RACCONTARE LA BATTAGLIA

Ovvero, di come le parole possano diventare armi e lance, di come Borges scrisse una fanfiction, del significato della foresta, e molto altro: su Carmilla, la lecture di Wu Ming 4. (in fondo, il link al numero di Giap! sul decennale di Q, e molto altro)
Altre battaglie, altre storie, in Material Girls, il primo dei QuaderNI di Nazione Indiana.

99 pensieri su “RACCONTARE LA BATTAGLIA

  1. Ma ma, la lettura cazzutissima di Scarpa al saggio Nie, tra l’altro anche con momenti di elogio per WM1, non è diventata un link qui?
    (magari me lo sono perso eh…)

  2. Ho ascoltato solo il primo intervento di Wu Ming 4 (più tardi provo ad ascoltare il resto della lezione, tempo permettendo).
    Beh, interessante questa decostruzione della concezione retorica dell’onore e soprattutto intrigante la demistificazione della figura del leader, spesso causa della rovina di coloro che ciecamente lo seguono. È un monito. Wu Ming 4 sembra metterci in guardia. È utile una riflessione di tal genere soprattutto in tempi di crisi, quando molti auspicano la venuta di un capo forte in grado di risolvere ogni avversità.
    Gli ultimi scritti di wm4 paiono legati da un filo rosso e ho come l’impressione che a queste riflessioni potranno seguirne altre. Insomma, attendo ulteriori approfondimenti.

  3. Già sul blog di “Stella del Mattino” era venuto fuori questo tema dell’orgoglio collegato all’eroe.
    Non sapevo della quaestio filologica che effettivamente cambia radicalmente il tono e il senso del poema. Tra “audacia” e “orgoglio” di acqua ce ne passa parecchia.
    Forse da un punto di vista storico (dell’epoca), l’impresa del sire sassone pare più da elogiare che da criticare per idiozia militare.
    Ma Tolkien è ben degno di fiducia e può starci benissimo che un poeta anche nell’anno mille avesse una certa lucidità di giudizio in merito. Peraltro lessi qualche tempo fa “Il cavaliere Verde”, un poema che già affrontava in maniera “moderna” il mito dell’eroe.
    – – –
    C’è da dire però che da un punto di vista letterario, la scelta di Byrhtnoth si rivela azzeccata. Se avesse deciso di massacrare facilmente i pirati nello stile “termopili”, la storia sarebbe stata davvero poco emozionante.
    Aldilà della battuta, il tema – ma suggerirei il “problema” – della iubris di un eroe resta ancora valido epperò difficilmente risolvibile. Se guardiamo all’episodio da una prospettiva militare-politica-umanitaria, il gesto di Byrhtnoth si rivela una cazzata magna. Oltre che deprorevole. Il suo dovere era difendere la sua terra e il suo popolo, non farsi uccidere per “cavalleria”.
    Visto con occhi moderni se non contemporanei questo eroe non assume una luce particolarmente positiva, come suggeriva Tolkien.
    Ma per un narratore questo gesto è micidialmente potente.
    Spesso l’epica canta di eroi che non sono positivi al 100%, tutt’altro. Ulisse, forse il più mitico degli eroi, compie anche lui milioni e milioni di peccati degni di Byrhtnoth. Anche lui lascia massacrare i compagni. Anche Edipo per amor della verità più che di Epicasta e figli va dritto come un treno fino alla fine.
    Lo stesso Tolkien ha creato un eroe che sovrasta di gran lunga tutti gli altri. Feanor, talmente orgoglioso che brucia appena muore. Le conseguenze delle sue gesta sono tragiche, ma di fatto servono sia in primis alla narrazione sia a posteriori alla creazione di un ordine del mondo non più legato ai poteri precedenti.
    Un narratore coraggioso come il poeta citato da WM4 critica l’azione stolta del sire dell’Essex. Ma non può negare che se dovessimo trovare qualcosa di interessante in quella storia è proprio quell’azione.

  4. Scusa WM1 ma Loredana che è cenerentola?
    Anche Lipperatura deve stare alla pari con gli altri blog letterari. Non è che Cramilla è serie A e ci ha tutti i link e qui invece ce n’è uno sì e uno no…
    Cospirare: respirare assieme.

  5. L’ho letto un po’ di corsa Ekerot a Anna Luisa, ma ho seguito lo scritto di WM4 con una certa suspance per vedere come andava a finire, e lasciandomi dietro eroismo e ybris, mi sembra di aver intravisto le alternative, gli ‘spin off’ che un racconto può creare per insegnare a noi a proseguire la storia in altri modi. Byrthnoth poteva fare solo quello che ha fatto per essere un eroe?
    Paola

  6. Spiego. Lo scrivo in questo post perché il link su Lipperatura non c’è, e non posso che segnalarlo qui, che in fondo è un post di link, ameno di non metterlo nel post sul NIE che però è ‘sepolto’.
    Ora, se come trovo scritto su Carmilla negli ultimi interventi – tra l’altro quello di Scarpa – il livello critico si è alzato, è importante che la cosa diventi un esempio, quindi che sia ripresa il più possibile.
    Così se i critici-automatici non leggono Carmilla o Il Primo amore, ma buttano un occhio in Lipperatura, la cosa gli arriva.
    Se no come fate a fargli cambiare atteggiamento?
    Bisogna rompere le scatole, cospirare e rompere le scatole, ma dovete cospirare non in cinque, ma in cinquanta.

  7. Andrea, gli aggiornamenti settimanali sul dibattito NIE sono su Carmilla. Lipperatura ne parla ogni tanto, sporadicamente. Si sa che è su Carmilla che si cerca di seguire tutto, c’è una sezione tematica specifica, mentre qui non c’è.
    Intanto, seconda parte di “New Italian Epic: reazioni de panza”:
    http://www.carmillaonline.com/archives/2009/03/002968.html
    Buona lettura! 🙂
    .
    P.S. La prossima settimana, rispondo anche a Tiziano Scarpa.

