Bisogna ancora spiegarlo? La risposta è sì. Nonostante gli anni passati dall’istituzione della Giornata contro la violenza sulle donne (oggi). Nonostante le cifre, le statistiche, le testimonianze, i convegni, le cronache (novantadue donne uccise nei primi mesi del 2011, già a settembre il 6% in più rispetto al 2010). Nonostante l’attenzione compassionevole e comprensiva che alla ricorrenza viene rivolta (oh, un’altra! Dopo la giornata per l’infanzia e prima di quella dell’anziano: commemoriamo anche questa, su). Nonostante l’impegno delle donne, quotidiano, ripetuto negli anni, sul web, nelle piazze, nelle case, nei luoghi di lavoro. Ma la questione femminile fa un tantino meno notizia, ora che si è dimesso un premier e l’altro ha molto da fare, e i manovratori non si disturbano mai.
Ci sono, certo, le pubblicità contro la violenza: terrificanti, come ha ben raccontato Giovanna Cosenza. Ci sono le notizie, gli approfondimenti, le analisi: importanti, come quelle raccolte non solo oggi ma soprattutto oggi da Zeroviolenzadonne. Ci sono le cose da fare, subito: le racconta, da anni, Barbara Spinelli. Ci sono le cose che le donne oggi faranno, e le racconta tutte Femminismo a Sud.
E poi c’è quello che va fatto tutti i giorni: parlare, insistere, spiegare. Dire che no, non abbiamo ottenuto tutto: abbiamo ottenuto pochissimo, invece. Dire che ci sono battaglie che continuano e che non si può passare alla notizia successiva. Dire, infine, che moralista non è una parolaccia. Ecco il mio contributo, infatti: qui c’è il podcast dell’intervista fatta a Stefano Rodotà, ieri pomeriggio. Dura meno di trenta minuti. Scaricatela, ascoltatela. Non si parla direttamente di donne: si parla di etica. Si parla di un modo di essere cittadini, compagni di strada, persone. Il mio augurio è che ci si possa credere, nel maggior numero possibile. Capire è l’unica possibilità che ci è data per cambiare le cose.
se posso, invito chi è di Firenze e dintorni a venire in piazza dei Ciompi alle 17.30 all’iniziativa organizzata da Libere Tutte, fatta di lezioni, video e canti di lotta:
http://liberetuttefirenze.blogspot.com/2011/11/giornata-internazionale-contro-la.html
Non so, se ho il linguaggio necessario, per parlare di una cosa così importante. C’è una parte oscura che forse è dentro ogni uomo, e che per fortuna esce fuori solo raramente, una vergognoso istinto predatorio, e prevaricatore, è una cosa ancestrale, antica, e orrenda, è difficile confessarlo, ma ci sono pensieri così in ogni maschio, e ci sono quelli di noi che non li pensano soltanto purtroppo, io trovo che la violenza di qualsiasi genere su un’altro essere umano, nel momento in cui si esplicita, sia il momento in cui l’umanità distrugge tutto la sua evoluzione. Le Donne sono il genere che più vive, orribilmente, sulla sua pelle, purtroppo, questi eventi, le violenze su di loro sono sessuali e psicologiche, sono violentate, picchiate, umiliate, spessissimo nei loro nuclei familiari, dove invece dovrebbero essere protette. Io dico a ogni uomo, a ogni uomo, guarda dentro di te ed estirpa ogni pulsione orribile, e tu che non lo fai, sappi che il crimine che stai commettendo non si emenderà mai, non puoi e non devi essere perdonato, niente di positivo della tua vita controbilancerà un tale crimine. Socialmente si deve fare molto di più per aiutare le donne che vivono e sopravvivono in situazioni mostruose, ci vogliono risorse, (adesso è un miraggio), energie e idee, e soprattutto comprensione e affetto quando si può……
Grazie Loredana per la bella sorpresa dell’intervista a Rodotà (Il mio sogno rimane quello di vederlo Presidente della Repubblica o Ministro della Giustizia) in questi giorni duri, sotto ogni punto di vista, le sue parole risuonano nella mia testa come la più dolce e umana della poesie!! Grazie ancora!
