RIPROPORRE: LA QUESTIONE DELL’IRRAZIONALE

Un anno e mezzo fa ho scritto per La Stampa un articolo sull’irrazionale. Col passare del tempo, noto che la discussione non sembra aprirsi ma irrigidirsi. Ci sta, è lo spirito del tempo, credo, ma proprio per questo lo ripropongo. Aggiornamenti man mano.

 

Siamo ancora capaci di pensiero magico? Lo si chiami immaginazione, mito, irrazionale, qualunque sia il nome che vogliamo dare alla percezione del non tangibile, lo possediamo ancora? E, se lo possediamo, possiamo parlarne senza timore di essere tacciati di anti-illuminismo? Prendiamola alla lontana: mentre lavorava alla raccolta di fiabe e folklore irlandese (Irish fairy tales and folklore esce peraltro in volume unico ad aprile per Clydesdale), William Butler Yeats si imbatté in Mrs. Connolly, che conosceva un numero sterminato di storie sulle fate. Dopo averla ascoltata per un giorno intero, Yeats la ringraziò e intraprese la via del ritorno, ma si fermò dopo pochi passi, si girò e le chiese: “Un’ultima domanda, Mrs. Connolly, se posso. Lei crede nelle fate?” La donna rise: “Oh, no, no davvero, Mr. Yeats, no davvero.” Yeats si avviò, non sappiamo se tranquilizzato o deluso, ma Mrs.Connolly aggiunse: “Ma ci sono, Mr. Yeats, ci sono.”

Va bene, era Yeats, ed erano tempi lontani e diversi. Inoltre, Yeats era un poeta e uno scrittore, ed è ancora accettabile l’idea che in ambito letterario si possa scrivere di fate e di magia. Avviciniamoci, allora. Data imprecisata tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta: Lisa Morpurgo, che lavora come traduttrice e responsabile dei diritti esteri per Longanesi, si è appena avvicinata all’astrologia, che diventerà infine la sua professione. In una delle fiere internazionali del libro (probabilmente la Buchmesse di Francoforte) traccia i suoi primi temi natali a Gabriel Garcia Márquez e Dino Buzzati, che se ne compiacciono e la incoraggiano. Lo racconta Melissa Panarello in un libro della collana Mosche d’oro di Giulio Perrone: appunto, Lisa Morpurgo. Quando l’ho letto ho pensato che se oggi Don DeLillo o Claudio Magris raccontassero di essersi fatti fare un tema natale molte sopracciglia si inarcherebbero, o peggio.
Infatti, in una ferocissima discussione pro o contro l’astrologia che si è svolta poche settimane fa in rete, proprio Melissa Panarello, a sua volta astrologa, ha provato a ragionare sul punto ed è stata
massacrata al grido di oscurantista, superstiziosa, ciarlatana e reazionaria. In quell’occasione è tornata a circolare sui social un’antica vignetta che si chiama Scientist Hell e mostra Satana in persona che apre la porta dell’inferno a uno scienziato. Dentro c’è un gruppo di donne che discute di oroscopi. Quasi non si vedesse l’ora, da parte di molti, di riesumare certe convinzioni ancora vive sottotraccia sulla stupidità femminile che crede agli astri e ai tarocchi.

A proposito di tarocchi: è appena uscito per D editore Arcani filosofici, di Francesco D’Isa e Alessia Dulbecco (D editore). Lui scrittore, artista, anima del sito L’indiscreto cui si devono le molto attese Classifiche di qualità, lei pedagogista, compiono un percorso molto diverso dalla consuetudine di chi relega tarocchi e zodiaco nell’ambito della truffa o dell’ignoranza (territorio dove allora, per coerenza, dovrebbero entrare la poetessa Francesca Matteoni, che di tarocchi si occupa, e naturalmente Alejandro Jodorowsky).

