RIPARTIRE DA RIPLEY

Oh, la cronaca fornisce sempre spunti: la moglie sicuramente crudele dello chef stellato che si ritira per fare il papà (gliel’ha chiesto lei, confessi), le donne che non possono parlare di calcio. Cose così. Fuori tempo. Fuori del mondo. Oppure, chissà, in un mondo che si sta rimodellando, anche se  sembra difficile, nonostante la volontà dei passatisti di ritorno, che si rimodelli fino in fondo.
Facciamo un salto indietro di quarant’anni.
Il gatto rosso si chiamava Jones, entrò in scena per caso e cambiò tutte le carte in tavola. Prima della corsa disperata per salvarlo dall’esplosione della Nostromo, la sua proprietaria era semplicemente un membro dell’ equipaggio, una figura che si confondeva con le ombre che si allungavano nei corridoi dell’ astronave nascondendo le zanne e gli umori del mostro in agguato. Prima del salvataggio di Jones, il tenente Ripley era un personaggio fra gli altri: quello che era destinato a sopravvivere solo per un’ interpretazione cinica delle quote rosa: secondo la sceneggiatura, la femmina sfuggiva alla morte solo per smentire le aspettative dello spettatore. Anche grazie a Jones, Ellen Ripley è diventata la capostipite di un nuovo tipo di eroina cinematografica e narrativa. Arrivò come una sorpresa felice, a dieci anni dall’esplosione dei movimenti delle donne: il tempo giusto perché non fosse rigidamente e politicamente corretta, ma perché costituisse un’ alternativa alle altre donne del cinema di avventura. Cinque anni dopo, la compagna di Indiana Jones nelle sue peripezie con i thugs del tempio maledetto corrisponderà ancora al vecchio stereotipo: è bionda, stupida e odia gli insetti. Ripley, invece, imbraccia armi e sfida alieni. Oltre che guerriera,è nomade, solitaria, lucida, indifferente alle tentazioni sentimentali. È bella, certo, ma senza concessioni alla seduzione: boccoli castani, sguardo fermo, un lungo corpo magro mostrato di sfuggita nelle ultime scene coperto da biancheria sportiva (simile a quella che, molti anni dopo, esibisce la Sposa di Kill Bill, mentre aspetta i risultati del test di gravidanza). Ma Ripley non è soltanto un’ amazzone: come la Sposa, è una madre, capace di tenerezza nei confronti di un gatto o di una bambina, e persino – nel terzo e quarto film della serie – di disperato amore nei confronti del mostro che combatte. Il mostro è, naturalmente, Alien, che festeggia quarant’anni di successo: era infatti il 1979 quando Ridley Scott girò il primo film della serie. Nella finzione, il tenente Ripley aveva all’ epoca ventotto anni. Era nata, dicono le biografie del personaggio, il 7 gennaio 2092 sulla base lunare Olympia, aveva studiato con ottimo profitto, era diventata ufficiale e madre. Sua figlia aveva due anni quando si era imbarcata sulla Nostromo. Non la vedremo mai: nel secondo film ( Aliens-Scontro finale, diretto da James Cameron), Ripley si risveglia dall’ibernazione dopo cinquantasette anni. Sua figlia è una donna matura, e per lei perduta. Perduta è anche la piccola Newt, figlia di coloni sterminati sul pianeta LV-426, nido delle creature aliene: per la salvezza della bambina, Ripley lotta con un’ altra, terribile femmina, la Regina xenomorfa, in una delle scene più belle della saga. Perché il destino di Ripley, sequel dopo sequel, sembra privilegiare l’ icona della Grande Madre più che quello della guerriera. Nel terzo Alien (per la regia di David Fincher), Newt muore nell’atterraggio della scialuppa su un pianeta prigione. Ripley porta nel suo ventre un alieno: per questo motivo non viene uccisa da uno dei mostri con cui si scontra. Sarà lei a gettarsi nel metallo fuso per cercare pace e chiudere la storia. Non sarà possibile: nel quarto film, il clone di Ripley si risveglia, affronta di nuovo la Regina e anzi le contende l’ ibrido che da lei è infine nato, e che riconosce l’ umana come vera madre. Anche se Ripley dovrà, infine e con dolore, ucciderlo. Leggere Alien con gli occhi di Ripley significa ritrovare i temi capitali del femminismo in una storia di avventura e scoprire che anche i personaggi femminili possono essere protagonisti di un’ epica. Possono uscire, evitare di singhiozzare su storie d’ amore andate a male, calpestare spazi e cieli aperti, fare a meno di una casa e di una patria. Prerogative che, dopo Alien, sarebbero spettate ad altre. Nel 1991, Ridley Scott gira