@ Laura
In un altro paese (lo dico spesso ai miei alunni) Rodotà presidente non sarebbe neanche oggetto di discussione. Nel nostro, se ricordi, non è riuscito neanche a diventare Presidente della Camera, trombato dal suo stesso partito a disposizione del cui “rinnovamento” aveva messo al servizio la propria scienza: alla cui scienza fu preferito l’accordo con Craxi sul nome del successore di Scalfaro (era il 1992). Quel successore concordato oggi ha fatto strada ed è il presidente della Repubblica, Rodotà invece restituì la tessera: la dignità è cosa che non si compra neanche con la mastercard.
@girolamo non ricordavo l’episodio che hai riportato (Nel ’92 avevo tredici anni=^-^=) ed è un ulteriore conferma del fatto che la mia stima in Rodotà, come persona e come giurista, è ben riposta!
Negli ultimi anni questo è divenuto per me un evento quasi unico, in particolar modo se riferito all’ambito politico!
Nel primo giorno di chiusura di Termini Imerese e leggendo i link sulla condizione femminile in Italia, il richiamo di Rodotà al lavoro e alla retribuzione come strumento per raggiungere serenità e dignità, è più che mai un miraggio lontano!!!
Queste sono le personalità di cui abbiamo bisogno!!
Giustissimo discorso. Tuttavia può gentilmente togliere questa frase che infastidisce i razionali? (novantadue donne uccise nei primi mesi del 2011, già a settembre il 6% in più rispetto al 2010)
L’ultimo dato ufficiale, che poi è quello a cui fa riferimento lei, è il seguente (http://www.lettera43.it/attualita/28066/violenza-sulle-donne-in-aumento-gli-omicidi.htm):
127 le donne uccise nel solo 2010, nei primi nove mesi del 2011 erano già 92. Quindi non si capisce da dove tragga quel +6% visto che al massimo su base annua ci avviamo ad avere una diminuzione degli omicidi del 3,15%. Il che sarebbe la prima diminuzione in 6 anni (che gli ossessionati dei numeri dovrebbero quindi salutare come un risultato positivo sebbene pur sempre doloroso).
Naturalmente sappiamo tutti che diminuzioni o aumenti di queste percentuali sono fluttuazioni che non fanno statistica (essendo 127 omicidi lo 0,0000032% delle donne in Italia). Così come sappiamo che queste percentuali assolute non potranno mai essere portate a zero e riflettono dimensioni del fenomeno che non sono (e non potranno mai essere) condizionati o dipendere da cultura o educazione degli uomini. Ragioniamo assieme un attimo: se la schizofrenia colpisce tra lo 0,5% e l’1,5% della popolazione totale e l’omicidio ha come protagonisti lo 0,0013% degli italiani, direi che lo 0,0000032% di omicidi femminili ci consola.
Quindi, visto che il punto che deve passare è la denuncia della violenza, perché continuare a usare queste dannate percentuali relative che sono un insulto all’intelligenza perché tutti coloro che ne sono sfortunatamente dotati sono obbligati a constatare che i numeri delle morti femminili sono bassisismi. Meglio non usare i numeri giusto? E limitarsi a dire invece che anche una sola morte è inaccettabile.
Un modo come un altro per dire che la violenza contro le donne non esiste.
Io questi non li farei neanche parlare. Li bannerei. Perché sono provocatori maschilisti, troll, come minimo.
Un modo come un altro per sentirsi importanti. E’ violenza anche questa, ma rispondergli non farà che provocare altre risposte e altre esibizioni di certezze e altri attacchi. Sto rispondendo pure io, ma a proposito di cyberstalking…
Quindi cambiamo discorso.
Propongo una domanda riflessione che mi viene da due esperienze.
La prima con Istat. Per cui intervistando donne abusate, scoprivo che tutti i fidanzati precedenti erano abusanti. La seconda con la mia attuale collaborazione in un centro di psicoterapia per bambini. Dove vedo bambini che stanno molto male perchè assistono continuamente alla violenza domestica. Essa violenza non si configura come un carnefice e una vittima ma come un sistema complessi a doppia partecipazione attiva e cercata. La violenza per esempio come canale per tenere la sessualità viva. La violenza come modo per controllarsi reciprocamente.