  8. Certo che il conte di Essex poteva fare altro per essere un eroe.
    Poteva ad esempio scagliarsi da solo contro i pirati e morire “simbolicamente”.
    Questo senz’altro.
    Ma il punto che trovo interessante è proprio quello dell’orgoglio, che – forse sparo una cazzata – ma mi pare caratterizzi in maniera determinante un eroe letterario (perché sempre di quello sto parlando). Lo rende in qualche modo legato alla propria epoca e lo differenzia rispetto a tutti gli altri.
    Il gesto che compie Byrthnoth, oggi – anche in un romanzo – verrebbe considerato una mossa quasi comica.
    All’epoca, evidentemente, veniva interpretata come una fedeltà anche troppo scrupolosa al codice cavalleresco: affrontare il nemico ad armi pari (cosa che il pirata svedese non fa visto che combatte con un esercito 3 volte maggiore).
    Ciò che intendevo dire è che quel punto mi sembra proprio il segno caratteristico di questa storia, e non deve sembrarlo solo a me visto che WM4 ci ha scritto su e Tolkien con Borges hanno addirittura pensato a dei finali alternativi.

  9. @Paola/pdg:“Byrthnoth poteva fare solo quello che ha fatto per essere un eroe?”
    Beh, in parte ti ha risposto Ekerot dicendo: “poteva ad esempio scagliarsi da solo contro i pirati e morire simbolicamente”. Mi ha fatto venire in mente un episodio della storia romana ovvero la *devotio* (è una pratica religiosa, il comandante sacrifica se stesso agli dei gettandosi tra le schiere nemiche e in cambio ottiene la salvezza del proprio esercito) di Decio Mure. In quel caso il “cantore” della leggenda di Decio Mure è Tito Livio che riporta la sua storia.
    L’alternativa, considerato il rapporto di forze sbilanciato, è la guerriglia cioè la scelta di evitare lo scontro diretto e passare al combattimento non ortodosso. E la letteratura è piena di eroi guerriglieri divenuti leggenda (Odisseo, Robin Hood…). La guerriglia è una prassi di combattimento atipico che trae la sua origine proprio da uno squilibrio di forze, da una situazione iniziale di asimmetria in cui uno dei contendenti si trova in netta inferiorità (numerica, tecnologica…) rispetto all’antagonista. In un simile contesto, l’interesse del contendente in svantaggio coincide con la scelta di evitare lo scontro diretto, palesemente rischioso e distruttivo. Si predilige l’uso dell’astuzia anziché il ricorso alla forza: è ciò che fa Ulisse nell’antro di Polifemo quando dice di chiamarsi “Nessuno”.
    Ovviamente Byrthnoth è talmente immerso in quella mentalità medioevale cavalleresca così ben descritta da WM4, che rifugge dall’uso di qualsiasi stratagemma o espediente sottile: nell’immaginario collettivo occidentale ( in oriente è diverso) la guerriglia è stata spesso considerata una forma di lotta disonorevole.

  10. divertente, anche il richiamo focaultiano in fondo. Ma se non ricordo male, i Danesi all’epoca hanno fatto il mazzo tarallo a tutti gli Inglesi — anche a quelli che potremmo immaginare incappucciati di foglie…
    Anna Luisa, non si se si può proporre una netta divisione oriente/occidente. In oriente abbiamo sia tradizioni delllo stratagemma onorevole, sia tradizioni di guerra rituale o di eliminazione sistematica del nemico!

  11. Credo che il personaggio di Byrhtnoth rappresenti un canone di eroe ben consolidato, nonché un canone retorico sull’eroismo, una teoria del coraggio, appunto, che ha profonde radici nella cultura e nella letteratura occidentali. Non è però il solo e unico. O meglio, quel modello eroico aveva già perso per la strada molta parte di una tradizione più antica, quella propria del mito primigenio, dove l’eroe aveva una funzione comunitaria imprescindibile e la cui avventura – che poteva includere anche la morte – era un passaggio che garantiva la ciclicità della vita, quindi un atto palingenetico, eucatastrofico. Il gesto eroico di Byrhtnoth invece non genera nulla, è la tautologica affermazione della teoria acquisita, la conferma della stessa scala di valori che l’ha prodotto.
    Detto questo, credo che Paola Di Giulio (pdg) abbia colto un punto importante: la riflessione sulle potenzialità narrative ed esegetiche della fan fiction. Io credo che il poema di Maldon sia meraviglioso proprio per questo, perché i fan hanno ripreso a scriverlo mille anni dopo la sua prima stesura. A costo di fare arrabbiare lo storico e il filologo, da narratore dico che è fantastico che l’incipit e il finale siano andati persi, perché consentono ad altri di “riempire i buchi” in base alla propria interpretazione del poema. Come hanno fatto Tolkien e Borges, derivandone due letture contrapposte (e anche io, nel mio piccolo, a titolo di omaggio).
    Sulla proposizione di una figura di eroe alternativa, lo stesso Tolkien si è speso non poco. Ma di questo spero di scrivere più approfonditamente in seguito.

  12. @ Paolo S: “non so se si può proporre una netta divisione oriente/occidente. In oriente abbiamo sia tradizioni dello stratagemma onorevole, sia tradizioni di guerra rituale o di eliminazione sistematica del nemico!”
    Certo, concordo con te una divisione NETTA può essere fuorviante, ma l’argomento sarebbe davvero ampio… mi limito a dire solo questo: spesso, nei testi militari orientali (es: *I metodi militari* di Sun Pin, le *Cento strategie non ortodosse* autore anonimo) sono riportate ed esposte (spiegate nel dettaglio) prima le strategie non convenzionali e poi quelle convenzionali. Una situazione invertita rispetto all’occidente. Singolare, no?
    @WM4: sì, la mancanza di incipit e finale è, anche per me, un dettaglio davvero affascinante.

