SCRIVERE SU ATENE

Era sul Corriere della Sera di ieri. Lo ha scritto Luciano Canfora.

Inverno 405/404 a.C.
«Gli Ateniesi assediati sia da terra sia da mare non erano più in grado di rispondere alla domanda: che fare? Non c’erano più navi, gli alleati avevano defezionato, non c’era più grano. Non c’era più scampo, pensavano: avrebbero subito la stessa sorte che, senza alcuna ragione neanche quella di esercitare una legittima punizione, avevano inflitto ad altri quando per mero spirito di sopraffazione avevano calpestato il buon diritto di piccole comunità colpevoli unicamente di “non” combattere al loro fianco. Di conseguenza per prima cosa annullarono le condanne alla “privazione dei diritti politici” (a suo tempo inflitte a chi si era compromesso con l’oligarchia), e si apprestarono alla resistenza. Intanto tanta gente moriva di fame in città, e però loro non accettavano di trattare un qualche accordo di resa.
«Quando le riserve di grano furono completamente esaurite, mandarono ambasciatori presso il re spartano Agide con questa proposta di accordo: Atene si offriva di essere alleata di Sparta ma chiedeva la garanzia che non si toccassero né le mura né il Pireo. Agide rispose: andate a Sparta. Lui, disse, non aveva il potere di decidere in merito. Gli inviati tornarono ad Atene e riferirono. Furono mandati a Sparta.
«Quando giunsero a Sellasia e gli efori seppero le loro proposte — che erano le stesse che avevano fatto ad Agide — ordinarono loro di andarsene, e di tornare con proposte migliori, se davvero volevano la pace. Quando gli ambasciatori rientrarono in Atene e riferirono, la resistenza psicologica di tutti crollò. Ormai, pensavano, sarebbero stati fatti schiavi! E si rendevano conto che, fino alla prossima ambasceria, molta altra gente sarebbe morta di fame. […]
«A questo punto, Teramene parlò in assemblea e disse: se mi inviate presso Lisandro, tornerò avendo accertato se gli Spartani intendono ridurre in schiavitù la città, e perciò si ostinano sulla questione delle mura, o invece avanzano quella richiesta perché pretendono una garanzia (in sostanza impedire, in quel modo, che un domani Atene scatenasse altre guerre). Fu inviato. Ma restò presso Lisandro ben tre mesi e più: spiava il momento in cui gli Ateniesi, totalmente privi di grano, avrebbero accettato qualunque proposta. Il quarto mese tornò. […]
«Teramene e gli altri nove ambasciatori giunsero a Sellasia. Lì furono fermati e fu chiesto loro con quale proposta si fossero presentati. Risposero: con pieni poteri sulla questione della pace. Solo allora gli efori li ricevettero.
Aprile 404 a. C.
«Alla loro presenza si svolse una riunione plenaria degli Spartani con gli alleati. Corinzi e Tebani soprattutto, ma anche molti altri Greci si opponevano ad ogni ipotesi di accordo: non ci si può accordare con gli Ateniesi, vanno estirpati, soppressi! Gli Spartani risposero che non avrebbero ridotto in schiavitù una città che aveva avuto grandi meriti nel momento in cui la Grecia aveva corso il massimo pericolo. Indicarono perciò le seguenti condizioni di pace: distruggere le grandi mura ed il Pireo; consegnare tutte le navi tranne dodici; far rientrare gli esuli; diventare alleati di Sparta e seguire dovunque e comunque gli Spartani in pace e in guerra.
«Teramene e gli altri nove ambasciatori che erano con lui tornarono ad Atene recando con sé questo ultimatum. Mentre entravano in città una folla enorme li attorniava. Temevano che fossero tornati a mani vuote. Alcuni si levarono a parlare per opporsi. Molti di più si dissero, invece, d’accordo. Fu varato un decreto: “le condizioni di pace sono accettate”».
Così narra Senofonte, testimone oculare di questa tragedia.”
E’ su Euronomade da ieri. E’ un editoriale collettivo.
Siamo dunque arrivati alla provvisoria conclusione dei negoziati sulla crisi greca. Un “accordo” è stato siglato. Che cosa succederà in Grecia nei prossimi giorni è difficile dirlo. Ma alcune cose sono chiare, e sono destinate a condizionare in profondità gli sviluppi dei prossimi anni. Non certo solo in Grecia.
L’“accordo” porta il segno della vendetta, di una vendetta di inaudita ferocia, contro il governo Tsipras e contro Syriza. È inutile scendere nei dettagli: #ThisIsACoup, l’hashtag che ha spopolato stanotte, dice l’essenziale. Alla fine dei conti un’unica logica ha dettato tempi e modi dei negoziati di questi giorni: la violenza pura, il rapporto di forza che il governo tedesco – spalleggiato dai suoi satelliti e dai suoi protettorati – ha imposto praticamente senza mediazione. Solo la tenacia di Tsipras ha impedito che passasse l’umiliazione più estrema, il pignoramento dei beni comuni e pubblici greci e il loro trasferimento a un fondo esterno con base in Lussemburgo.
Avevamo detto in molti che negli ultimi anni, attraverso il modo in cui è stata gestita la crisi, si era determinata una trasformazione profonda nella stessa costituzione materiale dell’Unione Europea. Finora tutto ciò era avvenuto attraverso il linguaggio neutro e paludato della governance, sia pure con costi umani e sociali intollerabili, come proprio la situazione greca mostra nel modo più evidente. Ora siamo di fronte a un cambio di passo, a una decisione politica che segna un salto radicale nella stessa qualità del processo di integrazione in Europa. C’era bisogno di una “punizione collettiva” per i Greci, per sancire questo passaggio? Così sia.
#ThisIsACoup, dunque. Ma il golpe non è soltanto contro il governo greco, è sugli assetti complessivi – politici, economici, monetari – dell’Europa. L’euro, in particolare, cessa di essere una moneta senza politica: si trasforma in una moneta tedesca, che include e sincronizza all’interno di un sistema di cambi fissi, attraverso una geometria variabile di subordinazione, le monete dei Paesi membri dell’eurozona. La vendetta contro la Grecia di Syriza deve servire da monito a chiunque possa pensare di sfidarne le compatibilità e il conseguente “rigore” fiscale.
La Germania torna a essere, senza più veli, un pericolo per la stabilità e la pace del continente. Avevamo parlato di uno scenario bismarckiano, pensando al processo di unificazione “dall’alto” della Germania, a partire dal centro prussiano, negli anni Sessanta dell’Ottocento. Oggi, purtroppo, vengono in mente i piani di “nuovo ordine europeo” che i tedeschi perseguirono durante la seconda guerra mondiale. Un “grande spazio” economico organizzato gerarchicamente attorno all’egemonia tedesca, con gradi differenziali di subordinazione e vassallaggio. Certo, molte cose sono cambiate: non c’è bisogno di inviare panzer e soldati (almeno per ora); il terrore si esercita attraverso la moneta e la finanza; i “parassiti” che vivono del “lavoro tedesco” hanno cambiato pelle; anziché imporre un prestito forzoso alla Grecia si può puntare a ipotecare l’intero Paese. Resta però il fatto che devastazione e saccheggio sono le pene riservate a chi osa alzare la testa.
La lezione impartita da Merkel e Schäuble alla Grecia ha evidentemente anche altri obiettivi: gli elettori portoghesi, spagnoli, irlandesi, che saranno chiamati a votare nei prossimi mesi, lo stesso governo francese, come ripete in questi giorni Yanis Varoufakis. La disfatta della socialdemocrazia è certo completa, ed è stata preparata con cura negli scorsi decenni. Sarebbe tuttavia miope non vedere che il NO greco al referendum, se da una parte ha definitivamente infranto l’illusione della democrazia e della cooperazione all’interno delle istituzioni europee, dall’altra ha fatto emergere contraddizioni e linee di conflitto oggettivamente destinate ad approfondirsi. È tollerabile (non solo per la Francia, perfino per gli americani) un’Europa come quella che Berlino sta ormai apertamente puntando a costruire? C’è più di una ragione per pensare che lo scenario che sta delineandosi sia profondamente instabile: la straordinaria forza del NO greco continuerà a circolare in Europa, dove già in queste ore si è tradotto in un’ondata di indignazione chiaramente percepibile – anche in Germania.