Non si può mettere una intera nazione in terapia. Ma come si fa a aumentare la consapevolezza delle persone?
Naturalmente tutto questo non riguarda gli abusi perpetrati da sconosciuti, ma anche qui è interessante constatare in alcuni casi, certe ciclicità.
Qui entra in scena un discorso da fare anche sulla genitorialità non solo come esempio ma come modo di fare con i figli.
D’accordo amiche, sappiamo come si comportano e sappiamo che dare loro importanza è fare il loro gioco, capace di durare all’infinito perché sono organizzati. Io però eviterei di dare la possibilità di propagandare un’idea totalmente falsata del fenomeno. Come a dire: se vogliono dire queste assurdità, almeno non forniamo i nostri spazi, hanno i loro, ben recintati e dove, peraltro, noi non andiamo – non andrei mai in luoghi creati apposta per spargere fango sulle donne, oltretutto! -.
Chiudo l’argomento.
Il problema che poni, Zauberei, è molto serio perché solleva la questione di come liberarsi dall’interiorizzazione della violenza, per le donne. Ora, se non è possibile pensare a terapie individuali massicce, resta importante approfittare dei momenti collettivi per sfruttarli al meglio, per cui anche le ricorrenze, come quella di oggi, possono essere occasioni da non perdere. Non basta, è ovvio. C’è il web, che le donne usano molto bene e che, mi ripeto, scusatemi, terrei pulito da certi ceffi perché già è difficile formarsi una consapevolezza, se ci mettiamo dentro questo genere di confusioni, non tutte sanno districarsi. Se vogliamo usare il web come luogo plurale di formazione, oltre che di informazione. I dubbi che pongono questi signori non sono formativi, sono fortemente venefici e non servono affatto ad essere consapevoli ma ad indebolire il processo che porta a scoprire in quanti modi si può manifestare la violenza contro le donne, in quanti e quali modi le donne inconsapevolmente collaborano con il violento, ecc.
@ HHHHHH
i 6 minuti concessi a rivera e i 6 punti di percentuale presi dal link che hai messo riferiti probabilmente all’aumento dal 2009 al 2010, 119 che diventano 127, frutto di una piccola confusione magari, che di solito si segnala come fosse un refuso, e però magari non era il momento e il post adatto, oltretutto per un discorso che ha il suo perché ma per un’altra volta.
ambra – io non trovo produttivo il termine introiezione e trovo anche il concetto proprio inesatto. Non concordo con la polarizzazione vittima – carneficie; responsabile – irresponsabile. C’è una cultura condivisa dei linguaggi delle provocazione e della violenza e ci sono organizzazione psicologiche che si servono di quei linguaggi. Poi su quello che può fare il dibattito e la rete per rendere più consapevoli sono assolutamente d’accordo.
@zaub la questione che poni è centrale, come andare a spezzare un meccanismo micidiale?
Quando abitavo con i miei (Il paese conterà si e no 4000 anime) una sera tornando da una cena trovammo la nostra vicina seduta in lacrime sul marciapiede davanti a casa.
Viveva lì da poco con il suo compagno che quella sera l’aveva picchiata. Aveva un dente rotto e diversi lividi, non volle entrare in casa nostra, disse che era seduta lì fuori in attesa che la suocera e la cognata calmassero il suo ragazzo.
La convincemmo a chiamare se non i carabinieri almeno la sua famiglia. L’arrivo di suo padre, per noi, fu il vero shock della serata, ci aspettavamo che l’accompagnasse al pronto soccorso o a sporgere denuncia, invece cercò di minimizzare la cosa, si preoccupò di cercare una scusa da dire al suo capo per giustificare i segni sul viso e poi la riaccompagnò in casa.
Rimanemmo a guardarci in preda al terrore, sentendoci stupidi ed inutili.
La ragazza con noi fece sempre finta che nulla fosse accaduto, lui diventò improvvisamente gentile e sorridente.
Mi chiesi per molti giorni come poteva un padre comportarsi in quel modo, l’unica spiegazione che riuscii a darmi è che trovasse normale quella violenza e che fosse il primo a ricorrervi.
Quando un paio di anni dopo i due si sposarono e la suocera venne a portarci la bomboniera mia madre la rifiutò.
Fu un gesto piccolo e inutile rispetto a ciò ce avremmo potuto fare ma spezzare quel meccanismo allora ci parve impossibile.
‘Non si può mettere una intera nazione in terapia. Ma come si fa a aumentare la consapevolezza delle persone?’ Bella domanda Zaub. Intanto una intera nazione si potrebbe mettere in ‘terapia’, nel senso che (dalla scuola alle istituzioni) questo problema dovrebbe essere affrontato pubblicamente. Nei paesi in cui si sta meglio da questo punto di vista, le istituzioni (indubbiamente fatte di persone) hanno iniziato nel secondo dopoguerra, ad esempio con la valorizzazione del lavoro femminile ritenuto necessario alla crescita, e molto è disceso da questo, modificando anche il privato. Quando si parla di ritardo italiano sulla parità di genere, si parla immagino di cose non ancora fatte, non realizzate. I maschi sono figli di donne, crescono in famiglie le cui caratteristiche tu conosci meglio di altri. Ma ce la potranno mai fare ad aumentare la consapevolezza da sole? Un esempio banale: se in un ufficio alcune dirigenti donne rifiutano di elaborare un dato documento facendo attenzione (anche) alla parità di genere nel linguaggio, con la motivazione che ‘è ridicolo, è inutile’…cosa esiste più in alto di loro che le possa rendere consapevoli? Gli puoi mostrare in proposito le ‘raccomandazioni’ emanate in altre regioni (più evolute) – la verità è che non hanno riferimenti, ecco il punto.
Zauberei, con interiorizzazione intendevo precisamente qual che stavi dicendo tu, scusami, sai, se te lo faccio notare. Quando parli della violenza a doppia partecipazione, attiva, non ti riferisci, per caso al fatto che si è in due a creare le condizioni per cui, talvolta, si finisce nella violenza? Anche se starei attenta a distinguere la violenza (degli uomini contro le donne) dal conflitto (in una coppia). ma qui andiamo sul tecnico dove vedo che le tue esperienze si arrestano alla terapia, mentre la violenza si combatte anche in altri modi, più specialistici che però tu non consideri.
E sul resto che dici anch’io sono abbastanza d’accordo con te.
Se siamo d’accordo è la cosa importante. Lo dicevo perchè quando si allude al termine introiezione si allude a schemi di idee estranei a se e li si sente propri. Per esempio l’introiezione dei giudizi sull’omosessualità per cui alla fine un omosessuale è omofobo e questo gli impedisce di rendere pubblica la sua vita, o di accettare delle possibilità di vita che per lui sarebbe bello esplorare. E molte persone sono convinte che le donne introiettino una cultura che i maschi impongono è posizione tipica e che ritorna in dibattiti come questo. Per quello che dico io introiezione non è la parola appropriata, perchè gli schemi violenti sono endogeni. Poi che ci siano altri modi per combattere il fenomeno sono assolutamente d’accordo, non capisco in base a cosa desumi che io li ignori.
No, non ho detto che li ignori ma mi pare che non li consideri dal momento che parli di terapia. Io penso che non tutte le donne che subiscono violenza debbano ricorrere alla psicoterapia per affrontare il problema.
Forse dipende dalla violenza: se una donna è molestata in un bus non ha una relazione strutturata con il molestatore. Forse in presenza di un partner violento o di altre situazioni in cui la violenza avviene in presenza di relazioni forti, una terapia aiuta. E, a volte, è l’unica chiave per aprire una porta.
ottimi link grazie, però dove sarebbe il femminismo? ho visto il cosiddetto manifesto femminista dell ultimo sito per capirlo ma li ci sono proposte già note in particolare a sinistra, dove si capisce che quello è femminismo? a me piace, ma è femminismo? proposte di destra non possono essere definite “femminismo” ad esempio?
Ho trovato quello che mi aspettavo di trovare, sono deluso, altra aria fritta che si aggiunge ad altro.
