RACCONTI SUL CANCRO AL SENO: L'ALTRA ROMA

Leggendo i commenti, nei giorni scorsi, risulterà chiaro a chiunque che il discorso sul cancro al seno va affrontato e sviscerato e non relegato a chi è stato colpito dalla malattia, come mi sembra avvenga molto spesso.  Allora, continuo con i racconti. Quello di oggi è di Stefania Nardini, è uscito in un’antologia pubblicata in Olanda e ora messo a disposizione per i lettori di questo blog. Si chiama “L’altra Roma”.
L’unica cosa certa era la primavera.
Dal vetro della finestra sigillata Rachele osservava quel che restava della campagna romana. Macchie d’erba e rovi . Pezzi di natura in agonia.
Sul grande raccordo anulare il ritmo impazzito della velocità.
La corsa verso tutto. Verso non luoghi concepiti per fare in fretta.
Nelle nuove piramidi fuoriporta, volute da imperatori invisibili, oltre a megaparcheggi, negozi , cinema, c’erano anche i preti che rincorrevano le anime attraverso gli altoparlanti. Perché negli atri dei centri commerciali si celebra anche la Messa. Tra i bidoni della spazzatura i soliti vecchi pensionati si giocano l’ultimo brandello di dignità: è il riciclaggio degli scarti il nuovo sport nazionale.
A questo stava pensando Rachele con lo sguardo perso .
Attraverso il vetro della finestra Roma le appariva come un grande gioco elettronico tappezzato di asfalto. Una città in fuga che fugge a se stessa. Travolta da un ritmo ossessivo e implacabile che stritola il senso degli spazi. In cui i corpi sono massa che arranca.
La Roma felliniana, lupa e vestale, aristocratica, stracciona, tetra, buffonesca, era diventata una città senza anima. Una Roma senza lupa, una Roma senza la potenza di quelle quattro tette che l’avevano consacrata madre di tutte le madri.
Le venne in mente che quando era ragazzina il simbolo della lupa era sulle buste del latte della centrale, sui gagliardetti delle squadre di calcio che rincorrevano la felicità nei loro campi scalcinati.
Un’immagine che, dopo la guerra,esprimeva accoglienza. Rassicurazione.
Pensò a quando stringeva la mano di sua madre e le mostrava quella creatura. La superba lupa che vegliava sulla città alle pendici del Campidoglio.
Era lei Roma.
Ai suoi piedi il Teatro di Marcello, i templi di Vesta e Rea Silva, Portico d’Ottavia e il Tevere. Al di là di quel corso d’acqua che aveva ispirato poeti e musicanti, Trastevere, il quartiere bello e malfamato dove le antiche osterie ricevevano con disincanto gli eroi della “Dolce vita”, quando la sera da Via Veneto si spostavano verso “Checco er carrettiere” per provare il piacere dell’ amatriciana o della coda alla vaccinara . I pensieri di Rachele erano come bolle di sapone. Prendevano il volo e si dissolvevano. Non erano pensieri facili.
Privi di un nesso, di una logica, era complicato dargli un ordine. Nella sua testa erano saltati dei circuiti tenuti insieme dalle certezze.
Non c’era più certezza. Solo quella primavera agra le dava il senso di un tempo. E la Roma che le apparteneva non era che un ricordo inghiottito da un acquerello di Roesler Franz. Tornare e non ritrovare le fioraie a Trinità dei Monti era stato uno shock. Quella scalinata era il salotto di tutti. Su quei gradini ci si confidavano gli amori, i dolori, o semplicemente ci si lasciava accarezzare dal ponentino. Dal Pantheon a Campo de’ Fiori la grande invasione di giapponesi organizzati in gruppi, fast food e rozzi politicanti con i loro body guards . La città era stata assaltata da predatori arroganti e senz’anima.
In quella giornata, che sarebbe stata lunga, la più lunga, mal tollerava l’idea di sentirsi straniera nella sua Roma. Non le restava che aggrapparsi al ricordo, come fanno i vecchi reduci quando le pupille gli brillano parlando del passato. Oltre il muro della stanza si sentiva il gemito del dolore. Di nuovo le tornarono in mente le immagini di quando era bambina.
Il giardino dell’asilo a maggio. Era il mese dedicato alla Madonna, e tutto sapeva di miracolo, anche il profumo delle rose che sbocciavano.
La piccola Rachele le coglieva per darle a suor Lucia. Insieme le sistemavano in un vaso prima di deporle sotto la statua della Vergine, al centro di una fontana incorniciata da pietre ruvide.
Rachele aveva deciso di inginocchiarsi sui quei sassi per pregare. Era il suo sacrificio del mese mariano . Come facevano tutti quelli che per ottenere una grazia andavano alla Scala Santa , in piazza S. Giovanni , e genuflessi salivano esausti fino alla cima.
Lei si sforzava a non provare dolore. Le avevano insegnato la bellezza del sacrificio. Ma era solo sopportazione.
Tra sonno e veglia vedeva immagini illanguidite dal tempo. Era tornata a Roma dopo tanto, troppo, tempo ed ora, tra lei e la città, c’era il vetro di una finestra senza maniglia oltre la quale si stava compiendo, senza pietà, una crudele metamorfosi. Tutto questo non la aiutava. Il “suo” luogo non la consolava più. Si sentiva scippata del suo rifugio. Di quello spazio immenso che un tempo sapeva diventare intimo, segreto.
Decise di farsi una doccia. Impossibile evitare quel gesto. Non lo evitò. Si accarezzò il seno destro.
Decise di cospargersi il corpo con una crema alla mirra. Indossò anche delle infradito colorate che nell’ambiente asettico davano un tocco di allegria. Di incosciente allegria, alla quale Rachele si stava aggrappando.
Bisognava aspettare.
Dalla finestra un tramonto provocatorio squarciava il cielo. Il tramonto romano .
Un inno alla bellezza.
Ma doveva tenere botta a quegli eccessi di sensibilità. In certe situazioni lievitano senza controllo.
Un’infermiera polacca entrò brutalmente nella stanza.
“Che cos’è questo odore?”. Le chiese senza garbo
Rachele rispose che era la crema alla mirra. Il barattolo sul comodino era la prova. Ma non lo spostò.
“Non siamo in un centro benessere!” le disse uscendo e sbattendo la porta.
Rachele sapeva bene dove stava. E la notte, quella maledetta notte, doveva passare in fretta. Ma non era facile.
Per la prima volta nella sua vita chiese di prendere un sonnifero.
La polacca le poggiò sul comodino un bicchiere di plastica con dell’acqua dove fece cadere la medicina. Il tintinnio di una goccia dopo l’altra .
Perché la finestra è senza maniglia? Chiese Rachele.
“E’ per quelle che hanno idee strane, che vogliono farla finita”.
Buttò giù l’acqua con le gocce in un solo colpo. Poco dopo prese sonno.
Al mattino sapeva che quel mattino era proprio il mattino di quel giorno là. L’unica certezza era la primavera.
Appariva sicura di se Rachele. E affrontò il viaggio in barella mostrandosi forte come non lo era mai stata.
La parola che la ossessionava era sempre quella: mutilazione. Tra i corridoi la disperazione femminile era dipinta di sorrisi e foulards colorati. Anche lei era una di loro. Anche lei sarebbe uscita da quella sala operatoria con l’incognita di una nuova vita. Perse i sensi sotto i colpi dell’anestetico.
Dormiva Rachele quando rientrò nella sua stanza.
Aprendo gli occhi si toccò il seno destro. C’era una protesi. Un corpo estraneo nel corpo suo. Il pensiero volò a un rituale liberatorio e consapevole quando nell’altro secolo, anche lei come le altre, aveva bruciato il reggiseno nel cortile di un antico palazzo in Via del Governo Vecchio, dove tra un “io sono mia” e un inno alla sorellanza era nata la Casa della Donna. Roma conosceva bene i roghi contro l’eresia. A due passi da quel palazzo, in piazza Campo de’ Fiori c’è ancora la statua di Giordano Bruno. Ma dalle ceneri di quel falò in Via del Governo Vecchio erano fiorite parole nuove.
Come un lampo le tornò l’immagine della lupa con le sue quattro tette.
Rachele si sentì una lupa ferita , offesa. Urlò.
Le grida violentarono quel silenzio torbido. Non c’erano lacrime, solo rabbia.
Si interrogava incapace di darsi risposte. Si tormentava senza ritrovarsi. Si sentiva sprofondata in abissi sconosciuti. Doveva aggrapparsi a qualcosa, doveva a tutti costi uscire da quella fossa di sabbie mobili. Doveva.
Urlò ancora. Ma era sfinita.
Ascoltò il suo respiro. Capì.
Guardò attraverso la finestra. Fuori c’era un’altra Roma. Sicuramente era primavera .