  13. @wMing4
    “Come hanno fatto Tolkien e Borges, derivandone due letture contrapposte (e anche io, nel mio piccolo, a titolo di omaggio).”
    ma per te borges non era un fascistone che non andava letto?

  14. Mi sembra ingeneroso dire che il gesto di Byrhtnoth “non genera nulla”, visto che ne è scaturito un poema… con relativi seguiti!
    Scherzi a parte: se in epoca moderna e contemporanea seguo bene i tuoi argomenti e le tue posizioni, WM4, non sono così certo che si possano applicare in modo così “lineare” al medioevo o all’età antica…

  15. Concordo, Anna Luisa… ma non confonderei la Cina con l’Oriente tutto… che per esempio i kamikaze e il suicidio onorevole dei samurai sono altrettanti prodotti tipicamente “orientali”. Superbo su questa opposizione “Grecia”-“Cina” F. Jullien intorno concetto di efficacia.

  16. @ Sergio,
    se è una battuta, guardami come rido. Mi vedi? Rido.
    Borges lo abbiamo letto e anche usato, fin dai tempi del Luther Blissett Project, e diversi nostri romanzi contengono citazioni da suoi scritti – e dal poscritto 1965 di Bioy Casares alla Antologia della letteratura fantastica, se è per quello.

  17. @ Sergio
    Borges era un fascistone e questo – per un limite personale di cui mi dolgo – mi rende difficoltoso apprezzarlo fino in fondo, anche se, come ha già replicato il mio socio WM1, ciò non impedisce che i nostri scritti contengano un sacco di spunti borgesiani. Del resto lo stesso Tolkien non era certo un progressista, era piuttosto reazionario (e anche un cattolico bigotto), eppure la sua rilettura della battaglia di Maldon è diversissima da quella di Borges. E forse questo spiega a me stesso perché non riesco ad apprezzare fino in fondo l’uno e invece riesco a farlo con l’altro. Ecco due fan di calibro immenso ma con approcci molto diversi, che forse potremmo visualizzare a partire dai loro cippi tombali.
    Sulla propria solitaria lapide Borges volle inciso un verso de La Battaglia di Maldon e rappresentati i guerrieri che si scagliano verso la morte per onorare il sacrificio del loro capo. Sulla tomba che Tolkien condivide con la moglie, a ciascuno dei loro nomi ne è associato uno elfico, quelli di Beren e Luthien, i protagonisti di una famosa storia d’amore nella mitologia della Terra di Mezzo. Ecco penso che dietro queste due immagini, come dietro i due spin off in questione, si celino due idee diverse dell’autore, della letteratura, del rapporto con i miti, etc. etc. E in uno dei due mi riconosco più che nell’altro.

  18. Scusate l’ignoranza magna, ma in che senso Borges era un “fascistone”?
    La cosa mi giunge nuovissima e mi pare in palese contraddizione con le sue opere…

  19. @PaoloS:“Superbo su questa opposizione “Grecia”-”Cina” F. Jullien intorno al concetto di efficacia.”
    Paolo, non conoscevo F.Jullien, ho fatto un giretto in rete e mi sono tirata giù un po’ di articoli&interviste su di lui e un paio di titoli: grazie per la segnalazione!
    Tranquillo, il Giappone con il suo forte senso dell’onore e del sacrificio l’ho bene in mente ;-))
    E comunque anche nel mondo antico (Grecia/Roma) la situazione è un po’ incasinata: “Cunctator” (temporeggiatore) è il soprannome di Quinto Fabio Massimo, l’unico comandante (prima di Scipione) che riesce a tener testa ad Annibale ( maestro di espedienti ed educato “alla greca”) evitando lo scontro frontale. Inizialmente, il suo è un soprannome dal significato negativo.
    Il termine greco *stratégema* nella Roma repubblicana viene tradotto con parole come calliditas, perfidia, dolus etc. tutti termini che in latino hanno un valore semantico negativo.
    La figura stessa di Odisseo nella tradizione greca è ambigua: esiste un Ulisse eroico e uno antieroico.
    Etc, etc…

  20. @ Ekerot
    “fascistone” nel senso che nelle loro fasi sorgenti appoggiò le dittature militari in Cile e in Argentina (poi in tarda età se ne distaccò, ma con toni assai meno roboanti e meno pubblici di quando aveva aderito). La sua rilettura di Maldon per altro, lascia trapelare un apprezzamento non piccolo per il furherprinzip, che Tolkien invece metteva in discussione. Era a questo che mi riferivo nell’intervento precedente.

  21. “E’ un grande onore che non merito – essere ricevuto da lei, signor Presidente. In Argentina, Cile ed Uruguay la libertà e l’ ordine sono stati salvaguardati.”
    Jorge Luis Borges in udienza da Pinochet a Santiago, settembre 1977
    .
    “Yo soy una persona muy tímida, pero Pinochet se encargó de que mi timidez desapareciera, y todo resultó muy fácil. El es una excelente persona, su cordialidad, su bondad… Estoy muy satisfecho… El hecho de que aquí, también en mi patria, y en Uruguay, se esté salvando la libertad y el orden, sobre todo en un continente anarquizado, en un continente socavado por el comunismo.Yo expresé mi satisfacción, como argentino, de que tuviéramos aquí al lado un país de orden y paz que no es anárquico ni está comunizado.”
    Jorge Luis Borges dopo l’udienza di Santiago, settembre 1977
    .
    “Non si tratta di proporre qui di proclamare la non validità dell’opera di Borges, prendendo come base le sue abiezioni politiche. Tale atteggiamento sarebbe di una totale stupidità. Credo, invece, che Borges abbia già conquistato due posti d’eccezione: il primo in qualunque esigente storia della letteratura, l’altro (per usare la sua terminologia) nella ‘storia universale dell’infamia’. Farò sempre tutto il possibile perchè la seconda considerazione non invalidi la prima, ma farò anche ogni sforzo perché la prima non giustifichi la seconda.”
    Mario Benedetti, “La situazione dell’intellettuale in America latina”, saggio introduttivo a: Dalton, Heraud, Urondo, Tre poeti assassinati, a cura di Julia Maciel, Vallecchi, Firenze 1978.
    .
    Intorno all’81 Borges prese con molta discrezione le distanze dalla dittatura argentina che inizialmente aveva appoggiato. Si dice che in privato abbia aiutato famigliari di desaparecidos. Il suo giudizio apologetico su Pinochet non mi risulta l’abbia mai smentito. Credo che la posizione più corretta sia quella enunciata da Benedetti nell’ultima frase dello stralcio riportato sopra.

  22. Thank you so much!
    In effetti nei libri di testo questa faccenda non la mettono.
    Capisco benissimo WM4 che non riesce proprio ad amarlo fino in fondo. Forse la cecità di Borges è stata una punizione divina e la barbara fine che “gli” consegna Eco ne “Il nome della rosa” mi appare in una luce differente.
    Sapevo invece di Tolkien, del suo cattolicesimo “massimalista” – diciamo così – ma non mi pare abbia fatto atti così drammatici come salutare positivamente il golpe di Pinochet.
    – – –
    Essì, se potessi teletrasportarmi davanti ad una delle due lapidi, anche io sceglierei quella del Monco senza esitazione.

  23. “ma non mi pare abbia fatto atti così drammatici come salutare positivamente il golpe di Pinochet.”
    c’è pure chi ha fatto anche di peggio, tipo benedirgli la casa e la famiglia (a Pinochet)…

  24. wm1, ridi quanto vuoi, io riportavo solo paro paro la risposta che mi diede wm4 quando lo presentai a chivasso e gli chiesi se leggesse borges. c’erano anche testimoni, se servono. la sua risposta qui, cmq, in sostanza lo ribadisce, e penso che si commenti da sola.

  25. @ Sergio
    La mia risposta non si può commentare da sola. Se vuoi commentarla, fallo, è lì per quello. Le dichiarazioni autografe di Borges anche sono lì per essere commentate, se ti va.
    @ Paolo
    a proposito del “mazzo tarallo” fatto dai danesi agli inglesi (che poi erano sassoni), la storia militare di quell’epoca è più altalenante di quanto sembri.
    In realtà la battaglia di Maldon inaugura una sorta di seconda fase delle invasioni vichinghe. La prima era iniziata con la grande invasione dell’865 e con la nascita dei due regni danesi nell’Inghilterra nord-orientale e delle Cinque Città. Tuttavia quell’esperienza si era esaurita di fronte alla controffensiva inglese che aveva portato i sovrani del Wessex a sottomettere gran parte del Danelaw.
    In realtà il vero mazzo tarallo ai sassoni riusciranno a farlo soltanto i Normanni nell’XI secolo.

  26. @ Ekerot (scusa, mi ero dimenticato di rispondere a te)
    In effetti hai ragione, anche se simpatizzò per Franco durante la guerra civile spagnola (perché aveva saputo che gli anarchici fucilavano i preti cattolici), il professore non espresse mai apprezzamento pubblico per dittatori et similia. Tra l’altro rifiutò sempre categoricamente la sovrapposizione di un’allegoria chiusa alla sua opera, soprattutto quelle che pretendevano di leggere il Signore degli Anelli come un manifesto anticomunista. Per altro si sa che era un tipo schivo, con un ego autoriale abbastanza modesto, benché maniacale, e sembra si interessasse pochissimo di politica.
    Se ti dovesse capitare, vacci al Wolvercote Cemetery, è un’esperienza che merita.
    “Anar caluva tielyanna”.

  27. Senti WM4, a ottobre a Chivasso, alla cena seguita alla conferenza, e in presenza di editor di Einaudi, io ti chiesi se ti piaceva Borges, che è un autore sul quale ho scritto molto e che conoscevo di persona, e tu mi rispondesti “io quel fascistone non lo leggo”, testuali parole. Non commentai allora e non vedo perché dovrei farlo ora. La tua replica qui si limita ad argomenta quella sentenza lapidaria, che di primo acchito ha fatto ridere perfino il tuo collega di collettivo. Che devo dirti? Ricordo che a quella cena parlasti a lungo con Avoledo di letteratura ucronica, di romanzi americani in cui Hitler non era morto, faceva il gelataio a Montevideo e veniva catturato da agenti del Mossad ai quali diceva che loro erano il frutto del suo pensiero. Abbiamo pantheon diversi, pazienza. Che faccio, ti dico che ragionare in quel modo è ridicolo, che la grande letteratura del Novecento è stata in gran parte reazionaria (Borges, Céline, Pound, Hamsun, Junger, Gadda ecc, come peraltro ammetteva un uomo di sinistra quale Raboni); o che c’è sempre qualcosa di intrinsecamente sovversivo nella grande letteratura, pure nel caso di autori politicamente destrorsi, ed è proprio questo che sconcerta e disorienta il lettore sprovveduto, perché scardina le sue usuali categorie di pensiero, gli mostra che i suoi strumenti di analisi della realtà sono diventati vecchi e inservibili come gli attrezzi di un museo contadino? No, non te lo dico.