A me pare Ambra, che se una scrive non si può mettere un paese intero in terapia e faccia una domanda su itinerari alternativi – non retorici, tu abbia travisato malamente il mio pensiero. Anche perchè per altro io quelle vie alternative le pratico abbondantemente.
Potevi dare una risposta diversa, perchè ci sono delle aree che la psicoterapia non deve coprire e riguardano queste tematiche. Perchè se le donne mantengono un regime di violenza intrafamiliare per esempio, o tendono reiteratamente a cacciarsi in circostanze pericolose per loro si la psicoterapia è la cosa migliore a volte davvero l’unica. Ma esiste il piano della legge, esiste il piano dell’assistenza sanitaria, esiste il piano delle opinioni individuali e delle sanzioni, il piano dell’immaginario su cui si agisce e io cara lo faccio assai per esempio con il mio blog con altri canali.
Zauberei, io non ho capito tutto del tuo ultimo commento e soprattutto non capisco quale differenza ci sia fra l’aver interiorizzato la violenza e il mantenere un regime di violenza intrafamiliare. Mi sembra di poter dire che se si mantiene un regime di violenza è perché vi si collabora o lo si agisce. Nel caso della violenza maschile contro le donne (e non del conflitto in una coppia, che presuppone una responsabilità più o meno equamente ripartita nel conflitto medesimo) secondo me occorre tenere conto che l’acquisizione di consapevolezza non può prescindere dal rendersi conto del fenomeno culturale che l’accompagna, anzi, che la genera. Mi riferisco alla considerazione che una società che autorizza la violenza maschile ha di una donna. E quindi ci troveremo in presenza di fattori anche di tipo sociale, oltre che culturale. Rendersi conto di questo forse può bastare a una donna per uscirne senza pensare di essere supportata in un percorso di psicoterapia; rendersi conto che si tratta di un fenomeno diffuso forse può adeguatamente accompagnare una fase di introspezione e di osservazione dei comportamenti del partner. In altri casi, ivi compresa la reiterazione anche se non sempre, la psicoterapia sarà sicuramente necessaria, ma utilizzarla per la propria autoconsapevolezza mi sembra un po’ eccessivo. A me sembra di poter dire che il malessere che accompagna l’esperienza della violenza non sempre ha caratteristiche di patologia. E del resto, cara, terapia è relativa a patologia. Non voglio pensare che tutte le donne si ammalino perché subiscono la violenza maschile, ad alcune può succedere, ma non a tutte. Né voglio pensare, nella maniera più assoluta, al maschio violento come a un malato. Quindi avrò anche interpretato troppo alla lettera il tuo riferimento alla terapia, ma ti assicuro che non sono riuscita a capire come effettivamente la disgiungi nei casi di violenza, maschile, contro le donne.
Che elementi in genere definiti psicologici, come la personalità o il carattere o il temperamento entrino in gioco nella qualità della violenza che si agisce o si subisce, è innegabile, ma diverso è parlare di terapia. E forse una risposta diversa dovevi darmela proprio tu. Sbaglio?
ma perchè na volta che n’omo ha detto delle cose sacrosante non je viene riconosciuto??? (alludo al commento del Lucidi).
