QUALCOSA DI MOLTO CONCRETO SUL FEMMINICIDIO

Non è che le tematiche che riguardano le donne si intreccino per questioni legate all’attualità o all’agenda di chi se ne occupa. Sono, invece, strettamente intrecciate di per sè, che si tratti della mancata applicazione della legge 194 o di violenza o di rappresentazione o di rappresentanza.
Ieri, per esempio.
Mentre una donna – la madre di Federico Aldrovandi – veniva insultata e diffamata da uno degli assassini del figlio,  nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra,  nel corso della 20° Sessione del Consiglio dei Diritti Umani,  Rashida Manjoo -Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne- presentava il Rapporto tematico annuale sugli omicidi basati sul genere, ed il Rapporto sulla violenza sulla scorta delle sua missione in Italia lo scorso gennaio. Affermando, fra l’altro:
“Il femmicidio è l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne. Queste morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine ad una serie di violenze continuative nel tempo.”  Violenza in casa, soprattutto. Violenza, ha detto Manjoo,  da parte di partner, mariti, ex fidanzati. Violenza, nella maggior parte dei casi, non denunciata, perché – afferma – le donne “vivono in un contesto culturale maschilista dove la violenza in casa non è sempre percepita come un crimine; dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza; e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono appropriate e di protezione”. E ancora: “Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza: questi risultati non hanno però portato ad una diminuzione di femmicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine.”
Simona Lanzoni, direttrice progetti di Fondazione Pangea e parte della Piattaforma CEDAW si è augurata che le raccomandazioni di Manjoo “rappresentino i pilastri guida su cui il Dipartimento Pari Opportunità costruirà il prossimo Piano di Azione Nazionale contro al violenza sulle donne nel 2013 assieme alla società civile e DIRE,  la rete dei centri antiviolenza”, e ha aggiunto: ” invitiamo la Ministra Fornero a esporsi su questo tema. Anche la violenza sulle donne incide sul PIL italiano! Azioni di prevenzione aiuterebbero le donne ed il PIL verso uno sviluppo della società italiana sul piano economico oltre che sul piano culturale”. Le donne vittime di violenza infatti non partecipano alla costruzione del reddito nazionale, e ricadono sui costi della sanità pubblica, del sistema giudiziario, dell’assistenza sociale, per non parlare del problema che si presenta nei casi di figli che assistono alla violenza a cui viene rubato anche il futuro e alle difficoltà di reinserimento lavorativo, quasi sempre nel mercato nero. Conclude Lanzoni “La mancanza di dati certi e aggiornati non permette a chi governa di rendersi conto della gravità della situazione e dei loro costi sociali. Basti pensare che l’unica raccolta di dati ISTAT risale al 2006 e che la società civile conta solo nel 2012 in 6 mesi già 63 omicidi di donne uccise da uomini violenti.”
D.I.R.E., la rete dei centri antiviolenza ogni anno accoglie circa 14.000 richieste di aiuto da donne spesso accompagnate dai figli per uscire dalla violenza “Sono ancora tantissime coloro che non denunciano e altrettante che non riescono a ricevere supporto!” sottolinea la Presidente Titti Carrano. “Per la prima volta è stato presentato alle Nazioni Unite un rapporto tematico sul femminicidio, o meglio sugli omicidi basati sul genere, femmicidi e femminicidi. Si tratta di un evento epocale, che costringe i Governi di tutto il mondo a confrontarsi con la propria responsabilità per quello che Amartya Sen ha definito ‘il genocidio nascosto” -ha detto Barbara Spinelli, Avvocata di Giuristi Democratici parte della Piattaforma CEDAW- “Sono estremamente onorata di aver contribuito, unica europea, ai lavori che hanno portato alla stesura di questo Rapporto e insieme a tutte/i coloro che lo vorranno, ci adopereremo affinché le raccomandazioni in esso contenute vengano attuate dalle Istituzioni italiane senza ritardo”.
Fin qui, le parole. Questi i fatti, ovvero quello che  la piattaforma italiana CEDAW chiede allo Stato e al Governo italiano:
· Una immediata ratifica della convenzione di Istambul del 2011 per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e sulla violenza domestica
· Stabilire un sistema appropriato di raccolta di dati su tutte le forme di violenza contro le donne, e i suoi costi sociali, in maniera coordinata tra tutti i ministeri competenti, l’Istat, DIRE e le organizzazioni della società civile che operano sul tema con un approccio di genere.
· Rafforzare il coordinamento e lo scambio di informazioni tra magistratura, polizia, assistenti sociali, operatori della salute mentale e sanitari che vengono in contatto con situazioni di violenza sulle donne
· Assicurare che i tempi di prescrizione siano più lunghi per i procedimenti penali relativi ai reati di stalking e agli abusi in famiglia.
· Colmare i vuoti normativi in materia di affido condiviso, attraverso la previsione di misure per la protezione di donne e minori vittime di violenza domestica diretta o assistita.
· Assicurare che tutti gli attori coinvolti nel settore del contrasto alla violenza sulle donne siano formati su tale argomento (assistenti sociali, operatori sanitari, giudici, avvocati, forze dell’ordine, etc.),
· Provvedere finanziamenti certi e continui nel tempo per le case rifugio esistenti ed i centri antiviolenza che lavorano con un approccio di genere;
· Prevedere programmi di educazione per le scuole e le università, sull’identità di genere, la sessualità consapevole, la decostruzione degli stereotipi e al contrasto della violenza,
· Formare giornalisti sui temi della violenza contro le donne e all’uso di un linguaggio appropriato per divulgare le informazioni sugli episodi relativi alla violenza di genere e alle discriminazioni;
Se qualcuno chiedeva cosa fare per fermare la violenza contro le donne, i punti sono questi. Vanno diffusi, condivisi, e messi in atto.

10 pensieri su “QUALCOSA DI MOLTO CONCRETO SUL FEMMINICIDIO

  1. Interessante che il poliziotto abbia commentato pesantemente sulla madre di Federico, non sul padre…e mi dispiace che il gruppo facebook sia stato chiuso. Conteneva materiale, richiami fascistoidi, dichiarazioni terrificanti con nomi e foto di rappresentanti delle forze dell’ordine…tutte cose su cui i corpi di polizia sono “riservatissimi” (eufemismo), erano lì consultabili da chiunque per riflettere sulle idee e la cultura di molti agenti e militari in servizio.

  2. Molti hanno conservato gli screen shot, però. Non solo su quella discussione. Certo, manca tutto il thread sul poliziotto che spara al posto di blocco e il collega che gli dice “bravo, gli avrei scaricato addosso l’intero caricatore” più un centinaio di commenti sulle pistole migliori.

  3. Per un genitore perdere un figlio è una ferita che non si potrà mai rimarginare.
    Qualsiasi impulso esterno negativo che va ad inficiare la figura di colui che si è generato e si è amato più della propria vita determina un sconquasso emotivo che non è sopportabile.
    Una società civile non può tollerare che accadono episodi come questi.
    E la cosa che mi colpisce di più vedere che la maggior parte della politica e delle istituzioni fa fatica a prendere distanza e a condannare queste diffamazioni.
    E’ una cosa che non riuscirò mai a comprendere e che mi fa valutare le persone in maniera più profonda. Diffido sempre di più da chi non si espone,da chi non ha il coraggio delle proprie opinioni.
    Da chi non sa prendere le difese di una madre a cui è stato ucciso il figlio. Soprattutto se quelle persone siedono in Parlamento e nelle Istituzioni.

  4. @marta:mi sa che le tue speranze rimarranno tali.e per fortuna che non sono proprio tutti così nelle forze dell’ordine,ma il pensare che persone come quelle che scrivevano in quel gruppo facebook debbano garantire l’applicazione della legge e l’ordine pubblico a me fa venire i brividi.

  5. In Italia c’è un problema grande come una casa sulle forze dell’ordine e si chiama Professionalità. Qualche settimana fa sul Corriere un poliziotto ha raccontato di quanto è cambiato, come professionista e come uomo, dopo un corso specifico sulla violenza di genere e la sua gestione da parte della Polizia. Spero di riuscire a ritrovarlo. Mi pare che si possa fare lo stesso discorso anche su come si possa gestire una situazione come quella verificatasi la sera del fermo di Federico che, a loro dire, era “degenerata”

  6. Gli ultimi decenni hanno visto un peggioramento progressivo dell’immagine collettiva delle donne. un quadro frammentato fra vite eccellenti ed emancipate,(poche e in genere sono considerate donne a metà…!) e una moltitudine di donne confuse fra vecchio e nuovo, che , in sintesi, pur nella varietà dei comportamenti hanno in comune la dipendenza dallo sguardo maschile. Uno sguardo così interiorizzato che non appare più estraneo, ma rivendicato come proprio: il sottoporsi a interventi chirurgici o a diete continue è al confine fra il desiderio di essere più soddisfatte del proprio aspetto fisico e l’adeguarsi ad una immagine stereotipata gradita al maschio.
    Questa dipendenza oggi si intreccia con la nuova capacità di dire ‘no’ ad un uomo. ma è un no che non ha un solido fondamento, è un no che arriva improvvisamente, inatteso all’altro(l’uomo) che ne viene sconvolto e che si ritrova incapace di affrontarlo. Si dicono troppi sì prima di arrivare al no. Si è state troppo accoglienti prima di chiudersi alla violenza dell’altro sempre più oppressiva e ritenuta fino a quel momento gestibile. L’onnipotenza del materno ci fa credere di poter far cambiare lui, di poterlo far ragionare, di essere capaci col nostro amore di vincere la sua diffidenza, la sua rabbia, la sua paura di perderci e di non poterci controllare. E così, quando ci rendiamo conto di vivere in una società dove la felicità…o meglio il ben essere, almeno teoricamente, spetta anche a una donna, o quando più immediatamente, non ce la facciamo più a sopportare e non riusciamo a credere più in quella persona che dice di amarci anche se ci fa violenza, ; quando insomma scatta dentro qualcosa che ci spinge a fare una giravolta e dire un no a lui e un sì a noi, ecco che questo gesto appare a lui qualcosa di inaudito, di insopportabile, al quale non è preparato. La donna che pensa come una donna non è la stessa donna che pensa come un uomo: pensano entrambe ma la seconda butta all’aria secolari credenze e punti di vista consolidati: la vera libertà femminile è ancora oggi qualcosa che è difficile accettare, anche per le stesse donne. Anche la vera libertà maschile è difficile da accettare, e infatti gli uomini veramente liberi spesso sono morti per affermare la loro libertà. Ma quando è una donna a esprimere questa libertà tutto è ancora più difficile, e purtroppo capita che altre donne siano in prima fila per soffocare quella che si mostra più libera di essere.
    Il mondo della scuola dal suo inizio,le scuole materne fino all’università, dovrebbe farsi carico di educare bambini e bambine, ragazze e ragazzi a nuovi modi di essere, ma nelle scuole sono pochissime le docenti motivate, interessate a fare questo. Eppure da qualche parte si dovrebbe pur cominciare. Sono un’insegnante e quando propongo queste tematiche, tutti e tutte , sembrano essere d’accordo, ma poi nella pratica didattica le priorità sono altre e questi temi diventano marginali e tutt’al più affrontati l’8 marzo se va bene. I governi, le istituzioni possono fare molto, e lo abbiamo visto per quello che non hanno fatto in questi ultimi decenni, le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. il blog e la rete sono una risorsa. Ben venga tutto quello che , nel confronto e nella libera espressione, aiuti la formazione didonne con una maggiore consapevolezza di sè.

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