La dicotomia che vuole il razionale da una parte e dall’altra i millenaristi sembra diventata profondissima. Passi, appunto, scrivere romanzi non realistici, ma se si ragiona di irrazionale al di fuori dei libri si finisce accomunati nel vasto gruppo di terrapiattisti e, ecco il punto, complottisti.
E’ probabile che avvenga il contrario, invece, e che i seguaci di QAnon si approprino di quel territorio dell’incanto che è stato lasciato libero e anzi condannato. Come scrive Francesco Dimitri in Il potere della meraviglia (Rizzoli), “Ci viene detto che la modernità ha dissipato il nostro senso di meraviglia perché ci ha reso più forti: così forti, in effetti, da non avere più alcun bisogno della meraviglia. È vero il contrario. La modernità ci ha resi più vulnerabili per certi aspetti, e abbiamo dovuto rinunciare alla meraviglia perché non sappiamo più come gestirla”. La meraviglia, in effetti, non si tocca, non è monetizzabile, porta persino pochi like: meglio abbandonarla.
Ancora. L’antropologa Stefania Consigliere, in Favole del reincanto, uscito per DeriveApprodi, dice di più: alziamo gli scudi contro chi sostiene che di mito e di sogno è intessuto il mondo tutto, incluso quello che non vediamo, perché si ritiene indispensabile che l’individuo sia “auto-centrato, autosufficiente, nel pieno possesso delle sue capacità razionali, in stato di veglia, identico a sé”.
Insomma, solo. Ogni volta che si discute della mancanza del senso di comunità (reale e non fittizia: qualcosa in cui riconoscersi, una strada su cui camminare insieme, come altri hanno fatto) si finisce a chiedersi cosa ci unisce, in questi strani tempi: quello che manca è proprio quello che veniva chiamato mito, ovvero la possibilità di una narrazione comune che includa e non escluda. Anche per questo, purtroppo, ci saranno sempre pessimi incantatori, da QAnon in giù, cui si tende a credere. Se si fanno sberleffi al pensiero magico, se si riduce la capacità di desiderare al solo tangibile, tutto rispunta proprio dove non vorremmo vederlo. Se si crea la spaccatura fra scienza e paccottiglia e se si confonde la scienza stessa con scientismo, si crea una disunione tossica quanto falsa. Lo scrittore cileno Benjamin Labatut, autore di Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi) lo sottolinea con chiarezza in un’intervista: “La vera scienza sospetta sempre che dietro ogni sua scoperta giaccia qualcosa di più profondo, oscuro, strano. La sua più grande virtù è l’infatuazione per il mistero, un desiderio di sapere perseguito con lo stesso fervore con cui i santi desideravano il contatto con il Verbo”. E in un’altra dice: “Mentre camminiamo come sonnambuli attraverso la vita, senza mettere mai in dubbio la realtà o le cose strane, e sono molte, che succedono intorno a noi, ogni volta che andiamo a letto e sogniamo, ci ricordiamo che c’è una parte enorme della fenomenologia umana che sfida il modo di pensare razionalmente ordinato che usiamo per sopravvivere”.
Quando è avvenuta, quando si è fatta forte la spaccatura? Forse negli anni Zero, quando molto è cambiato nel nostro tempo. Ed è cambiata, molto, la sinistra. Come scrive ancora Stefania Consigliere: “la sinistra ha disertato l’immaginario. Non solo: l’ha squalificato e ignorato.  Un errore storico di proporzioni madornali, perché ha comportato la smobilitazione di intelligenza e sensibilità dal terreno più cruciale per qualsiasi forma di cambiamento. Anziché abbandonare l’immaginario agli avversari, avrebbero dovuto impedir loro di incatenarlo, pervertirlo e violentarlo a piacimento”. E oggi ci troviamo “nell’urgenza di curare le devastazioni portate nella zona più umbratile e cruciale del divenire umano. Stentiamo a comprendere il senso profondo, antropologico, di fenomeni come i rave, la ricerca del sacro presso altre culture, i dispositivi di fuoriuscita dalla corazza soggettiva”.

Va in questa direzione La verità su tutto, il romanzo di Vanni Santoni (Mondadori): una storia-manifesto, che attraverso il misticismo e la psichedelia narra di come le reti di socialità spezzate trovino, forse, una nuova possibilità, come avviene del resto, fuori dalla narrazione, in quello che viene chiamato Rinascimento psichedelico. E come è avvenuto nei free party, cui Santoni fa riferimento nel libro e che ben conosce. Significa che non sempre la spiegazione illuminista è sufficiente: non lo è stata in passato, non lo è oggi. Provare a comprendere il mondo non significa impedire di sognarlo. E capirlo significa non respingere il razionale, ma ammettere l’irrazionale.
Di cui è stato Roberto Calasso a dare la migliore definizione: “sotto l’etichetta di quell’incongrua parola, disutile al pensiero, si trovava di tutto. E si trovava anche una vasta parte dell’essenziale. Che spesso non aveva ancora accesso all’editoria italiana, anche e soprattutto per via di quel marchio infamante”.

 

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