ma perchè state a fa un dibattito che sinceramente trovo un po’ sterile? non me chiedete perchè, è una sensaZione. io sul discorso della terapia vi dico questo: in terapia ce vado, eccome. e più di una volta mi sono trovata a dire, imprecando “Ce dovrebbero andà tuttiiiiii, non solo io, cribbio!”. e i pipponi “moralistici” e moooolto impopolari che attacco in continuazione sono il mio piccolissimo contributo, da persona imperfetta e “difettosa” come tutti, al sollecitare alla consapevolezza, maieuticamente, le persone a più stretto contatto. il mio personalissimo “parlare, insistere, spiegare”. penso che dipenda dall’educazione, penso che dipenda dall’educazione alla sensibilità, penso che dipenda all’educazione all’avere una coscienza critica, penso pure però che dipenda dal fatto che qualora uno sconosciuto o conoscente adulto e autonomo dica una stronzata, sia proprio il caso di farglielo notare. nel senso che secondo me non è troppo produttivo starselo sempre a dire tra di noi, con l’intento di lodarsi e riconoscersi “quanto siamo più sensibbili e evoluti degli altri”. per questo zaub e ambra dicevo un po’ sterile. io zaub ti leggo, ti leggo anche nel tuo blog, quando l’altro giorno quella tizia ti ha fatto quelle critiche sceme volevo introdurmi io e “difenderti” io, nel blog della Cosenza, però a volte mi sembra che tu faccia delle cose sempre una questione “teorica”, un po’ come se non ti riguardassero e le analizzassi con perenne occhio clinico (una visione un po’ dall’alto, insomma. e non è che questo è un blog di letteratura e allora io sono laureata in lettere e ho più cognizioni di altri sull’argomento…questa è VITA, dinamiche quotidiane della coppia, della società, rogne che pure una psicoterapeuta, la mia magari, c’ha da sbrigare). in due parole, sei una donna anche tu, no? 🙂 poi invece ambra: scusa ma come fai a dire che un maschio violento non è malato??? ma ti rendi conto come è patologica la violenza?? per non parlare di quello che scrivi prima…”utilizzare la psicoterapia per la propria consapevolezza (alludendo a una donna che subisce violenza) ti sembra ECCESSIVO???mi viene in mente tutto il discorso di qualche giorno fa in cui si parlava di come anche le donne sono violente, in relazione all’articolo della bignardi e bla bla. ed io ero d’accordo. ho letto pure un commento da qualche parte di bordone che replicava ad una ragazza che dissentiva sostenendo che in sostanza le donne non POSSONO (non nel senso che non lo sono, nel senso che non possono permetterselo fino in fondo, nel senso che la società subito le stigmatizza) essere violente perchè non ricoprono ruoli di potere, ne faceva una questione di ruoli e di potere. pensavo ora al fatto che al di là della violenza di una brigatista, ad esempio, o di una mamma infanticida, la violenza che avrebbe bisogna di terapia, la violenza patologica è una cosa che io ho visto in moltissime donne, una violenza spesso intellettuale che mascherava atteggiamenti animali, una violenza verbale spietata, frutto di atteggiamenti narcisistici, egoisti, estremamente non contraddetti e per questo profondamente patologici…poi sono d’accordissimo sul fatto che dici tu zaub che in certe coppie non si è vittime carnefici ma ci si fa del male a vicenda, però secondo me è ovvio osservare che dinamiche del genere presuppongono, per quanto appunto una connivenza, come dire, uno che da inizio alla violenza, e l’altro che, magari meschino, magari incapace di troncare, a sua volta, nel momento in cui l’altor è debole, lancia la stoccata. ma non si parte da situazioni “pari” di violenza, ecco. meglio di così non so dirlo, chè sono stanca morta. In ogni caso, senza ALCUNA polemica, vorrei essere presa sul serio. ripeto, nessuna provocazione. 🙂 Laura.
va bene Laura, nessuna polemica, ci mancherebbe. Solo una cosa: se tutti i maschi violenti sono malati, ha ragione Zauberei: gigantesco ospedale psichiatrico! Ma la violenza non è una malattia, è violenza. E va trattata come tale. Questo penso io e sicuramente sbaglio 🙂 . Ora chiudo perché, hai ragione, non serve continuare. Quanto a Lucidi dico che non mi viene di ringraziarlo, la sua dovrebbe essere la norma e se dovessimo ringraziare tutto ciò che si mostra normale… però accetto le sue scuse, certamente.
Alla prossima. Forse.
@ambra. Ma io non ho detto RINGRAZIARE! ho detto RICONOSCERE, che è diverso. visto che non se l’era filato nessuno, me sembrava giusto sottolineare il suo contributo.
e poi.
la violenza non è una malattia, è violenza. appunto. se la violenza è violenza, allora è una malattia, nel senso che da una patologia scaturisce.
boh, per me è ovvio.
altrimenti che cosa equivale a dire, che esistono i pedofili violenti patologici latori di infanzie difficili, e pedofili violenti non malati?
bada bene che non ne faccio una questione di deresponsabilizzazione, tutt’altro: secondo me, parafrasando la tua lettura di zauberei (che però non mi pare abbia parlato di ospedale psichiatrico), certo che ci vorrebbe un ospedale psichiatrico gigante. ma davvero scindi così tra malati e non malati? sei mai stata in un reparto psichiatrico? sai che vengono curate PATOLOGIE apparentemente invisibili? figurati se non penso che un Violento non dovrebbe essere curato. ce dovrebbero andà pe primi! (ma purtroppo non ci si ricovera, quasi mai, per scelta, per consapevolezza di un disagio).