  28. Caro Sergio, purtroppo sei tu che ricordi male. Le mie testuali parole a quella cena a Chivasso furono altre. Dissi (tra l’altro in tono scherzoso): “Peccato che Borges fosse di estrema destra”. E tu commentasti eccome, ti precipitasti a smentirmi con gli stessi argomenti che hai espresso qui sopra, citando i casi di Celine, Pound, etc. ricordandomi che avevi conosciuto personalmente Borges, etc. etc. (per inciso, il romanzo di cui parlai con Avoledo era “Il processo di San Cristobal” e non si svolge in Uruguay, bensì in Amazzonia). Se io andassi in giro a sostenere di non leggere Borges e poi tenessi delle letture pubbliche su un suo scritto, come ho fatto a Bologna, Milano, e Barcellona, sarei un dissociato mentale. Per ora chi mi conosce garantisce sulla mia salute mentale in questo senso. Quindi sto tranquillo e non credo di dover aggiungere altro su questo punto.
    Sull’impostazione generale è chiaro che dissentiamo. Uno scrittore, un poeta, si giudica per il proprio operato poetico e politico (che in non pochi casi coincidono). Un grande intellettuale che appoggia consapevolmente due tra le più odiose dittature del XX secolo non mette in crisi il lettore sprovveduto o le categorie politiche del suo tempo, bensì, più prosaicamente, associa il proprio peso intellettuale all’immagine di quelle dittature. Commette quindi un gesto di cui è impossibile non chiedergli conto, in primis perché è lui, uomo di lettere, di pensiero, di azione comunicativa. Sostenere che la grandezza poetica o intellettuale debba tenere i “grandi” al riparo dalle conseguenze dei propri atti politici è una posizione a mio avviso demenziale. Mentre è evidente a chiunque che l’unica posizione condivisibile è proprio quella espressa da Mario Benedetti, che sottoscrivo fino all’ultima virgola.
    Ma perché è così difficile accettare che un grande genio letterario possa essere anche un grande stronzo?

  29. No, mi spiace, la tua battuta fu quella, la ricordo molto bene, che ora te ne vergogni e cerchi di rettificarla è comprensibile ma non giustificabile. Ad ogni modo, quello che è davvero demenziale è non capire che l’unica letteratura veramente reazionaria è quella che compiace il lettore, lo blandisce, gli dà ciò che vuole, e spesso gli autori di questo tipo di libri votano a sinistra, firmano gli appelli “giusti” e rilasciano interviste vibrate.

  30. Caro Sergio, curioso che ricordi così bene la mia battuta, ma non di avermi rintuzzato prontamente. Tra l’altro in quell’occasione al tuo elenco di autori “reazionari” che avevano fatto la storia della grande letteratura novecentesca io aggiunsi proprio Tolkien, quindi nel merito di quell’argomentazione ti diedi ragione. Infatti sul discorso del compiacimento del lettore (in particolare quello di sinistra) io sono d’accordo con te come lo ero quella sera. Ho anche premesso che il limite su Borges è mio, privato e personale e che “me ne dolgo”.
    Però non vedo questo cosa c’entri con la mia affermazione sulla responsabilità politica degli autori. E infatti noto che sul merito dell’indifendibile comportamento di Borges, che ha scatenato questo dibattito non hai ancora risposto. O davvero mi vuoi dire che appoggiare pubblicamente i regimi dei colonnelli è un atto di provocazione nei confornti del pigro lettore/elettorato di sinistra?
    Suppongo e spero di no. Vogliamo togliere ai grandi della letteratura il diritto di sbagliare, di fare madornali cazzate, di portarne quindi anche il peso fin nella tomba (e che tomba, signori miei!).
    Noi Wu Ming stiamo riflettendo in pubblico sulle nostre responsabilità autoriali e di militanti nel fu movimento No Global (vedi l’ultimo Giap), proprio perché non vogliamo avere nulla di cui vergognarci, ma vogliamo avere uno sguardo il più critico possibile sui passi compiuti, quelli giusti e quelli sbagliati. Scurdammoce ‘o passato non è una buona attitudine per dei romanzieri storici.

  31. Scusa, ho dimenticato un punto interrogativo: “Vogliamo togliere ai grandi della letteratura il diritto di sbagliare, di fare madornali cazzate, di portarne quindi anche il peso fin nella tomba (e che tomba, signori miei!)?”

  32. Ehm… tornando a Maldon, Tolkien, ecc., trovo molto stimolante la possibilità che qualcuno, magari in grado di rendere con le parole le sue intuizioni, possa deviare dal tracciato del poema originario per indicare proprio un eroismo diverso – che so, un eroismo responsabile? un approfondimento, una concezione nuova, un superamento – non so. Sarebbe un’altra storia forse, un altro eroismo appunto.

  33. su borges e le sue posizioni politiche dimostri di sapere molto poco, e d’altronde se non ti piace, perché dovresti saperlo? se vuoi approfondire l’argomento ti consiglio le biografie più documentate sulla sua persona, redatte fra l’altro da intellettuali progressisti come emir rodriguez monegal, io non posso farti un bignamino qui. poi il tema l’ho affrontato tante di quelle volte che mi annoio da solo. borges era un conservatore, non “un uomo di estrema destra”. fu un oppositore di peron, da prima ancora della seconda guerra mondiale si schierò contro i nazisti quando in argentina hitler godeva di un vastissimo seguito, sia popolare che nel governo, e queste scelte le scontò a caro prezzo. ma queste sono sfumature che da noi non pagano. come disse borges una volta: “è evidente che se uno in italia non è comunista, è sicuramente fascista. non concepiscono altre gradazioni…è una specie di povertà dell’intelligenza”. quello che non vuoi capire è che l’estetica è la madre dell’etica, non viceversa. e questo non lo affermò il
    “disimpegnato” borges, il campione dell’arte per l’arte, ma uno come josif brodskij, che visse sotto una dittatura e patì il carcere e l’esilio.