Thelma & Louise, trasformando due donne qualunque in avventuriere on the road. Nello stesso anno, un altro regista della saga di Alien, James Cameron, dirige Terminator II, dove Sarah Connor, madre del Messia che salverà gli esseri umani, si scopre in debito con Ellen Ripley: non più ragazza smarrita salvata dall’eroe, ma donna che combatte per suo figlio e per il mondo tutto. Altra Grande Madre con bicipiti e pistole, dunque. Senza Ripley, forse, non sarebbe nata Lara Croft, venuta al mondo dei videogame nel 1995 come alternativa al supermacho e interpretata al cinema, nel 2001, da Angelina Jolie. E forse non sarebbe stata possibile una delle eroine più amate del cinema fantastico, la Trinity di Matrix: che, pure, abbandona la durezza della combattente per l’ amore, fino al sacrificio rituale che la vede morire nel terzo e ultimo film. Ma l’ influenza di Ripley si estende anche a storie insospettabili. Nel primo Shrek, è su di lei e, esplicitamente, su Trinity, che si modella la principessa Fiona, tutt’ altro che disposta a lasciarsi salvare dal principe o dall’avventuriero di turno. E c’ è il sospetto che l’ ombra della guerriera abbia reso possibile anche la trasformazione di Arwen Undòmiel ne Il signore degli anelli, dove l’ amata di Aragorn entra in scena armata di spada e sostituisce l’ elfo Glorfindel nel salvataggio di Frodo, a differenza di quanto avviene nel libro di Tolkien. Né, naturalmente, sarebbe stata concepibile la Maggie Fitzgerald di Million Dollary Baby, interpretata da Hilary Swank, e come lei coraggiosa, indomabile, protagonista in un territorio fino a quel momento indiscutibilmente maschile: ma anche custode, nella propria determinazione, dei segreti della vita e della morte, e caparbia nel voler decidere il proprio destino. L’ultima donna della serie, pensando ovviamente ai soli anni Zero e fermandoci da quelle parti, è la Beatrix Kiddo raccontata da Quentin Tarantino in Kill Bill. È l’ erede diretta di Ripley, colei che raccoglie il testimone e colei a cui, nonostante tutto, si riserva il destino migliore. Come Ripley, Beatrix posa i piedi su sabbie mai calpestate da donne, attraversa deserti, sfida l’ impossibile. Come Ripley cerca vendetta e stana i suoi nemici uno dopo l’ altro. Come Ripley è madre ed è per la propria figlia che ritiene perduta che si mette in viaggio. L’ unica differenza fra le due donne è che la Sposa ha amato un uomo, e che quell’uomo è stato anzi il suo pigmalione, colui che, spingendola all’allenamento presso il maestro Pai Mei, la doterà di un’ arma letale (la tecnica dell’ esplosione del cuore con cinque colpi delle dita) con cui Beatrix lo ucciderà. Dopo aver appreso quel che c’ era da sapere dal mondo maschile, dunque, la Sposa riprenderà il cammino insieme a sua figlia, come nella versione rovesciata e luminosa de La strada di Cormac McCarthy. Il secondo volume di Kill Bill esce nel 2004. Un anno dopo, una tranquilla signora americana pubblica un romanzo che si chiama Twilight: la protagonista femminile si chiama Bella Swan. È insicura, goffa e non desidera altro che un grande amore che la protegga. Lo troverà, si sposerà e avranno una bambina. I tempi, anche per le eroine della finzione, si fanno oscuri. Non avremmo immaginato, allora, che un romanzo del 1985, Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, avrebbe colpito nel segno una volta trasformato in serie. Ma anche quando i tempi si fanno oscuri occorre stringersi, e raccontare, e andare avanti.

Un pensiero su “RIPARTIRE DA RIPLEY

  1. Ah la Sigourney Weaver…..la prima Mary Sue della fantascienza. Per non dire di Uma Thurman, che nella vita normale e con un cervello da donna e non da “uoma” sceneggiata da uno che ha fatto dire a Samuel L “Motherfucka” Jackson “ogni volta che le mie dita toccano cervelli divento Superfly TNT, divento i Cannoni di Navarone; infatti, ma che cazzo ci sto a fare io qui dietro? Sei tu che devi pensare al cervello. Scambiamoci il posto, io pulisco i finestrini e tu raccogli il cranio di questo stronzo” non farebbe mai. Oh, odiate Bella Swan? Perchè non avete la più pallida idea di chi sia la Shiro di Deadman Wonderland! E davvero date retta a quella zoccola seminatrice di zizzania della Atwood? Leggetevi questo piuttosto! http://www.mondourania.com/urania/u821-840/urania824.htm

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto