Conosco di vista una vecchia signora che ha una finestra sul cortile, anzi, sulla strada. La finestra le permette di non perdersi nulla di quanto avviene nel vicinato: un tamponamento, una lite, un’ambulanza in arrivo. Quando uno degli episodi in questione si verifica, la vecchia signora si affretta a uscire di casa e si accomoda in prima fila per guardare meglio. A volte pone domande, o fa un commento. Nella maggior parte dei casi, guarda, accumula e con ogni probabilità torna a casa con un pizzico di sollievo, tanto più grande quanto più tragico è stato l’evento cui ha assistito. Immagino che quando uno dei vicini si lanciò dal balcone abbia aperto la porta di casa con enorme consolazione: qualcuno, avrà pensato, o almeno credo, sta peggio di me.
Oh, il meccanismo è vecchio, anzi antico:
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est.
La dolcezza del sentirsi lontani dal male cantata da Lucrezio nel De rerum natura fa parte di un meccanismo che ha sempre funzionato: per Lucrezio, per i suoi passanti sulla spiaggia e per la vecchia signora che conosco di vista. Quello stesso meccanismo comincia a perdere colpi, mi sembra, non per colpa dei social, ma per il modo impreparato, avventato, inconsapevole in cui li stiamo usando.
E’ stato uno strano agosto, strano e feroce e sanguinoso. Questo post potrebbe allora trattare di femminicidi e di terrorismo e di tragedie familiari. Ma anche di crisi economica, di marketing della bontà, di riforma della scuola annunciata al Meeting di CL (e perchè?), delle guerriglie di Amazon. Di tutto questo e di altro ancora, e ogni argomento prescelto sarebbe coerente con la premessa e con i versi di Lucrezio.
Perché la sensazione che ho è quella di una generale anestesia, di una passeggiata sulla spiaggia che diventa ossessiva, sperando che ogni nave che passa al largo affondi, per dire la nostra e sentirci meglio, ma meglio non ci si sente più, e neppure meno soli, e neppure in salvo.
Tranquilli, non è un post luddista, non è un post controilprogressoilmercato e tutte quelle faccende buone e belle che dovrebbero migliorarci la vita. Semmai, è contro la nostra inadeguatezza a usarli, e a far sì che ogni notizia o discussione si trasformi in tempesta, con frequenza sempre maggiore. Fino a non capire più se quello che proviamo è sollievo o, come credo, terrore.
Comunque, ben ritrovati.
Rispondo copia-incollando un post del tuo collega Gio’ Alajmo su FB: “Mentre il mondo sta facendo quello che fa di solito, cioè tentare di esplodere, mi sono fermato a chiedermi chi siamo noi. Voglio dire, cosa ci rappresenta, ci qualifica, ci determina e vale la pena di difendere dalle aggressioni del mondo esterno. E non è certo la nostra storia, la religione, l’appartenenza a destra o a sinistra, neppure l’arte o la letteratura che pure hanno parte importante anche se spesso solo inconsciamente nel nostro dna. In realtà noi siamo la Dudu. Che non è il cagnetto di Berlusconi. È la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che abbiamo stilato dopo millenni di scontri, massacri, rivoluzioni, analisi filosofiche, invasioni, assimilazioni, torture, genocidi, fino a capire cosa era davvero più importante della forza e del peggio. Noi siamo questo. La nostra identità è questo. Il nostro valore da difendere è questo. Tutto il resto è soltanto chiacchiere e interessi.” Gli ho risposto: “« Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. ». Di fratellanza aveva parlato anche quel tizio finito crocifisso un paio di millenni fa, ma come ci ricorda Dylan “How many roads must a man walk down, before you can call him a man?”.