Un pomeriggio d’estate Mirco si trovava a Modena e passeggiava sotto i portici. Angosciato com’era e sempre assorto nel suo “pensiero dominante”, stupiva che la vita gli presentasse come dipinte o riflettesse su uno schermo tante distrazioni. Era un giorno troppo gaio per un uomo non gaio. Ed ecco apparire a Mirco un vecchio in divisa gallonata che trascinava con una catenella due riluttanti cuccioli color sciampagna, due cagniuoli che a una prima occhiata non parevano né lupetti, né bassotti, né volpini. Mirco si avvicinò al vecchio e gli chiese: “Che cani sono questi?” E il vecchio secco e orgoglioso: “Non sono cani, sono sciacalli”, (Così pronunciò da buon settentrionale incolto, e scantonò poi con la sua pariglia). Clizia amava gli animali buffi. Come si sarebbe divertita a vederli! Pensò Mirco. E da quel giorno non lesse Il nome di Modena senza associare quella città all’idea di Clizia e dei due sciacalli. Strana, persistente idea. Che le due bestiole fossero inviate da lei, quasi per emanazione? Che fossero un emblema, una citazione occulta, un senhal? O forse erano solo un’allucinazione, i segni premonitori della sua decadenza, della sua fine? Fatti consimili si ripeterono spesso; non apparvero più sciacalli ma altri strani prodotti della boite à surpríse della vita: cani barboni, scimmie, civette sul trespolo, menestrelli, … E sempre sul vivo della piaga scendeva il lenimento di un balsamo. Una sera Mirco si trovò alcuni versi in testa, prese una matita e un biglietto del tranvai (l’unica carta che avesse nel taschino) e scrisse queste righe. “La speranza di pure rivederti – m’abbandonava; – e mi chiesi se questo che mi chiude – ogni senso di te, schermo d’immagini, – ha i segni della morte o dal passato – è in esso, ma distorto e fatto labile, un tuo barbaglio.” S’arrestò, cancellò il punto fermo e lo sostituì con due punti perché sentiva che occorreva un esempio che fosse anche una conclusione. E terminò così: “(a Modena tra i portici, – un servo gallonato trascinava – due sciacalli al guinzaglio)”. Dove la parentesi voleva isolare l’esempio e suggerire un tono di voce diverso, lo stupore di un ricordi intimo e lontano.
(Eugenio Montale, Corriere della Sera, 16 febbraio 1950)
Bello evocare Montale per parlare di sciacalli, vero? E’ un’autoconsolazione. Perché, da quanto leggo sul profilo della vicepresidente della Regione Marche, Anna Casini (già nota per delicatezza verso i terremotati), chi chiede conto di come vengono usati i fondi europei per il sisma è uno sciacallo che diffonde fake news. L’investimento sulle ciclovie è dunque importante per il turismo, e si è ben capito che il turismo è la preoccupazione principale della regione stessa.
Aveva già risposto, pochi giorni fa, il comitato di Arquata e le altre:
“1) Nessuno ha detto che i 10 milioni destinati dalla Regione Marche a piste ciclabili sono “soldi della ricostruzione”. Fanno parte dei fondi aggiuntivi al POR Fesr 2014-2020 arrivati dall’Europa, spendibili in 8 Assi di intervento (e dunque di spesa). Vengono denominati comunemente “fondi sisma” perché appunto sono stati dati dall’UE per il sisma – altrimenti non sarebbero arrivati.
2) All’interno di quegli 8 Assi di intervento, la Regione ha facoltà di decidere come spendere quel denaro. Un venticinquesimo della somma (10 milioni, per l’appunto) li vuole usare per piste ciclabili. Una decisione da due anni ribadita, preparata, rimandata (anche a causa della mezza sollevazione popolare registratasi nel luglio 2017, dopo la votazione sulla destinazione dei fondi di sms solidali che destinava 5.400.000 euro al primo tratto su tre di una ciclabile, senza pensare a un centesimo per Arquata del Tronto).
Parlare di fake news è dunque improprio, se non grossolano.
Diciamo che paradossalmente è una delle tante fake news disseminate nel post sisma.
La questione è altra: la Regione ha facoltà di destinare quei soldi. E le persone hanno la facoltà di farsi un’idea su come vengono destinati”.
Ora, visto che si annunciano querele nei confronti dei terremotati che protestano, vale la pena leggere, con attenzione, lo studio fatto dal collettivo Emidio di Treviri. Uno studio serio, e amarissimo:
“Il meccanismo decisionale di cui si avvale la Regione Marche prevede un arzigogolato dispositivo politico-burocratico che come un grande vortice gira sopra le nostre teste. Politica resa asse d’intervento. Si mescolano le scale di governance. Si producono documenti che fungono da profezia preventiva. Una volta definiti gli assi di finanziamento, non resta altro che ascoltare scuse addotte in nome del “non si poteva fare altro”. Al resto dei poveri cristi non rimane che scontarne gli effetti, ciclabili, motorizzati o di altra natura”.
(a Modena, tra i portici,
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).
In questo sistema – qualsiasi cosa significhi “sistema” – bisogna tenere di conto che un terremoto devastante come quello di cui si parla diventa una ghiotta occasione per molti. Molti che gli stessi sciacalli schiferebbero.
Capisco la lamentela sui modi e l’arroganza della vicepresidente. Meno quella sulla ciclovia.
Non sono marchigiano e indubbiamente non conosco le necessità della regione, sopratutto dopo il recente terremoto, ma sono un “ciclofilo”. Sono un po’ infastidito dalla strisciante vena polemica che si accompagna sempre ad ogni decisione in favore della mobilità ciclabile.
Sembra che le piste ciclabili, per chi non le usa, siano la spesa più inutile del mondo. D’altro canto, dell’altro 90% del capitolo di spesa non si fa menzione, evidentemente son tutti ben spesi.
Dipende da quali fondi usi per quelle piste, che sono le benvenute. Se usi i fondi europei per il sisma, forse compi una solenne ingiustizia.
Per cosa vanno bene i fondi del sisma? Solo per ricostruire le case terremotate?
Ri-chiedo, i restanti 90% dei fondi, a cosa vanno? La ciclovia è l’unica voce “discutibile”?
Ho messo dei link e parlo di questa vicenda da due anni e mezzo. Mi scusi, ma può tranquillamente leggere da solo. E mi risparmi quel “solo”. Ha idea di cosa significhi, mi auguro, non avere più una casa.