Pur in un contesto ormai segnato dalla violenza e della sopraffazione, poi, la questione del debito resta aperta (come sottolinea lo stesso Tsipras a vertice concluso). È stato il tabù costitutivo dell’intera trattativa, individuato come tale anche dalla pattuglia (coraggiosa) dei keynesiani critici come Krugman o Stiglitz. Ma, anche dopo l’“accordo”, la questione è immediatamente riapparsa, quasi ad esorcizzarla ancora una volta, nelle dichiarazioni di Hollande e perfino della stessa Merkel. È il vero spettro che li agita. E non è certo questione che riguarda solo la Grecia.
Abbiamo ripetuto in questi mesi che un singolo governo europeo, tanto più il governo di un piccolo Paese come la Grecia, non avrebbe potuto da solo condurre vittoriosamente una battaglia contro l’austerity. Il terrore finanziario, avallato dallo stesso Mario Draghi, ha nei fatti puntato ad annullare il margine di manovra per il governo Tsipras. Certo, altre scelte sarebbero state probabilmente possibili, in particolare nei giorni a cavallo del referendum. Ma non era e non è un’alternativa l’uscita dall’euro, accompagnata dalle nazionalizzazioni, dalla chiusura dei porti e dal blocco degli scambi con l’estero che qualcuno incautamente auspica. Quanto durerebbe, nelle condizioni attuali, questa farsesca riedizione del “comunismo di guerra”?
Ancora Varoufakis, deludendo parecchio chi lo immaginava già a stampar dracme, lo spiegava di recente: in queste condizioni, sarebbe l’equivalente di una svalutazione annunciata con più di un anno d’anticipo, il modo migliore per svuotare completamente gli stock di capitali greci. E possiamo aggiungere: il modo migliore per far pagare l’intero conto alla moltitudine dei poveri e dei lavoratori – non per nulla è la soluzione più amata dai falchi. Restando all’interno dell’euro, per lo meno, la Grecia ricorda a tutti che il problema ha dimensioni continentali, che non può essere ridotto alla scala di un piccolo Paese della periferia sud-orientale dell’Europa. E ha chiarito in modo definitivo qual è la posta in gioco: di questo dobbiamo essere grati a Syriza e ai milioni di NO greci.
E dunque? In condizioni di inaudita durezza, si tratta di continuare a lottare. In Grecia, prima di tutto, come sottolinea del resto lo stesso comunicato ufficiale di Alexis Tsipras: approfondendo le esperienze di autogoverno, di solidarietà, di mutualismo che hanno costruito in questi anni un argine contro la violenza della crisi; esercitando nelle strade e nelle piazze un potere di veto contro l’implementazione delle misure più odiose che il governo è stato costretto ad accettare. È solo nutrendo senza sosta una vigorosa dialettica, oggi quanto mai necessaria, tra dinamiche sociali e funzioni di governo che si può tentare di tenere aperto e di allargare l’orizzonte dell’alternativa al regime europeo della paura. Certo non partecipando all’eterno gioco della rincorsa “a sinistra”, secondo vecchi vizi duri a morire, sull’“ingenuità europeista”, sulla “capitolazione” o sul “tradimento” di Syriza.
Ma si tratta di continuare a lottare anche in Europa: organizzando la resistenza, articolando il rifiuto della svolta autoritaria imposta nel processo di integrazione. Provando sul serio a costruire una campagna di massa per l’“OXI europeo”, cercando di comprendere quali possano essere le forme più efficaci per “votare con i piedi” contro il regime dell’austerity guidato dalla Cancelleria di Berlino e articolato nelle istituzioni di Bruxelles e nei singoli governi nazionali. Preparando il terreno per nuove rotture, là dove si presenterà l’occasione, le uniche che possano assicurare una via d’uscita dignitosa per la Grecia e un futuro diverso per tutti gli sfruttati, gli indebitati, gli impoveriti d’Europa.
Sia chiaro, però: tanto in Grecia quanto nel resto d’Europa, la lotta si trova oggi di fronte pericoli di inaudita gravità. L’azzardo del governo tedesco ha aperto uno scenario ideale per l’azione di forze nazionaliste e fasciste. Non è paradossale affermare oggi che le forze-guida di ogni populismo nazionalista in Europa sono quelle alleate nel governo di Grosse Koalition. Schäuble preferirebbe certo un governo di tecnocrati ad Atene. Chissà come reagirebbe vedendo le bandiere di Alba Dorata sventolare sul Partenone.

