SCENE DI LOTTA DI CLASSE IN TERZA PAGINA

Ne abbiamo parlato giusto ieri in radio:  a fine dicembre, Lars Lönnroth scrive sulla rivista svedese Axess un articolo durissimo sulla “nuova era” delle pagine culturali. Grazie a Press Europe, è possibile leggerlo (lo trovate qui sotto). Ora, quanto detto da Lönnroth non vale, evidentemente, solo per la Svezia. Nè, credo, vale solo per i quotidiani: perché anche ai vertici di molte case editrici si sta consumando quella che Lönnroth chiama lotta di classe, e che vede salire in posizioni di comando dirigenti che vengono da esperienze non letterarie e che erano stati guardati con (ingiusto, fatemelo dire) disprezzo dai letterati puri, come se le leve del sapere culturale potessero essere manovrate solo da alcuni (pochi) eletti. Di contro, però, quei nuovi vincenti pensano di poter vincere ancora facendo a meno degli antichi spregiatori e “andando incontro ai gusti del pubblico”, quali che essi siano.  Previsioni impossibili, presa d’atto necessaria. Intanto, leggetevi Lönnroth.
LA CULTURA E’ DIVENTATA UN LUSSO
di Lars Lönnroth
Il 6 novembre 2012, nell’anniversario della battaglia di Lützen [vittoria degli svedesi sugli austriaci, 1632], il nuovo responsabile delle pagine culturali di Svenska Dagbladet Martin Jönsson e la nuova responsabile della pagina letteraria Lina Kalmteg hanno inviato una lettera a me e ad altri collaboratori della sezione cultura, tra cui alcuni dei giornalisti più rispettati e conosciuti del giornale.
La lettera ci informava che dato che eravamo all’alba di una nuova era il quotidiano avrebbe fatto a meno delle nostre critiche letterarie, e sottolineava che il numero di giornalisti culturali freelance era eccessivo. Il servizio cultura manifestava la volontà di “creare un gruppo ridotto con il quale avrebbe lavorato per fornire una copertura rimodellata dell’attualità letteraria”.
In sostanza la direzione del giornale, decisa a fare economia, aveva deciso di rivedere al ribasso il budget dedicato alla critica letteraria e dare più spazio a “costume e società” e ad altri contenuti più leggeri.
Il licenziamento dei collaboratori di Svenska Dagbladet non è un fatto isolato, ma una conseguenza della crisi internazionale della stampa. Per affrontare la concorrenza del giornalismo online e altri media virtuali, i direttori dei giornali si sentono obbligati ad abbassare le loro ambizioni intellettuali per aumentare il numero dei lettori.
Risultato? I collaboratori culturali vengono messi alla porta e sostituiti con giornalisti incaricati di massificare i contenuti culturali, sotto forma di servizi di costume e altri pezzi preconfezionati e facili da ingurgitare sul bus o in metropolitana. Il fenomeno che oggi colpisce Svenska Dagbladet è in atto da tempo nella redazione di Dagens Nyheter, di Göteborgs-Posten e di altre pubblicazioni sparse per il mondo.
Allo stesso tempo ciò che sta accadendo può essere visto come la fase finale di una lunga “lotta di classe” tra due categorie di collaboratori della stampa quotidiana. La prima è composta da giornalisti cresciuti nelle redazioni dei telegiornali e delle riviste della sfera mediatica. Si tratta di una classe storicamente “inferiore”, che però si è ormai impossessata delle pagine culturali. La seconda classe è quella dei collaboratori culturali che hanno studiato all’università o nel parnaso letterario, una classe a lungo considerata “superiore” che tuttavia è sul punto di essere estromessa dalla stampa quotidiana.
Il declino delle pagine culturali ha cominciato a diventare evidente attorno al 2000, e da allora si è allargato seguendo la stessa dinamica in tutti i grandi quotidiani mentre i lettori disdicevano gli abbonamenti ai giornali cartacei per leggerli gratuitamente su internet. Per molto tempo le pagine culturali di Svenska Dagbladet sono state risparmiate nonostante la precarietà finanziaria del quotidiano, soprattutto grazie alla presenza di collaboratori fedeli e di lettori provenienti dalla borghesia istruita.
Tuttavia il nuovo proprietario del quotidiano, [il gruppo norvegese] Schibsted, ha preteso tagli drastici e un’inversione di rotta. Mats Svegfors e Peter Luthersson, due intellettuali con cariche di responsabilità all’interno del giornale, hanno sbattuto la porta per poi essere sostituiti da persone più portate per il marketing.
Ma quale sarà l’impatto di queste modifiche sugli abbonamenti? Un giovane giornalista freelance motivato non costa molto, quindi permette di risparmiare a breve termine e racimolare qualche lettore qua e là tra i giovani. Inoltre è probabile che il ragazzo seguirà diligentemente la linea editoriale del giornale improntata su “costumi e società” e privilegerà dunque la moda, i viaggi, i divertimenti, l’arredamento e i best seller.
Valore sicuro
Allo stesso tempo, però, quella del giovane freelance è una scelta rischiosa, perché la borghesia istruita che finora ha costituito un pubblico fedele sta cominciando a disdire gli abbonamenti e in ogni caso è probabile la maggior parte dei giovani appassionati delle rubriche di “costume e società” abbandonerà del tutto i giornali cartacei per cercare informazioni solo su internet. Il processo è già in stato già avanzato. I lettori provenienti dal mondo universitario, invece, vireranno verso le riviste intellettuali.
Alla fine è probabile che i giornalisti culturali più famosi riescano a trovare un modo di superare la crisi, anche se i quotidiani come Dagens Nyheter o Svenska Dagbladet non hanno più i mezzi per pagare i loro articoli adeguatamente. Molti di loro hanno già creato un blog o un sito per raggiungere i lettori, e a lungo termine riusciranno sicuramente ad assicurarsi un reddito decente lavorando anche per le università, le fondazioni culturali e le case editrici dotate di ambizioni intellettuali.
Il dominio dei giornalisti della stampa quotidiana sulle pagine culturali si rivelerà dunque una vittoria di Pirro, perché di sicuro saranno loro le prime vittime della disoccupazione, insieme ai giovani freelance. A salvarsi saranno invece proprio quei critici letterari rinomati e altri collaboratori che rappresentano un valore sicuro nell’universo della cultura.

