SESSO E MERCATO, DICIOTTO ANNI DOPO

1994, diciotto anni fa. Anno spartiacque per quel che riguarda l’Italia, anno in cui l’immaginario che riguarda le donne comincia a mutare (e muterà velocemente, da allora). 1994. Roberta Tatafiore scrive “Sesso al lavoro”, un’indagine sulla prostituzione che oggi Il Saggiatore ripubblica con la prefazione di Bia Sarasini. Il libro viene presentato oggi a Roma, alle 18.30. Vi anticipo parte delle parole di Bia Sarasini.
Non so bene – in questi anni di occupazione dello spazio pubblico da parte del perverso intreccio denaro, sesso e potere – quando ho pensato che sarebbe stato utile riportare all’attenzione comune il libro anticipatore di Roberta Tatafiore dedicato alla prostituzione. Di sicuro non è stato nello scrutare il viso drammatico di Patrizia D’Addario, la donna a cui si deve nel 2009 l’introduzione nel lessico quotidiano di uno dei termini correnti nel nuovo mercato del sesso: escort, parola che designa una delle forme della «prostituzione al tempo del post-fordismo». Neppure è stato alle prime avvisaglie del caso«Ruby rubacuori», nickname di sapore da bordello quasi letterario, appiccicato a Karima el Marhoug, ragazza migrante di seconda generazione di pericolosa bellezza, usato dai media con noncuranza, intrusione nella scena pubblica dell’intimità spersonalizzata e promiscua che si ha con la prostituta.
So che nel crescente furore femminile, che ha trovato la massima espressione pubblica nella grande manifestazione del 13 febbraio 2011, promossa dal comitato Se non ora quando, ho visto – anche – profilarsi i contorni di una storia antica quanto i movimenti di emancipazione delle donne: il desiderio, anzi la rivendicazione, di donne che non si prostituiscono e cercano la propria autonomia, di distinguersi da quelle che la prostituzione la praticano. L’interesse, ai miei occhi, è che sono state soprattutto ragazze cresciute negli anni ottanta-novanta – cioè l’epoca segnata in Italia dall’introduzione delle tv private e dal contemporaneo diffondersi ovunque nel mondo della cultura del consumo – a manifestare questi sentimenti. Come se la confusione generata dalla contaminazione tra spazio privato e spazio pubblico da parte di un uomo che ha compensato favori anche) con carriere politiche, abbia obbligato chi non usa il corpo per fare carriera e ricavarne vantaggi economici a distinzioni nette, quasi tagliate con l’accetta, in relazione a coetanee che così spudoratamente esibiscono scelte opposte.
Movimento forse necessario, capisco, per salvaguardare e dare senso alla rivendicazione della propria integrità interiore. Eppure estremamente confuso, ai miei occhi, proprio riguardo al sesso, la dignità, la libertà delle donne. Come se l’indiscutibile libertà sessuale, disponibile ora fin dall’adolescenza alle donne nella parte del mondo in cui ci troviamo a vivere, le abbia rese meno agguerrite, come se gli esiti imprevisti di una libertà cara a tutte costituissero una minaccia. Il che contiene qualche verità, se si considera che all’occidentale venir meno di proibizioni e inibizioni che delimitavano il corpo delle donne corrisponde l’assenza di un contemporaneo discorso femminile del sesso…È un’ipotesi di lavoro, che non pretende di essere la verità assoluta.
Nulla più del discorso del sesso segna il salto tra le generazioni femminili, anche nelle incomprensioni reciproche. Le audacie del femminismo d’antan, di cui oggi è di moda decretare il fallimento, sembrano dividere, più che unire. «È colpa vostra» mi ha detto qualche tempo fa una giovanissima amica occupata precaria nell’editoria «ci avete fatto illudere che fosse possibile lavorare senza trovarsi di fronte a ricatti sessuali.» E proprio qui, nel disagio che intravedo nell’emergente e diffusa rabbia femminile, si colloca l’urgenza di rileggere insieme le parole lucide di Sesso al lavoro.

