SCRITTORI E IMPEGNO

Francesco Piccolo, sul Corriere di oggi:
Qualche anno fa Antonio Scurati, in diretta televisiva, disse a Bruno Vespa che se il protagonista di un suo romanzo fosse stato lì, con la sua pistola, avrebbe scelto di sparare senz’altro al conduttore. In seguito, Scurati è stato indicato per anni scrittore di valore non soltanto per i libri di qualità che andava scrivendo, ma anche per quell’atto. E ci ha messo tempo per liberarsene. Noi scrittori veniamo giudicati, o — peggio — consideriamo noi stessi, più bravi o meno bravi, non tanto sulla base di un libro bello o mal riuscito, ma dalla quantità di esposizione del nostro impegno civile. Ci sembra di essere bravi se scriviamo editoriali sarcastici contro i politici del momento, se firmiamo appelli in favore della Costituzione, se accorriamo al Teatro Valle occupato. Sia chiaro: nulla da dire su chi sente la necessità di andare in strada a protestare. Anche se tra coloro che poi devono ragionare sui giornali, mettere un po’ di distanza tra sé e i fatti, sarebbe più sensato. Ma il problema più serio è che, scendendo in piazza, formulando invettive sarcastiche, firmando innumerevoli appelli civili ed etici, noi scrittori veniamo considerati (e ci consideriamo), per questo, degli scrittori di maggior valore. Anzi, direi di più. Man mano che passano gli anni, alcuni di noi sostituiscono la furia creativa con una furia civile. Quanta meno energia creativa fluisce nel sangue, tanta più passione civile ci possiede. Ecco, non vorrei che accadesse addirittura questo: che quando la capacità di scrivere dei bei libri affievolisce, possiamo credere di sostituirla con editoriali accesi di indignazione. Perché, pur essendo un diritto, non è il compito. L’unico compito che hanno gli scrittori è quello di scrivere, o almeno cercare di scrivere, dei libri che prima loro stessi e poi gli altri giudichino — cercando di dirlo nel modo più elementare e ingenuo possibile — belli. Valga un esempio per tutti, di uno scrittore che ho molto amato quando ero ragazzo: Antonio Tabucchi. Sono molti anni che non scrive libri significativi come i suoi primi, e sono proprio gli anni in cui la militanza civile ha preso il sopravvento. Quelli che oggi lo conoscono e non lo hanno letto venti anni fa, credono che sia soprattutto un punto di riferimento dell’antiberlusconismo. Il problema è proprio questo: la patente di antiberlusconiani si prende troppo facilmente, e infatti ce l’hanno centinaia di scrittori. In questi anni, quando si parla di letteratura e impegno, si può individuare facilmente un altro involontario colpevole: Roberto Saviano. Il quale, però, ha fatto un percorso inverso: il suo impegno civile scaturisce direttamente da ciò che ha scritto; e le due cose stanno insieme in modo naturale. La presenza così viva di Saviano come polo positivo e di Berlusconi come polo negativo, ha messo in circolo una energia decuplicata, quasi una moda dell’impegno, anche in coloro che non hanno nel dna “Gomorra” o “Petrolio”, ma scrivono romanzi d’amore o d’avventure. Il che, lo ripeto, è legittimo. Basta però che non si scrivano dei romanzi d’amore mediocri, e in seguito si cerchi la salvezza in un bell’editoriale pieno di passione civile. Credendo di essere riusciti a pareggiare i conti.

13 pensieri su “SCRITTORI E IMPEGNO

  1. Ma esattamente a Piccolo cosa da fastidio? Che un autore abbia delle opinioni? Il l’anti-berlusconismo strumentale? L’impegno civile in quanto tale? Ovvio che un cattivo scrittore rimane un cattivo scrittore a prescindere dal suo impegno civile o meno, e continuo a pensare che, in pieno stile corsera, l’articolo sia subdolo. Spesso l’impegno civile o politico è strumentale, ma al tempo stesso in questi ultimi anni, sono mancati gli interventi di chi contribuisce al dibattito culturale in questo paese, e spesso sono mancati per paura di perdere i propri privilegi.
    Calvino era Calvino anche se scriveva editoriali sul corsera.

  2. A dire il vero Scurati ha tentato le due operazioni in un sol colpo(scrittura + denuncia): un libro su una Venezia del futuro (2092) affondata da uno tsunami e poi recuperata dai cinesi pe farne una sorta di Las Vegas. L’idea che dovrebbe inquietare nel profondo il lettore e rendergli il libro irresistibile è quella di una piazza San Marco utilizzata come arena per nuovi gladiatori… idea che però lascia francamente perplessi. Insomma, i mali di Venezia esistono veramente e la affliggono non poco, ma un libro di denuncia del genere non so quanto possa acchiappare. Boh.

  3. Trovo che l’articolo sia inutile e la polemica sciocca, un “frame ingannevole” direbbe qualcuno: fuori/dentro l’impegno civile, fuori dentro la politica, a destra o a manca.
    Sennò Hugo, Majakovkij, Dickens, Sciascia, Vonnegut[…], ma anche Mishima, Jünger, Céline, Pound[…] erano tutti stronzi (ups, scusa Loredana).
    Non lo erano, non lo sono.
    Come neanche quelli considerati “meno impegnati”, Baudlaire (che polemizzava con Hugo per i suoi scritti politici) o Proust o Catullo o João Gilberto o chessò.
    Suvvia.
    C_

  4. stai a vedere che alla fine la nuova frontiera della recensione sia un rimuginare a voce alta atto a creare nuovi complessi e sensi di colpa agli interessati che dovrebbero scordarsi di essere quello che sono?Spiacente,la vita non funziona a compartimenti stagni

  5. Buongiorno a tutti, spero di non esser prolissa, leggo sempre, ma è la prima volta che scrivo.
    Il nucleo del discorso, secondo me, è che nell’800, nel periodo Romantico, quando per questioni storiche (legate all’indipendenza nazionale), l’intellettuale e quindi lo scrittore, si poneva come “faro” e “guida del popolo”. Ricordo bene i romanzi e le poesie (non sempre irresistibili) i cui temi erano decisamente “politici” e come anche i “grandi” autori si siano schierati politicamente pro Italia, contro “barbaro invasore” etc.
    Questo retaggio, che vede lo scrittore non solo come uno che scrive bene delle belle storie (per semplificare), ma come una “guida del popolo” c’è un po’ rimasto, come paese e come critica letteraria, anche.
    L’ostracismo patito da certi autori (ad esempio De Roberto, ma pure Guareschi, D’Annunzio etc) per vere o presunte simpatie “non politicamente corrette” è il lato negativo di questo retaggio del passato. All’università mi è capitato di dire “mi piace il Notturno di D’Annunzio” e di sentirmi rispondere (da un docente) “Ideologicamente non lo condivido, quindi non mi può piacere la sua opera”, o, più semplicemente (da uno studente) “Ma allora sei fascista.”
    Io credo che lo scrittore possa manifestare (e ci mancherebbe) le sue opinioni politiche, trovo però che esse non debbano essere conditio sine qua non per apprezzarne (o meno) opere.
    “Tolkien è di destra” oltre ad essere una scemenza, mi ha impedito di leggerlo fino all’età adulta…e sono io ad averci perso qualcosa.
    Chiedere ad uno scrittore di essere profondo conoscitore della realtà politica ed economica che lo circonda, tanto da ergersi a guida ideale, mi pare, onestamente, una forzatura.
    A presto
    A.

  6. Quello che conta è che NON CI SIANO REGOLE. Se uno scrittore vuole fare l’intellettuale del dissenso, che lo faccia. Se preferisce vivere nascosto, che si isoli, purché regali buone opere. Abbasso il pensiero unico. Che ognuno sia come meglio crede.

  7. Piccolo ha scritto questo articolo non per mettere indiscussione la figura dello scrittore impegnato sul piano politico ma per indicare un argine che è stato superato da molti scrittori. Ha registrato un fatto e cioè che la corsa di molti scrittori a firmare appelli, a ricercare una visibilità civile a danno della creatività e della loro opera artistica. Azzeccato è l’esempio di Tabucchi che nell’ultimo decennio ha scelto la via tribunizia a scapito della sua opera di scrittore. Gli ultimi suoi libri sono assolutamente privi della forza e vitalità narrativa dei primi suoi testi.

  8. Si potrebbe dire che il sottotesto dell’articolo di Piccolo riguarda l’elementare distinzione tra la comunicazione artistica e quella politica. Elementare per chi ha riflettuto sulla dimensione “sui generis” dell’oggetto artistico, ovviamente. Riflessione che però l’egemonia culturale del marxismo ha reso praticamente impossibile per decenni, visto che dell’arte e della letteratura in particolare faceva una lettura puramente “sintomale”, rispetto al contesto storico-sociale in cui si produce, ripudiando come idealistico o metafisico ogni tentativo di salvaguardare l’autonomia dell’arte. Dal momento che, con grave ritardo sul restoi del mondo, in Italia i cascami di questa cultura sono ancora egemoni tra la maggior parte degli intellettuali, la situazione che Piccolo descrive è frequentemente constatabile. L’artista sente il dovere sociale di partecipare al gioco di società (ormai è poco più che quello) dello schieramento e dell’atteggiamento tribunizio, per acquisire la patente di intellettuale e non semplice artigiano.
    Poi va detto che lo scrivente (l’uomo pubblico) spesso non è all’altezza dello scrittore (l’autore). Niente di scandaloso: anche Maradona era un dio col pallone tra i piedi, ma non vale lo stesso come allenatore.

  9. Piccolo si preoccupa troppo del giudizio dei lettori ma i lettori non sono così ingenui: non giudicano gli scrittori, giudicano solo quello che scrivono. Preciso: non giudichiamo gli scrittori PER quello che scrivono, giudichiamo SOLO quello che gli scrittori scrivono.
    Ad es. non mi interessa Francesco Piccolo, mi interessa il libro di F.Piccolo, il post di F.Piccolo, l’articolo di F. Piccolo.
    Nello specifico, mi piacciono più i libri di evasione di F.Piccolo rispetto a questo articolo di impegno un po’ trombone di F.Piccolo (articolo che sicuramente piace tanto ai lettori cerchiobottisti del Corriere).
    Su Scurati: andare da Vespa è una cretinata in sé, ma non mi impressiono e alla fine leggo anche libri passati in promo da Vespa.

  10. mi allaccio a questo ultimo commento perchè il ragionamento stuzzica.
    Piccolo, per dire che lo scrittore non dovrebbe fare editoriali, ne ha scritto uno, per giunta “cerchiobottista”. E’ un bel paradosso.
    Ma sono d’accordo fino ad un certo punto: in fin dei conti, Piccolo, fin dai tempi dello “sguardo miope” sul mai abbastanza compianto Diario della Settimana degli inizi, ha sempre cercato di “spiazzare” e di sparigliare, cercando di far vedere anche altre cose, altri modi di intendere la realtà.
    è trombone Piccolo? un po’ sì.
    ha ragione? secondo me la risposta è di nuovo sì.
    sui lettori cerchiobottisti del corriere poi non posso che essere completamente d’accordo: spesso molti “intellettuali” o (auto) presunti tali amano far credere di avere uno sguardo indipendente dai luoghi comuni “del marxismo imperante” (che dio sempre lo benedica) e proprio a sinistra amano far vedere che loro sì che sono “indipendenti da certi cliché”.
    ma non credo che sia questo il caso di Piccolo. Credo che in questo caso si tratti davvero del rimpianto (del tutto giustificato) che nasce dal vedere che alcuni scrittori cerchino visibilità marcando la vena “civile” quando la vena artistica cala, oppure a scapito di quest’ultima.
    e io sono d’accordo con Piccolo. E’ un vero peccato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto