LASCIATE CHE I FIGLI SI DIFENDANO (DA VOI)

Ore dopo che si è precipitato fuori, colpi di vento,
ghiaccio che cade dal tetto, sussulto, mi sveglio.
Le due del mattino. Luce sotto la porta.
E avevo detto non oltre mezzanotte.
Respiro a fondo per tranquillizzarmi,
conto fino a cinque, trattengo il fiato nel diaframma.
rilascio l’aria lentamente, ripeto cinque volte, mi rilasso, mi preparo
a tornare nel sonno senza sogni.
E’ passato tanto tempo da quando ho sognato, così tanto
che ora mi scioglierei di gratitudine anche per il sogno più vecchio,
quello dove mi presento in qualche luogo importante,
mi tolgo il cappotto e sono in mutandine e reggiseno,
o peggio, nuda.
E mi sto ancora chiedendo se lui sta bene,
se troverà la strada di casa,
se forse sarò felice quando sarò vecchia
e se riuscirò ad aspettare così a lungo.
Ore dopo mi sveglio e vedo il primo croco
il viola si fa largo fra i riflessi del ghiaccio
e il giorno si allarga si solleva verso la luce
mentre la grazia dei petali si apre.
Voglio che sia così per lui –
la luce del sole, il vento che smette di soffiare,
e il figlio che trova la strada di casa.
***
E’ tutto qui, tutto si riduce al corpo,
mi manca il suo volto, la sua voce, la sua pelle.
Immagino mia figlia mentre balla a Madrid, Barcellona
e Siviglia. La vedo scalare le montagne dell’Andalusia.
Non avevo immaginato quanto sarebbe stato lontano il lontano.

Felicità e infelicità sono la stessa cosa,
sostiene il mio soave maestro zen:
e allora mi chiedo se la mia testa
stia sostenendo il cielo, o se è un’emicrania
quella che sale.
Allora, giro in tondo, torno al luogo dove esattezza e
estasi si incontrano, allora ricordo come ho portato in me il girino
del suo corpo, molto prima del primo fremito, trattenendola
come un segreto dentro di me.
Mi sveglio la notte perchè mi manca
una parte del corpo, il braccio si tende attraverso l’oceano,
agganciato al passato, e mi chiedo,
come la madre di Achille deve aver fatto,
Quale parte di te non ho tuffato in acqua?
Appesantita dall’assenza, appendo le tende alle sue finestre,
metri e metri di delicato pizzo irlandese .
Mi nascondo dietro la porta, pressando l’orecchio al legno,
e osservo la sua corsa serale, spio la vita di mia figlia.
le sue cene notturne a Saragozza.
La stanza si riempie del profumo di gazpacho, di paella, di sangria.
Qualcosa simile al dolore cola dentro di me, qualcosa simile alla gioia.
Mi infilo tra le onde, mi perdo nella risacca,
il mio folletto d’acqua, la mia ninfa marina, ricordo il modo
in cui scivola attraverso la stanza, la bassa marea
della sua voce. Il modo in cui ci lascia,
senza fiato, come pesci ai suoi piedi.

Così Diane Lockward in due poesie dedicate al figlio e alla figlia  che un anno fa mi divertivo a tradurre.  Ho sempre pensato che siano i figli a dover trovare la strada di casa. Che fin da quando sono piccoli debbano essere messi in condizione di scegliere fra varie possibilità. Chi combatte l’ipocrita battaglia sul fantomatico gender si fa scudo con i figli. Difendiamo i nostri bambini, urlano le Sentinelle. No, state difendendo voi stessi e il vostro castello di carte. Come già sottolineato, abbiate il coraggio di dirlo.
Oggi, appunto, arriveranno al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro le firme degli scrittori che chiedono di essere messi al bando dalla città, in solidarietà con i 49 libri censurati. Sul sito degli ottimi Matteo Corradini e Andrea Valente trovate i nomi dei firmatari e parecchi link a quanto accaduto in questi giorni. Se non dovesse accadere nulla, sarà stata comunque l’occasione per stringersi, e cercare di reagire. E vale molto. Moltissimo.

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