STORIE E POLITICA: QUESTO MONDO NON MI RENDERA’ CATTIVO

Qualche giorno fa, sempre su La Stampa, è uscito un mio articolo sulla (possibile) fine delle storie: ovvero, sul disamore da parte di premi letterari, editori e, sì, lettrici e lettori, nei confronti dei libri che non siano memoir, autofiction, biografie, saggi. Ci tornerò, ma oggi mi interessa parlare di Questo mondo non mi renderà cattivo, la nuova serie Netflix di Zerocalcare. Perché, in apparenza, incarna una contraddizione: sulle prime, tutta l’opera di Zerocalcare, dai fumetti online ai libri, sembra essere una lunga narrazione di se stesso, delle sue fobie, dei suoi amici, della sua famiglia. Ma è una lettura superficiale, a mio parere: perché per quel che sembra a me il personaggio Zerocalcare usa il pretesto della sua autorappresentazione per portare chi legge da tutt’altra parte, si tratti della periferia di Roma o di Shengal o di Kobane. Non so neanche se sia giusta la definizione “generazionale”, che spesso gli viene attribuita: preferisco quella di spirito del tempo, e di chi sa guardarlo bene, quel tempo, e raccontarlo senza voltarsi troppo indietro (a meno che non si tratti dell’evento spartiacque, quello sì generazionale – ma non solo – che è stato il G8 di Genova).
In Questo mondo non mi renderà cattivo c’è esattamente questo, e c’è il ribaltamento di non pochi stereotipi, soprattutto con il personaggio di Cesare, che vuole essere “visto” e per questo si accompagna, disperatamente, ai neofascisti che fanno la ronda nelle periferie per accendere micce prendendo come pretesto migranti o rom – e, sì, li conosco benissimo, visto che la mia periferia non è affatto lontana da quella di Zerocalcare. E c’è una riflessione su come siamo, su come giudichiamo, su come siamo sempre meno capaci di capire le altre persone, e persino su come si sconta l’essere “famosi”, che è il rimprovero che i personaggi della serie fanno al personaggio Zerocalcare e che in certi (orrendi) thread sui social viene pure fatto, perché automaticamente chi è visibile fa parte di un circoletto e altrettanto immancabilmente quel circoletto è responsabile del tuo (presunto o percepito) fallimento. L’altra variante dei thread orrendi sostiene che Zerocalcare è classista e servo dello Stato (giuro che l’ho letto) perché ha osato parlare di vergogna positiva, che è quella che ti coglie quando ti senti inadatto o impreparato a intervenire su un argomento: il che non significa impedire alle persone di parlare a meno di non possedere due lauree, ma semplicemente, ogni tanto, riflettere su quanto abbia senso quello che stiamo per dire in quel momento: senso non intellettuale, ma sentimentale ed emozionale. Per dire, a quelle e quelli che frignano sui circoletti imporrei qualche minuto di vergogna positiva. Per quanto riguarda me, provo a impormela tutti i giorni, ma essendo imperfetta non sempre ci riesco.
Insomma, se autofiction è, quella di Zerocalcare è totalmente e sempre politica esattamente come quella di Annie Ernaux, e così andrebbe letta. Poi, com’è giusto, a ognuno le sue reazioni ed emozioni. Per me, è la cosa più bella che, fin qui, Zerocalcare ha fatto: ma si sa, noi di periferia abbiamo circoletti ovunque, e d’abitudine ci diamo di gomito davanti a certi gelatai di piazza Beltramelli o dal pescivendolo di via Tiburtina, com’è noto.
E comunque guardatelo e, com’è giusto, fatevi la vostra opinione: non sarà tempo perso, e questa è già cosa rara.

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