6 pensieri su “RACCONTI SUL CANCRO AL SENO: L'ALTRA ROMA

  1. Brava Stefania, che un pezzo alla volta ce la fai a raccontare ciò che vorremo ricacciare giù, dentro le viscere, nel buio dei dolori più segreti. Raccontare è importante, per accettare l’alieno. Tu sai che io so, e non è mai facile, e non è mai veramente finita. E allora scriviamo, mentre oltre la finestra ammiriamo uno splendido tramonto.

  2. anche io mutilata come dite voi…ma come sapevo prima del operazione ad aprile che era l’unico modo per togliere il più possibile “elementi negativi ” del mio corpo ,forse anche perche essendo età pensionabile e avvendo vissuto abbastanzo con mio corpo ,nella mia vita…,forse perche DOBBIAMO ACCETTARE quello che ci sta accadendo con la PIU GRANDE SERENITA POSSIBILE ,forse perche dobbiamo essere FORTE ASSAI per contrastare tutto questo ( perche io ? e non quella accanto ..) ,accetto oggi questa strana bozza dura assai ,chiamata protesi che verrà tolta ad ottobre e riffatta insieme al altro seno ( quello buono ,oramai diventato ridicolo accanto a quello finto ! )…en passant ,sto aspettando risultati istologici di 1 altro ” evento chirurgico ” che è capitato 2 mese esatto dopo il primo…e la credetemi ,DEVO FARE LA SUPER BRAVA e affrontare anticipatamente il verdetto che potrebbe capitare su quest’ altra parte del mio corpo…! allora dico a tutte le donne ,giovane o no : la vita c’insegna che fino a che non abbiamo chiusi gli occhi definitivamente ,TUTTO puo capitare nel bene e il male e questo si chiama VITA..

  3. FATTE P.R.E.V.E.N.Z.I.O.N.E ….DONNE ! e non aspettate per andare al primo minimo segnale ad andare a trovare vostro medico o come senti tempo fà da una dire ” ho paura di andare a fare i controli e ho cestinato la richieste “……mai e mai fare una cosa simile ( a me mi richiamarmi dall I.S.P.O per mammografia di controllo che non piacevano,fatte a novembre scorso e tutto è iniziato cosi a fine gennaio ,mi ricordo bene il giorno : era il giorno dopo mio compleanno…..mai e mai avrei pensato a cosa simile ,io che di famiglia longeva e senza tumore alle spalle ,mi credevo ” immortale “,o almeno con una salute di ferro….oggi come stò ? il meglio possibile considerando sti 2 interventi ravvicinati e considerando mio caso !

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