  34. @ Sergio
    Molto bene, provvederò a leggere la biografia che suggerisci. Ci mancherebbe che non fossi disposto a cogliere tutte le “gradazioni” del caso, dopo avere ammesso fin dall’inizio che su Borges il difetto è mio. Tanto più che tutta la discussione era partita proprio da una differenza interpretativa tra due autori conservatori che leggevano e completavano lo stesso testo con esiti (o “gradazioni”) molto diversi sia sul piano estetico che etico. Piani che a mio avviso non hanno tra loro un rapporto di filiazione, ma di coincidenza.
    In questo senso – dicevo – trovo più interessante il tentativo tolkieniano.
    Infatti…
    @ Paola (pdg)
    La faccenda dell’altro eroismo, come lo chiami, è precisamente il percorso che Tolkien ha tentato nella sua opera di studioso e romanziere, ovvero l’approdo a un’altra figura di eroe e a un’altra teoria del coraggio. In definitiva il sentiero di riletture che sto cercando di fare vorrebbe muovere in quella direzione, provando a ragionare sulla crisi e la possibile sopravvivenza nel presente di un archetipo letterario e culturale come l’eroe.

  35. Anna Luisa, sono contento di aver fatto incontrare te e François Jullien — cose belle che capitano sui blog! E concordo che Ulisse dalle molte pieghe è uno dei personaggi guerrieri più ambigui della storia della letteratura…

  36. [Intanto gli anglo-sassoni hanno battuto 3 a 0 i neolatini…].
    Una cosa che ho riscontrato tra gli appassionati del ciclo tolkeniano è proprio l’assenza dell’eroe in senso classico. Intendo cioè il “protagonista” assoluto della narrazione con cui il pubblico può identificarsi.
    Come già era capitato per il Manzoni.
    Lasciando perdere il Silmarillion dove possiamo trovare dei temporanei protagonisti, nel SDA pare proprio che Tolkien abbia voluto esaltare “la compagnia”, i fantastici 9 più o meno cyborg. Dove ovviamente si accludono gli hobbit. Ma risulta difficile poter parlare di Frodo o Sam come “eroi” classicamente intesi e quindi protagonisti assoluti.
    Anche presi assieme.
    Di fatto, per moltissimi lettori (provare per credere), la vera conclusione del SDA non è col ritorno di Samvise a casa, bensì nell’ultima data sulla cronologia delle appendici quando Legolas parte per Valinor e scompare così la Compagnia dalla Terra di Mezzo.
    E forse l’esaltazione del gruppo, della necessità estrema dell’altro (perché in Tolkien un eroe da solo non vince mai) – oltre a non essere certo un concetto di destra – è il grande lascito al fantasy e alla questione dell’eroe da parte del filologo sudafricano.
    [Un problema che Peter Jackson nella sua trasposizione al Cinema ha dovuto affrontare, eleggendo Frodo a protagonista].
    Il che non significa che la strada classica (il viaggio dell’eroe) sia da abbondanare. Io penso anzi che abbia ancora tanto da dare. Ma certo, beh, neanche i 7 samurai erano malaccio, n’est pas?
    – – –
    Sono andato vergognosamente O(ff)T(olkien) , ma è colpa di WM4 che mi ha scritto in quenya…
    Notte a todo el mundo.

  37. Caro Ekerot,
    sarei ben meschino se dopo averti provocato (col quenya) mi rifiutassi di entrare nel merito, magari dicendo che ormai certe discussioni mi vengono a noia e consigliandoti un saggio (come ad esempio quello celeberrimo di Tom Shippey, che sicuramente conoscerai). Battute a parte, per fortuna in questo caso la noia non c’entra, anzi. Tuttavia consentimi di lasciare cadere i tuoi spunti sul SDA per non andare off topic (sono certo che avremo occasione di riparlarne) e di concentrarmi invece sulla faccenda dell’eroismo.
    Non vorrei che dalla radicale rilettura di Maldon emergesse l’idea che l’eroe non serve a niente tout court.
    Il mio intento è assai più problematizzante. Il discorso è piuttosto un altro: può capitare che l’eroe non serva a niente, e addirittura che faccia danno, se il mito eroico si tecnicizza, imponendosi a un dato contesto grazie al terreno fertile che trova a disposizione, ma a un tale livello di astrazione ideologica da diventare gesto fine a se stesso. Ovvero atto tautologico che, stagliandosi sulla storia, si congela, si fissa nella roccia del tempo, immobile e inossidabile (Maldon come le Termopili) smettendo di essere divenire collettivo, ciclico e rivitalizzante. Nella sua critica infatti Tolkien parla di “eccesso” di eroismo e casomai la questione sarà porsi il problema di dove sta la misura, dove finisce la narrazione agita collettivamente e dove comincia la prosopopea.
    Sono d’accordo con te, non credo che il viaggio dell’eroe come allegoria possa essere abbandonato, è parte fondante del nostro immaginario, del nostro patrimonio di storie, del nostro modo di rappresentare il mondo. Lo è davvero dalla notte dei tempi, come spiegava il vecchio Joseph Campbell, e di per sé è una narrazione aperta, un’allegoria infinitamente riutilizzabile. Per vivificarla però serve rideclinare la figura eroica. Sul poema di Maldon io ho tentato un esercizio facile di ribaltamento, accodandomi a Tolkien e poi radicalizzando la sua lettura. Tuttavia è ancora del tutto insufficiente, si tratta più che altro dell’individuazione di un punto di crisi, da cui partire alla ricerca di una figura diversa (non so se “nuova”).
    Frodo e Sam c’entrano moltissimo con questo discorso, ovviamente, così come c’entra Lawrence d’Arabia, quello post-eroico dell’ultima fase della vita, e credo che un punto focale sia la capacità di introiettare la sconfitta. Devo fermarmi qui, perché su questa faccenda sto ancora ragionando. Però mi è utile prendere questi appunti “pubblici”, aiuta a vedere meglio i sentieri da battere.
    “Namàrie” 🙂