15 pensieri su “SCENE DI LOTTA DI CLASSE IN TERZA PAGINA

  1. Forse il problema non ė la lotta tra “superiori” ed “inferiori” bensì sulla qualità della scrittura oggi. Non ė vero che oggi si cerca più “costume e società” anzi, grazie alla rete, oggi la ricerca d’informazione sono sempre più dettagliate e meno generalista. I giornali, oggi, devono chiedere ai loro giornalisti “superiori” di confrontarsi con la rete. Abbiamo bisogno anche in rete di professionisti dell’informazione e della cultura, di qualità. Contemporaneamente i giornali devono trovare nuovi modelli di business per sopravvivere. Il tuo blog, lipperatura, ė un esempio di professionismo in rete. Quando i giornali capiranno in quale direzione andare avremo in”superiori” nuovamente in auge.

  2. Leggere di classi superiori e inferiori mi fa venire i brividi. In ogni caso, che anche il mondo dell’editoria abbia scoperto che per competere occorre andare incontro ai gusti dei clienti è una buona notizia. Naturalmente questo vale per chi con la cultura vuol farci dei soldi, per tutti gli altri invece il marketing è utile quanto un sottile strato di ghiaccio sulla rampa dell’autostrada.

  3. Ho l’impressione, a volte, che la qualitá del lavoro giornalistico stia diventando molto scadente anche per articoli di livello non culturale.
    Mi capita ogni tanto di leggere articoli su quotidiani italiani online farciti di inesattezze: si parte da errori -reiterati, non errori di stampa- sui nomi delle persone o la loro etá, per arrivare all’inserimento di fatti inventati di sana pianta (un esempio: un paio di anni fa il Corriere scrisse di come funzionava il congedo parentale in diversi Paesi europei. I fatti relativi alla Svezia, paese dove vivo, erano completamente campati in aria, le cifre non corrispondevano proprio. Un’amica che abita in Germania mi segnaló incongruenze anche sui dati relativi a quello stato).
    Questo é un problema non solo italiano perché l’ho notato nei tre paesi dove ho vissuto, e in tutti i tipi di giornali, da quelli tipo Metro ai piú prestigiosi.
    Se c’é cosí poca attenzione nel fare un lavoro accurato giá solo nel riportare un paio di cifre, mi immagino il disinteresse nel gestire pagine di cultura, piú complesse e talvolta piú problematiche.
    La mia impressione é che i lettori appena piú istruiti nutrano diffidenza verso il giornalismo (“se sbagliano o inventano su dati crudi e verificabili, immaginiamoci il resto”, il lettore puó pensare) e preferiscano andare in rete e cercarsi da soli i dati e le opinioni originali, senza il filtro dell’articolista.

  4. Proprio per la salvaguardia dell aqualità dei contenuti ė necessario che i professionisti si sperimentino sulla rete. Devono modificare l’atteggiamento da “superiori” e mettersi in gioco. Agli editori la capacità di inventare nuovi format comunicativi che possano pagare il lavoro. “Alleggerire” l’informazione abbassandone la qualità ė un danno per la rete e per i giornali.

  5. a proposito di guerra di classe,ho trovato piuttosto snob nell’accezione peggiore del termine la gag continuata andata in scena ieri sera a servizio pubblico tra i due attori consumati,in cui si alludeva al fatto presunta lentezza nell’afferrare i concetti fosse da collegare all’avere frequentato le scuole serali.Allusione che non teneva minimamente conto che le esperienze individuali bisogna leggerle in punta di coltello praticando le famose analisi complesse di cui nei media tradizionali non v’è più quasi traccia.Evidentemente alle colazioni dei campioni,a cui siamo contenti di non essere stati invitati,devono avere tutti l’aria di essere appena tornati dall’iperuranio

  6. Infatti non ne facciamo una questione anagrafica: anche noi in casa editrice, che abbiamo svoltato i cinquanta da un po’, non ne possiamo più. Ma Diletta Colombo, che ha stimolato la conversazione e scritto la prima parte dei post ha trent’anni. E non possiamo fargliene una colpa. Grazie per l’attenzione che ci ha dedicato.

  7. Ma mica ci eravamo offesi. Forse ci andava una di quelle faccine con il sorriso anche nel nostro commento.
    Hai voglia di venire a dirci la tua sul nostro post? Non è mica obbligatorio. Ma non ci dispiacerebbe affatto.

  8. Poi non raccontiamocela: la cultura è un prodotto di lusso. Come l’i-phone e svariate altre cose. Ognuno ha le sue priorità su quello per cui vale la pena spendere soldi, ma a me non sembra di essere cresciuta in un ambiente con una biblioteca pubblica a disposizione e anche questo fa una grossa differenza.

  9. Lönnroth scrive: ” a lungo termine riusciranno sicuramente ad assicurarsi un reddito decente lavorando anche per le università, le fondazioni culturali e le case editrici dotate di ambizioni intellettuali”. Perché ho la sensazione che questo in Italia non accadrà (non stia accadendo)?

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