
«Siamo stati gli unici ad avere il coraggio di chiudere la campagna elettorale in piazza. Quella storica delle vittorie della sinistra. Davanti a tremila giovani tutto sembra possibile».
E i voti grillini?
«Ne abbiamo presi pochi. Il nostro non è elettorato di protesta, ma di opinione. Abbiamo cercato di portare la pancia verso la testa».
Rimpianti?
«Una parte degli elettori voleva sentirsi dire: tutti a casa. Ma io non sono l’Accabadora della politica sarda».
Tra cinque anni si ricandiderà?
«No. Se il nome da ricandidare fosse ancora il mio, sarebbe il nostro fallimento. La politica è piena di padri che hanno soffocato i figli in culla, non aggiungerò il mio nome alla lista».
Che cos’è l’indipendentismo per lei?
«E’ la funziona piena della responsabilità politica di sè».
Psicologica o istituzionale?
«Entrambe, l’una fonda l’altra. Il Pd sardo ha chiamato Renzi chiedendo cosa fare di Francesca Barracciu, vincitrice delle primarie, che era bassa nei sondaggi. Questa è dipendenza».
Con un uomo al posto della Barracciu , il Pd l’avrebbe fatto lo stesso?
«Forse, ma non con quella logica disumana, da branco contro la preda ferita. Fuori lei perché indagata, dentro quattro indagati in lista. E tre eletti».
Anche lei ha subito la stessa logica?
«Non mi ci sono mai infilata».
Solo quattro elette su 60. Non è una politica per donne?
«Per una donna alle elezioni vale il paragone con Ginger e Fred. Ballavano entrambi, ma lei all’indietro e su tacchi alti. Eppure tutti si ricordavano di lui».
Che cosa l’ha colpita di più?
«Livore e menzogne. Le donne del Pd hanno idolatrato Daniela Santanchè, sempre antropologicamente vilipesa, solo perché mi attaccava in tv. La logica è: il nemico del mio nemico è il mio amico».
Che cosa vuol dire, per lei?
«Perdere di vista l’orizzonte di lotta».
Costa Concordia, poetessa, scrittrice radical chic celebrata fuori dalla Sardegna: quale l’ha più infastidita?
«Tutte. Sono figlia di popolo, ho alle spalle una vita da precaria, vivo in una delle vie più povere di Cabras. Essere tradotta in 21 lingue significa essere una notizia nel mondo. Dovremmo esserne fieri, noi vittime del concetto di periferia. Ma la legittimazione continentale è schizofrenica».
C’entra il maschilismo?
«Mi hanno tacciato di incompetenza. L’avrebbero detto anche se fossi stata professoressa come Pigliaru».
Pigliaru aveva già fatto l’assessore.
«Soru non aveva amministrato nemmeno un condominio, ma nessuno l’aveva attaccato per questo».
Amministrava una grande impresa con migliaia di persone.
«Un’impresa è un’organizzazione monarchica e gerarchica che persegue interessi particolari. E perché chi l’amministra deve essere giudicato automaticamente competente per la politica, per governare comunità di uguali nell’interesse generale, anche delle generazioni future? Non funziona».
Ha telefonato a Pigliaru?
«Gli ho fatto gli auguri in tv, ma non salgo sul carro del vincitore. Lo stimo come persona ma non condivido le sue idee: è liberista in un modo in cui non lo sono più neanche a Chicago».
Sarà un buon governatore?
«Non l’ho mai equiparato a Cappellacci. Ma è stato scelto da un partito che ha difeso scelte conservatrici e dipendentiste, dalle basi militari alle centrali a carbone».
Non potrà essere indipendente?
«Da domenica sera è prigioniero politico del Pd».
Intervista da brividi, impossibile non sottoscriverne parola per parola.
Però mi ha fatto anche capire perché ha potuto prendere quei pochi voti e perché il suo modello, se riprodotto a livello nazionale, non funzionerebbe mai.
Lo so, sono pessimista fino alla disperazione, ma l’aria che respiro intorno è sempre più mefitica e venefica. Non so voi.
Non la considero una sconfitta quella di Michela. Ma l’inizio di qualcosa, se si vuol continuare ad innaffiare il fiore, ben inteso…
(e in ogni caso, Lippa, grazie per avermi fatto riascoltare il capolavoro di JM. La mattinata ha assunto subito un altro sapore)