RICORDATI DI ME, QUANDO SCRIVI: SCRIVI, ANZI, DI ME

Il post di ieri ha suscitato parecchie discussioni, anche perché si incrociava a mia insaputa con un raffinatissimo scambio di opinioni fra Martin Amis e Salman Rushdie su cui torna oggi Stefano Bartezzaghi. Estrapolo una frase:
“E qui arriva il bello, quando i due si trovano d’accordo sulle cose che non si possono fare più, scrivendo. Allusioni, rinvii… Niente, il pubblico non è più disponibile a certe cose: «non puoi più aspettarti che il lettore faccia ipotesi, deduca, provi a indovinare. Per adattarsi, gli scrittori smetteranno di insinuare, suggerire, stuzzicare. Ora devono dichiarare».”
Sto rimuginando, su questa frase: perché da una parte ci sono  più lettori, rispetto agli anni passati, in grado di fare ipotesi, dedurre, indovinare. Dall’altra, e la discussione di ieri lo dimostra, la sensazione che ho è che sempre più spesso i lettori desiderino trovare nei libri uno specchio della propria vita.
L’ombra smisurata di un “io” che si allunga su tutto: una vita senza sigarette, per riprendere il discorso di ieri, se si è tabacco-fobici, senza alcool se si imputa al medesimo ogni male possibile, linda (nel thread di Bookadvisor che citavo nel post precedente, una lettrice dichiara di non sopportare le descrizioni della sporcizia), idilliaca (molte lettrici, nello stesso thread, si esprimono contro le scene di violenza). Per farla breve, è la proiezione dei propri gusti, o desideri, o condizioni reali  di chi legge su quanto altri scrivono.
Faccio un passo indietro, e torno ancora una volta a citare il vecchio Morti di fama. Che raccontava come, con l’avvento dei social, milioni di persone si siano trasformate in brand di se stesse. Negli ultimi otto-dieci anni abbiamo visto moltiplicarsi video dove donne e uomini si esibiscono in battute che non fanno ridere, e che proprio per questo attirano visite su YouTube (se lo fa lui posso farlo anche io), si mettono lo smalto, cucinano biscotti, cantano, ballano, fanno sesso, dipingono, fotografano e scrivono. Purché tutto quel che fanno sia sempre più facile, purché venga incontro a chi guarda o chi legge.
All’epoca, intervistai un’antesignana influencer, Barbie Xanax. Che mi disse questo: “Nella maggior parte dei casi chi ti segue e ti commenta vuole semplicemente diventare come te. Famoso, secondo la loro idea. E più ti adula più vuole sostituirsi a te. Per questo vuole che tu ti renda simile. Un giorno sono stata rimproverata perché usavo parole troppo auliche: è saltato fuori che la parola “difficile” era “chirurgico”. Quello che ti si chiede, insomma, è abbassare sempre il livello. Solo così non sei minaccioso. Solo così puoi dire, tra le righe, che sei dalla parte della fama per caso, e che i tuoi fan possono prendere il tuo posto quando vogliono”.
Ora, non vale sempre, non vale comunque, per quanto riguarda la lettura, e molto spesso chi legge non vuole scrivere a sua volta: ma è come se il suo desiderio di vedersi dentro la storia, lui, o lei, con le sue idee e le sue consuetudini, prevalesse sulla storia stessa. A volte chi scrive si adegua, naturalmente: siete voi, proprio voi, di cui parlo, dunque aiutatemi a diffondere il libro, perché fate un favore a voi stessi. Funziona, peraltro, a volerci impiegare tempo, pazienza, astuzia: e a non voler considerare la scrittura come quell’acqua di vita, gratis, che a mio umile parere dovrebbe essere.
A margine, il desiderio impossibile di purezza sovrasta anche i riferimenti realistici delle storie: sto discutendo con alcune spettatrici de La regina degli scacchi che sostengono che si esageri in psicofarmaci e alcool causa complottone dei produttori dei medesimi. Peccato che negli orfanatrofi americani fino a una legge specifica si distribuisse davvero Librium a manciate per calmare i bambini. E peccato che Walter Tevis, nel romanzo da cui la serie è tratta, volesse raccontare esattamente il rapporto fra talento e dolore, essendo egli stesso alcolista e scacchista, come ben dice qui Tommaso Pincio. Se non lo desidero, non deve esserci.
Finché gli scrittori e gli editori non si adeguano, va tutto bene, certo. Ma questa disperata ricerca dell’onnipotenza della propria vita è veleno non solo per la scrittura e la lettura. E’ veleno per tutto. Ad accorgersene, naturalmente.

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