SOLO UNA COSA NON C'E', ED E' L'OBLIO

“Più passa il tempo, più erigiamo barriere attorno ai nostri sentimenti, volontariamente, senza che le circostanze ce lo impongano. [..] Ci creiamo i nostri rigori privati e poi non possiamo fare a meno di rimanervi fedeli”.
E’ Mario Benedetti, “Le impalcature”, uno dei tanti, possibili romanzi sul ritorno da citare quando si ritorna. Certo, il mio è un ritorno piccolo, non ha nulla a che vedere con la malinconia e il dolore degli esiliati. Eppure c’è. Anche perché quest’anno, nell’abbandono consueto delle terre marchigiane dopo il terremoto, nel proseguire dei commenti imbecilli (e allora i friulani? e allora gli emiliani? perché non si rimboccano le maniche?) si respirava un clima di fievolissima speranza in nuovi ritorni.
Non perché sia accaduto nulla, figurarsi. Come ha scritto Mario Di Vito sul Manifesto (ed era uno dei pochi articoli che sfuggiva alla retorica dell’Anno Terzo):
“Si parla di futuro e il fatto è che da queste parti il presente dura da tre anni e non si muove, le persone sono stanche e ogni idea di società appare difficile da concepire. Si dice che le aree interne fossero in crisi già da prima del terremoto, ed è vero: crisi demografica, crisi economica, crisi sociale. Tutte cose che si dicevano nel disinteresse generale. Le scosse hanno solo accelerato questo processo, che avanza implacabile mentre intorno tutto è immobile. Il tempo non è mai passato”.
Ah, le celebrazioni. Che siano il vogliamoci bene e facciamo musica di RisorgiMarche, che non manca mai, o l’articolo compunto, o lo spettacolo con maceria. Silvia Sorana,a proposito, ha scritto una cosa bellissima sullo spettacolo notturno fra le macerie di Visso:
“Ieri sera, prima di uno spettacolo, al tramonto, accompagnate dal Sindaco sono potuta tornare nella piazza di Visso. Ho ripercorso quei pochi passi tanto desiderati dall’arco fino al Comune, passando davanti alla porta del negozio dei miei genitori. Era aperta. Per terra una vecchia lettera indirizzata a mio fratello, l’ho raccolta e me la sono messa in tasca. Lì dentro ancora tutto come lo abbiamo lasciato quando siamo usciti tre anni fa, con la paura che tutto potesse crollare da un momento all’altro. I vicoli ricoperti di vegetazione, cresciuta sopra i crolli e Gian Luigi, il nuovo sindaco, nel frattempo a raccontare la grande fatica che fa a tenere in piedi questo paese con il poco o il nulla che ha a disposizione e il tempo che passa. La sua determinazione è solo quella del grande amore che ha per questo nostro paese, questo è innegabile, ma gli strumenti che gli vengono forniti sono praticamente nulli. Il paese è allo stremo, pur con le messe in sicurezza è vulnerabilissimo agli agenti atmosferici che per tre anni lo hanno flagellato e continueranno fin quando non inizierà la ricostruzione. “Se si vedesse una gru almeno” mi ha detto. Eh, se si vedesse una gru. Ma qui di gru nemmeno l’ombra e questo paese oggi è buono per la scenografia di una sera per chi è alla ricerca di una sensazionale prima pagina. Visso è un piccolo gigante meraviglioso colpito a morte, fotografato, sfruttato ora da chi lo utilizza come palcoscenico da commemorazione, per avere i riflettori su sé stesso. Una tournée estiva, poi l’inverno, il terzo nell’abbandono, nella dismissione dei servizi, in cui alla montagna viene tolto tutto a vantaggio dei centri di mare e delle città capoluogo più grandi.
Visso, come gli altri paesi distrutti dal terremoto, vanno bene per fare uno spettacolo, poi al momento della razionalizzazione delle spese le amministrazioni di mare e dei capoluoghi le cannibalizzano per ottenere a loro discapito. Ma per fare progetti culturali si ricordano di loro, del comune terremotato, ottime scenografie, partner da punteggio.
Eppure quando sarà solo teatro di crolli, desertificato, resterà problema nostro, non avremo presenze illustri e progetti cooperanti. Sarà perdita ulteriore di chi qui ha le sue ricchezze, i suoi beni, i suoi averi, le sue prospettive.
Ieri, di quanto era stato organizzato, gran parte della popolazione era all’oscuro e la responsabilità non è dell’amministrazione comunale che con le poche risorse che ha si organizza a essere ospitale, il sindaco per metà fa anche l’operaio, carica sedie, strappa sterpaglie. La comunicazione dell’evento è per la stampa, non per la popolazione. L’importante che se ne parli al di fuori, per far vedere che cosa si è fatto per i terremotati. I “terremotati”: una massa informe di soggetti senza più identità. Chi porta questi festival in questi paesi è esperto, come può non saper coinvolgere la popolazione? È sufficiente un manifesto a ridosso della zona rossa? Facebook non è alla portata di tutti. Favorire la partecipazione della popolazione colpita dal terremoto, rianimare i nuovi insediamenti significa capire quali sono i nuovi luoghi che frequenta, invitarli a partecipare, raccontare il progetto, coinvolgerli.
Va dato merito al Sindaco di aver riempito di anima un racconto in cui il terremoto per alcuni è semplice sceneggiatura, sfondo, fiction. Abito da indossare per dire “anche io”. Spesso con le labbra strette tra i denti è stato lì a rappresentare i suoi cittadini, ne è stato la sintesi. Ha raccontato l’esperienza umana, la fragilità, la caduta e la determinazione a voler ricostruire senza ambizione personale ma solo affinché a Visso la vita continui e affinché sia “buona vita”, vera vita. E per questo lo ringrazio.
E allora che a Visso si venga con la stessa autentica semplicità, con la verità, con l’intento di voler portare la “buona vita” per chi ha perso tutto e nonostante questo ha il diritto di riavere indietro tutto e più di quanto ha perso, perché in questo tempo non sta vivendo una “buona vita” .
Non è ancora il tempo della memorialistica, ma non è più nemmeno quello dei personalismi, di ogni tipo. Questo paese non può essere ancora teatro, scenografia o palcoscenico ma tornare ad essere rispettato, vivo e abitabile, come lo era fino a tre anni fa. Rispettato da chi arriva e crede di poter raccontare che lascia qualcosa e invece, come sempre, porta via.
Sarebbe stato bello vedere più compaesani coinvolti e questa volta so che non era disinteresse”.
Come stanno le cose, lo raccontano in tanti, a volerli ascoltare: qui, per dire, Federica Nardi su Cronache Maceratesi.
“Solo una cosa non c’è, ed è l’oblio”, diceva Borges. Ecco, è il non poter e voler dimenticare che fa bene e male al cuore dei lontani. Ma questa volta, forse più di altre, so che la mia strada per Roma è provvisoria, lo è sempre stata, e che arriverà pure il momento di restare.

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