  38. Invito Sergio, oltre a consigliare libri da leggere, a ricapitolarne qui le tesi, altrimenti il confronto diventa esoterico, tra iniziati. Diventa il classico argomento “ad auditores”: io faccio capire che ne so più dell’interlocutore, non importa dire cosa so più di lui. Spiegaci, siamo qui per imparare.
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    Ho riportato celebri dichiarazioni pubbliche di Borges, mai smentite, unitamente a un giudizio pubblico espresso su di lui da uno dei più grandi intellettuali latino-americani, il poeta Mario Benedetti.
    Quel giudizio di Benedetti è incastonato in una appassionata e complessa riflessione sul ruolo degli artisti latino-americani negli anni delle dittature militari sostenute dagli USA.
    Benedetti ricorda anche altre “posture” di Borges, eppure non cessa mai di dire che questo non inficia la grandezza e l’importanza delle sue opere. Semplicemente, le opere non devono servire a renderlo intoccabile. Nessun El Aleph può inibire la critica di comportamenti pubblici e prese di posizione pubbliche.
    .
    Poco dopo il golpe argentino (19 maggio 1977), Borges andò a pranzo col generale Videla. All’uscita dichiarò alla stampa:
    Le agradecí personalmente el golpe del 24 de marzo, que salvó al país de la ignominia, y le manifesté mi simpatía por haber enfrentado las responsabilidades del gobierno. Yo nunca he sabido gobernar mi vida, menos podría gobernar un país.
    Secondo alcuni, i cronisti fecero un collage di frasi sue e di Ernesto Sabato, che era con lui. Ma anche fosse: Borges fu lieto partecipante a quel pranzo (che rappresentava un pubblico sostegno al regime), come poco dopo fu un lietissimo partecipante all’udienza da Pinochet.
    Qualcuno potrà dire: vabbe’, ma era l’inizio della dittatura, ancora non sapeva, non aveva capito…
    Il punto è che un sacco di altra gente aveva capito eccome.
    Ma andiamo oltre.
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    Ho specificato che nell’81 Borges prese le distanze dalla dittatura.
    Il problema, forse, è che l’81 è – come si dice dalle mie parti – “dopo la puzza”.
    Comunque, meglio tardi che mai.
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    Tra gli autori più citati da Blissett prima e Wu Ming poi, spicca Ernst Jünger. Uno che fu nazista – benché sui generis, ma non era comunque un bel genere – fino a “dopo la puzza”. Lo stesso Tolkien, come ricorda il mio compadre, non era certo di sinistra.
    Si prende quel che serve, quel che emoziona, quel che ispira, quel che smuove, ovunque si trovi. Lo si sposta in un nuovo contesto, lo si ri-semantizza. Se ne fa un elemento della propria poetica. Come è successo con Borges.
    Ma rimane la critica al contesto originale. Anzi, si fa più forte. L’omaggio è al tempo stesso una critica. Un esempio?
    .
    In 54 un capitolo inizia così (io narrante di Josip Broz Tito):
    “Accadde cinque anni fa. Kardelj, che quella sera aveva cenato con me, sosteneva l’esigenza di fare il punto sulla teoria leninista in Jugoslavia e respingere le accuse di «trotzkismo» partite da Mosca. Dal fondo del corridoio lo specchio ci spiava, i doppelgänger seguivano le nostre mosse, forse pronti a rimproverarci. Eccoci, ben nutriti e agghindati, cosí diversi dai giorni della konspiracija. Era solo vanità a dettarci la presa di posizione che ci consegnava alla Storia? Scoprimmo (a notte alta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Kardelj disse che lo specchio è una macchina infernale, perché separa l’individuo dalla comunità, stimolandone il narcisismo piccolo borghese. Io replicai: – E come li curi i tuoi baffi, chinandoti sulle pozzanghere? – e aggiunsi che, al contrario, lo specchio congiunge l’individuo alla comunità, e il suo ingresso nelle case dei proletari ha cementato l’orgoglio di classe, quel senso del decoro sbattuto in faccia ai padroni, «Noi non siamo nulla, e vogliamo essere tutto! Possiamo essere, e siamo, piú eleganti di voi!» È grazie a quel decoro, a quella fierezza, che si è vinta la guerra.”
    .
    E’ un brano di Borges, completamente cambiato di segno.
    Omaggio/critica. Critica/omaggio.

  39. P.S. Comunque la morale è: se ti ritrovi Garufi a cena, non fare battute di nessun tipo ché non le capisce, se le rimugina per mesi (magari in preda a FMS) e infine si mette a urlare crucifige!, anche se l’accusa (non leggete Borges per motivi politici) è pluri-smentita dai fatti e dai testi.
    .
    Ma soprattutto, non coinvolgere nessuno che egli abbia conosciuto di persona!
    .
    Il nonno di un mio caro amico era un fascistone pazzesco. Un giorno aveva stretto la mano a Hitler. Sosteneva di non essersela lavata per una settimana, ché gli sarebbe dispiaciuto togliersi di dosso “l’odore del Führer”. In sua presenza, guai a parlar male di quel grande incompreso.