104 pensieri su “SESSO E MERCATO, DICIOTTO ANNI DOPO

  1. Laura guarda che io ti capisco, perché spesso mi sono seriamente chiesta come fare per un incrocio che risolvo male. Non so se sei la Laura che ogni tanto commenta il mio blog… ma li un sacco di volte ho detto di detestare la sospensione postmoderna. Però piaccia o no mette davanti a un problema. Certo che l’etica ci deve essere ma deve stasrene allocata su un cielo più alto, se sta in basso in basso diventando molto prescrittiva, finisce di essere tale. E io per esempio non riesco mai a essere molto sicura dell’opportunità di essere prescrittivi sulla pericolosità per se, oltre a misurarmi col fatto che ci sono persone che scelgono soluzioni esistenziali diverse. E poi insomma quando ti misuri con le narrazioni concrete scopri soluzioni narrative non così scontate. A me insegnò molto il caso clinico di una coppia di psicoanalisti piuttosto noti, in cui si spiegava la funzione evolutiva e terapeutica per una coppia – il rapporto anale con tutte le conseguenze del caso. Mi fece molto molto riflettere. Poi naturalmente, pareri diversi. Comunque bella discussione.

  2. la prostituzione (e la pornografia) esistono perché la libido maschile è piu frequente di quella femminile, per cui molti uomini sfogano il loro desiderio sessuale in eccesso attraverso questi mezzi.
    non dico che questo renda giusto o giustificabile lo sfruttamento del corpo femminile, ma l’idea ridicola che molte donne hanno dell’uomo che usufruisce di queste pratiche perché in primis vuole sottomettere o dominare le donne è totalmente ideologica e priva di fondamento.
    per molti l’alternativa alla prostituzione e al porno è l’astinenza.
    se proprio vogliamo combattere l’incidenza di tali fenomeni bisogna educare le masse maschili all’idea che il sesso è un privilegio di pochi (come del resto lo è in natura, dove solo gli esemplari dominanti si accoppiano) e che piuttosto che ricorrere al sesso a pagamento è meglio la masturbazione o cercare alternative per incanalare la propria energia sessuale inespressa.

  3. Quando penso al concetto di prostituzione, mi viene sempre in mente uno dei capolavori di Billy Wilder: “L’appartamento”. Che mi ha aperto gli occhi su quanti livelli esistano di prostituzione, non soltanto quello tra puttana e cliente.
    Passando tutte le sere (ma anche di giorno) per San Salvario ho visto decine di prostitute – come le dobbiamo chiamare? prostitute, puttane, donnine allegre? – e alcune di esse non sono neanche di sesso femminile. D’estate, a 40°, d’inverno a -10°. Sono una costante del quartiere. Mai una volta ho visto uno sguardo di gioia nel loro viso. E non soltanto qui a Torino. Né ho mai creduto che un essere umano, di qualunque genere, sceglierebbe volontariamente di fare sesso a pagamento avendo un’alternativa migliore a disposizione. Esistono, ovviamente, dei diversi concetti di “alternativa migliore”. Ognuno ha i propri. Questo è un dato da rispettare. Ma mi piacerebbe vivere in uno stato in cui il tema della prostituzione venisse affrontato in maniera dignitosa e decente da parte della politica, l’unica che possa effettivamente modificare le variabili in gioco.
    Certo, secondo me, è impossibile pensare di eliminare al 100% il problema. La mercificazione del corpo femminile è un affare millenario. Quando non c’era Internet, né il cattolicesimo, né il puritanesimo ad imperare sull’etica e sulla morale.
    Finché resterà così semplice adescare clienti per motivi sessuali, prostituirsi sarà per alcun* un’alternativa migliore di altre per far soldi. Non vedo vie di scampo.

  4. sì, sì, sono io 🙂
    zaub, sono d’accordo con i tuoi dubbi sollevati nel commento, nel senso li ho anch’io, e sono molto d’accordo col fatto che spesso l’incontro con narrazioni concrete-altre faccia scoprire soluzioni non così scontate (penso anche a cene ospite da amici di amici di amici, quando ti confronti con modi di vivere davvero diversissimi, e non per questo, dopo un po’, così disarmanti. penso a persone molto temprate e forti ma diversissime che mi hanno affascinato, e fatto sì che la mia “ideologia” retrocedesse, in dissolvenza). penso che spesso la tensione all’apologia dei propri costumi e del proprio pensiero sia una risposta anche a chiamiamole provocazioni (es. anch’io tendo a vedere voglia di distinguersi e in generale atteggiamento che io chiamo retorico ovvero qualunquista quello di chi, come di là nel blog, dice no il calcio no, preferisco un buon libro di hegel, in un contesto di partita nazionalpopolare e di solito attacco pipponi…vabbè, è un altro discorso).
    in ogni caso, anche per me, bella (ma m’ha tolto un casino di tempo dallo studio, mannaggia a voi/me) discussione.

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