13 pensieri su “SCRIVERE SU ATENE

  1. Splendido articolo. Esempio perfetto di propaganda spazzatura e lettura della realtà completamente sballata. L’odio per altri popoli, la fomentazione delirante a percepire le classi dirigenti altrui come malvage, il ruolo vittimistico e pauperistico patito dai “nostri” contro le plutocrazie altrui, la teoria del complotto, il cherry picking, il diritto rivendicato a una parità economica con altri Paesi negandosi la gerarchia dei portafogli in essere, il doppio pesismo reiterato e inconsapevole. Un articolo che potrebbe essere un classico stereotipo narrativo della demonizzazione ebraica sotto il governo tedesco del Reich.

  2. Aprile 404 a.C. Sparta si oppone all’idea dei suoi alleati di distruggere Atene. Troppi i meriti della polis che aveva difeso la Grecia. Le condizioni, trattate con Teramene, furono dure ma non infami. Germania e paesi del Nord hanno, oggi, dimenticato la storia.

  3. Il succo è molto chiaro: per uscire dallo strangolamento “eurocratico” c’è solo un’alternativa catastrofica. Che oggi è più forte. Tornano gli scenari di inizio secolo scorso, opportunamente aggiornati. La differenza è che stavolta le élites finanziarie se ne sbattono perché sanno che se dovesse esserci un’ondata populista, l’unico a rimetterci sarà il “popolo” stesso, in quanto loro sono certi di poter mettere in salvo se stessi e i loro capitali. E se poi ci sarà guerra e distruzione… beh, sarà un altro splendido business sul quale rituffarsi. L’unica (possibile ma nient’affatto sicura) via d’uscita sarebbe una unione di Stati che sfidi INSIEME l’attuale UE proponendo però un’alternativa comune percorribile all’Euro(crazia). Ma purtroppo di fronte alle difficoltà noi umani tendiamo a essere egoisti e non cooperativi. E inoltre di teorie politico-economiche alternative e strutturate finora non se ne sono viste. Benvenute allora (si fa per dire) Alba Dorata, Lega, Front National, Orbàn e formazioni neofasciste e neostataliste varie! Avete letto l’ultimo, illuminante numero de “L’Espresso” su Salvini, per esempio?

  4. La storia è un repertorio ampissimo di tutto e del suo contrario e non mi piace come in questi tristi giorni venga arbitrariamente saccheggiato nel selezionare vicende vecchie di 2400 anni. Così aggiungo un tragico fatto di quei tempi, che aggiunge nulla alla comprensione delle vicende greche attuale, così come nulla aggiunge il trattato di pace tra Atene e Sparta del 404 A.C. evocato da Canfora. Ecco la vicenda di Melo, narrata da Tucidide e evocata da Sartori su Nazione Indiana
    .
    http://www.nazioneindiana.com/2015/06/30/55252/

  5. Forse i classici hanno insegnato anche che i debiti non si pagano? Che falsare i bilanci è un atto eroico? Che dissipare i soldi degli altri è caro agli Dei?

  6. @ Mauro
    I classici insegnano a non dare aria alle gengive su cose di cui non si sa una cippa, avendo a malapena letto i titoli dei giornali. Tanto per fornire qualche argomento sintetico: Tutto quello che ti dicono sulla Grecia è falso. Insegnanto anche che non esistono “popoli scrocconi”, così come non ne esistono di “ladri”, “deicidi”, “tagliagole”, “appestatori”. Ma insegnano anche che contro la stupidità persino gli dei sono impotenti.

  7. @ekerot
    Se ho imparato poco dai classici, allora la colpa è senz’altro mia e non degli ottimi insegnanti che ho avuto la fortuna di incrociare. Tornando al merito del mio intervento, osservo che la Guerra del Peloponneso offre esempi di clemenza così come di spietatezza, per cui il selezionari solo gli uni a scapito degli altri non mi pare porti un grande contributo alla comprensione del presente.

  8. Non vedo cosa c’entri il fatto che nella letteratura greca vi siano esempi di crudeltà e di clemenza con l’articolo di Canfora.
    Non ha scritto da nessuna parte che la missione diplomatica di Tsipras sia la copia esatta di quella di Teramene. Ha semplicemente riassunto degli eventi narrati da uno storico di 2500 anni fa, peraltro nemmeno filodemocratico, mostrandoci l’attualità del passato. E’ lasciato al lettore il compito di tracciare eventuali somiglianze (Teramene venne ucciso, non penso Canfora profetizzi questo per il leader di Syriza).
    Quanto alle pagine che citi di Tucidide, ossia il dialogo tra Ateniesi e Meli, esse ci porgono una lucidità raramente tradita dalla storia: i popoli più deboli devono arrendersi alla “diplomazia” dei popoli più forti.

  9. Pienamente d’accordo con te, Ekerot: credo sia quello lo spirito dell’articolo di Canfora. E condivido anche le tue (amare) conclusioni.

  10. @ekerot
    Che dire. La vicenda ricordata da Canfora mostra la possibilità di una onorevole capitolazione degli Ateniesi, quella ricordata da Sartori mostra i forti Ateniesi spietati con i deboli. In nessuno dei casi il presente è fotocopia di quanto avvenuto 2400 anni fa, ma la scelta per me arbitraria di una delle due remote vicende per illustrare il presente è sempre per me un espediente retorico per dare una possibile coloritura a una delle possibili descrizioni del presente. E la coloritura scelta non è per giocoforza illuminante sul presente per il semplice fatto di una comunanza geografica tra i fatti di allora e di fatti di oggi. Ciò detto, trovare colte analogie dove magari non ci sono è sempre un esercizio gratificante, la pulsione a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle è difficilmente eludibile, anche quando le tessere vengono da due o più scatole diverse.

  11. Piuttosto che ammettere che l’€uro è strumento di lotta di classe e di imperialismo insieme, attaccano la Germania Kativa.
    ATTENTO LETTORE. QUESTI TE FUMANO.
    Fanno nazionalismo e parlano contro il nazzzionalismo. Attento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto