SALVARSI LA VITA: JANET FRAME E UN'ALTRA STORIA UTILE

“Scriverò della stagione del pericolo. Mi rinchiusero in ospedale perché si era aperto un grande squarcio nel banco di ghiaccio fra me e gli altri che guardavo allontanarsi alla deriva, insieme al loro mondo, su un mare color malva dove pesci martello dal languore tropicale nuotavano fianco a fianco con le foche e gli orsi polari. Ero sola sulla banchisa. Si era levato un vento gelido di tormenta e io mi sentivo intorpidita e mi venne voglia di stendermi a dormire e lo avrei fatto, se non fossero arrivati gli sconosciuti con forbici e borse di tela piene di pidocchi e flaconi di veleno con etichette rosse, e altri pericoli di cui non mi ero mai resa conto prima – specchi, camici, corridoi, mobili, metri quadrati, pezze intere di silenzio – in tinta unita e a quadri, campioni gratuiti di voci. E gli sconosciuti, senza parlare, innalzarono tende di calicò e si accamparono insieme a me”.
Non molti ricordano Janet Frame, che ebbe la sua notorietà negli anni Novanta dopo il film che Jane Campion trasse da Un angelo alla mia tavola. Frame era una bambina povera, nata nel 1924 a Dunedin, Nuova Zelanda. Sono gli anni in cui si costruisce la ferrovia, e il padre, che è appunto lavora nelle ferrovie, si sposta con la sua famiglia man mano che la rete progredisce. Vivono in una baracca: i genitori, Janet, le tre sorelle maggiori e il fratello epilettico.
Come ricostruisce Anna Toscano, Janet scopre la letteratura attraverso le Favole dei Fratelli Grimm: “mentre leggevo la storia delle Dodici Principesse e loro ascoltavano [le sorelle], sapevo e loro sapevano, trionfalmente, che le Dodici Principesse eravamo noi…non dodici ma quattro; e mentre leggevo, vedevo con gli occhi della mente l’armadio dei cappotti nell’angolo della camera da letto da dove avremmo potuto scomparire nel mondo sotterraneo […]”.
Vince un premio, a scuola, grazie al quale può accedere alla biblioteca. Il padre le porta “un taccuino delle ferrovie dall’ufficio del capomacchinista perché ci scrivessi le mie poesie”. Cresce, studia, diventa maestra. Ma resta una ragazza fragile: basta poco per farla dichiarare schizofrenica e chiuderla in manicomio.
Ci rimarrà otto anni e subirà quattrocento elettroshock.
Le persone, scaldate fino alla fragilità
e immerse in acqua fredda, si spaccano.
Non sorriderò più.
Latte, panni, spazzatura.
Persone gentili, sorrisi gentili.
Non c’è tempo per questo pasto lento del tardo pomeriggio.
Latte, panni, spazzatura.
Sì, sì grazie, non sorriderò più.
Sono venuta qui a scrivere storie e poesie,
non a preparare il croccante.
Arriva il buio, col sole ormai calato
su latte, panni, spazzatura.
Non sorriderò più.
Sono venuta qui per scrivere.
Severa, immersa, sana di mente,
rimesterò le sillabe
nella padella in dotazione;
dormirò sul materasso a molle,
girerò la chiave,
pagherò l’affitto,
stenderò protezioni di giornale,
spazzolerò la moquette da spazzolare,
ma sarò torva, niente sorrisi, mai più, mai più,
(latte, panni, spazzatura)
mentre scrivo le mie storie laggiù laggiù
nelle grotte di pietra del loro fondale.
Viene salvata dalla lobotomia a poche ore dall’intervento. Grazie a quello che riesce a scrivere su pezzi di carta di fortuna, che consegna alla sorella durante le visite. Quelle storie, inviate a un premio prestigioso, le fruttano la vittoria. Il premio ferma “l’esecuzione”.
Continua a scrivere. Nella roulotte in cui vive, per esempio.Scrivere sarà per lei, a quel punto, evocare il passato:
“l’esigenza del passato, “la più vitale fra tutte le esigenze umane” scrive Simone Weil, da cosa diviene parola e scrittura”.
Continua a vincere premi. Va in Europa. Torna in Nuova Zelanda. Muore nel 2004, dopo essere stata candidata al Nobel per la letteratura.  A volte i libri salvano vite. Altre volte, ovviamente ed evidentemente, no. Ma senza quel confronto con la storia nostra e degli altri, non siamo che foglie al vento. E non importa se gli altri si accigliano.
D’ora in ora più selvatica. Lo so.
Da tanti anni divorata,
tagliata, ritagliata,i rami costretti a destra e a manca,
mi slanciai, fiorendo, minuti fiori bianchi
sopra gli steccati fisso in viso le persone
Mi guardano le api, mi ha preso in manto il vento
Forte e aspro è il mio gusto, rigogliose le mie fronde.
Si acciglia la gente, se vede che metto ancora una radice.

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