  40. (Per il filone battaglia di Maldon e affini!)
    Riguardo alle alternative eroiche che giacciono nella battagia di Maldon, io ne vedo una quarta.
    Il pirata svedese, novello Ulisse, provoca con un’astuzia il conte dell’Essex: ossia, permetterai che noi si combatta su un isolotto e voi sull’altra sponda del fiume?
    Un grave errore da parte di Byrhtnoth fu di non rispondergli per le rime.
    Ossia: caro biondone, tu sarai anche su una superficie scomoda, ma siete pure 3000 contro 1000, mandane 1000 di qua e lasciane 2000 di là e combattiamo realmente ad armi pari.
    Si dirà che l’atto eroico consiste proprio nell’immolarsi di fronte ad un nemico superiore.
    Sì, ma in questo caso Byrhtnoth era parte offesa. Sono i vichinghi ad aver attaccato la terra sassone.
    Comincio a capire la complessità di questo testo! Ti aggroviglia come pochi.
    E forse culturalmente nell’anno 1000 non era proprio all’ordine del giorno una battaglia di astuzie. Ma visto che il pirata aveva cominciato…tanto valeva terminare così. E Byrhtnoth avrebbe fatto comunque la sua porca figura. D’altronde sì, decorum est pro patria mori, ma se vinci è anche meglio.
    [D’altronde il Signore degli Inganni omerico di tutto può essere accusato, ma non certo di non essere un eroe. Sui generis, pure lui, ma pur sempre un eroe].
    Sulla seconda parte del discorso ho invece alcune perplessità. Se non capisco male, la domanda è: perché non riappropriarsi della capacità del mito di essere sia collettivo sia – in qualche modo – pedagogico?
    Qui vedo il problema. Non che lo trovi un obiettivo errato.
    Ma il poeta della battaglia di Maldon – di fatto – ricopriva un ruolo ben preciso nella comunità. Veniva ascoltato proprio per questo. Era il cantastorie. E quando narrava, la comunità non solo ascoltava ma si riconosceva nella comunità della storia. Quel popolo, quei contadini, quei cavalieri, quel conte erano perfettamente riconoscibili.
    Oggi, mi chiedo, di fronte a quale collettività canta il narratore? E’ innegabile che esista questa collettività, ma ha subito tali stratificazioni che probabilmente – anzi direi quasi sicuramente – non si riconosce più come parte fondante di quel mito.
    Non è un caso che nel secolo addietro e nel nostro c’è stato tutto un fiorire di “loner”, di vecchi lupi solitari, in fuga (spesso verso la morte). Uno trai più begli esempi – a mio sentire – di eroe del ‘900 è Ethan Edwards, il “cercatore” di “Sentieri Selvaggi”. Lui è un personaggio in cui mi identifico, un eroe – senz’altro – eppure, come diceva John Ford, resta fuori dalla porta. Dalla famiglia che ha aiutato a costruire. Il punto è: io spettatore, al termine del film, dove sento di essere? In quella casa, o nella sconfinata Death Valley solo come un cane?
    – – –
    (io butto giù, ché l’argomento mi galvanizza, ma non so se resto nel seminato, lascio a voi il compito – se ne avete voglia – di ricondurmi sulla retta via!).

  41. Detto senza intento polemico, giusto come constatazione buffa: l’argomento “guardate quanti fascisti e nazisti che citiamo” è insieme paradossale ed esilarante 😉

  42. @Ekerot: “D’altronde il Signore degli Inganni omerico di tutto può essere accusato, ma non certo di non essere un eroe. Sui generis, pure lui, ma pur sempre un eroe.”
    Eeeh, non è così semplice. Nel *Filottete* di Sofocle Ulisse compare proprio come antieroe. È un personaggio sgradevole e il suo modo di agire è riprovevole.

  43. @ Anna Luisa: è da un po’ che ci penso… avere un Nessuno fra i loro sotto le mura di Troia permette un bel po’ di figate all’integerrima comunità guerriera di Agamennone…
    Chi bastonerà Tersite quando dice cose sensate ma che non vogliamo sentire? Nessuno_dei _nostri!
    Chi suggerirà un trucco vigliacco per entrare in città? Nessuno_dei_nostri…

  44. @PaoloS: in realtà sfondi una porta aperta, io, Sofocle o non Sofocle, ‘sto Ulisse lo adoro. Vogliamo parlare dell’episodio del Ciclope dove il “nostro” si comporta come il migliore degli strateghi cinesi?! ;-)) E quando dice di chiamarsi “Nessuno”(outis), espressione che in lingua greca suona come gioco di parole con il termine “metis” (l’intelligenza pratica, l’astuzia sottile). Come si fa a non amarlo?!
    Ma c’è una cosa che mi ha sempre fatto perdere la testa: il lettore dell’Odissea conosce la caratteristica principale di Ulisse (l’astuzia, l’abilità nel mentire), ma tutto ciò che sa su di lui proviene… dalla bocca di Ulisse stesso, unico superstite. Tutto ruota attorno alla sua credibilità di narratore. Insomma, al lettore si chiede una sospensione dell’incredulità elevata all’ennesima potenza…
    @Wm4: mentre Aiace, se ricordo bene, è l’incarnazione degli antichi ideali aristocratici e qui ritorniamo al punto di partenza e agli argomenti su cui stai riflettendo.
    Sì, ci sarebbe da riempire un’enciclopedia.

  45. Garufi, quello che TU non vuoi capire è che “l’estetica è la madre dell’etica” è un’affermazione di destra, tanto quanto politicizzare l’estetica è un’operazione di segno opposto. Non ha alcuna importanza la biografia personale di chi asserisce l’una e l’altra tesi, e non sto neanche dicendo che “sinistra2 è “bello/buono” e destra “brutto/cattivo”: è una questione assiologica, e per uno che sostiene di conoscere Benjamin dovrebbe essere una banalità. Punto.

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