Allora, alcune cose.
1. Io mi metto a parlare di me come donna in un sacco di contesti che sono appropriati, se non sono appropriati mi pare fuori luogo, soprattutto per gli altri. Io come singolo non faccio statistica. E oltretutto io come singolo devo proteggermi dallo sciacallaggio delle opinioni spicciole che si crea sempre in rete. In un blog che si occupa di questioni di genere in maniera competente come questo o come quello della Cosenza, io trovo rispettoso per gli utenti NON offrire il mio privato ma prevalentemente la mia competenza. Se quando qui ci si occupa della letteratura viene uno scrittore o un critico – succede regolarmente – io sono grata alla sua competenza e non mi sogno di dirgli che non mi si pone come uomo. Come psicologa sono stanca e incazzata perchè questo diritto non viene riconosciuto alla mia disciplina come viene riconosciuto alle altre.
2. AMbra la differenza c’è è tra un caso che è introiezione e l’altro che non lo è. L’introiezione è tendenzialmente più facile da combattere, i casi che non abbiamo un’introiezione invece non di rado possono non riuscirsi a combattere. Se tu introietti una credenza vuol dire che fai proprio qualcosa che non è nella tua storia, che serve a delle parti marginali di te , per esempio compiacere l’ambiente a cui appartieni. Oppure fanno parte semplicemente di un linguaggio culturale. In quei casi fare informazione, far pensare, fare delle domande, fa acquistare una consapevolezza che può spazzare via più o meno facilmente l’introiezione di modelli negativi – cosa ancora molto urgente, perchè incide sui modi delle persone di pensare leggi interventi sostegni verso le donne colpite.
Se invece il modello violento per esempio è strutturato, e ha una funzione psicologica profonda che la persona ha solidificato nella prima infanzia, e cristallizzato nel tempo, non si parla più di introiezione, non basta una diffusione culturale o un processo di sensibilizzazione, perchè quella persona senza perpetrare o subire processi violenti non sa campare, fanno parte della sua omeostasi. Quindi il problema è come riuscire a cambiare questa omeostasi. Per me la stragrande maggioranza di episodi di violenza di genere ricadono in questa seconda situazione. Non vuol dire mica ospedale psichiatrico gigante, e non vuol dire neanche sostituire l’orizzonte normativo con uno che giustifica la scelta violenta, vuol dire aumentare la prevenzione, fare dei progetti che intervengano in tempo nelle contestualità più a rischio, e dare a chi lavora sul campo – gli psicologi di frontiera poracci che si sbattono 5 giorni a settimana in situazioni impensate, le condizioni per poter lavorare.
Quando si parla di paesi altri (magari nordici) in cui si presume che il problema della violenza sulle donne sia trattato, gestito ed educato meglio, a me verrebbe da pensare che si tratta di wishful thinking. Quello che però esiste e secondo me è fattibile, è creare un ambiente secondo cui non sia bon ton essere violento, sia verbalmente che fisicamente. Come si è fatto per il congedo parentale dei padri. È facoltativo e questo dava la scusa a un mucchio di uomini di non prenderselo e collaborare alla cura dei figli con la scusa che nel mio lavoro, nella mia funzione, nel mio ufficio. Nel momento in cui amici, vicini e altri padri a scuola ti guardano come: ah, allora è tua moglie che si sbomballa i figli da sola, bello stronzo che sei, la cosa è diventata molto più diffusa e motivo di orgoglio, lavorare 4,5 giorni alla settimana per rirpenderti i ragazzini il mercoledi pomeriggio e portarli in piscina o cucinargli.
Certo, è riservato a una classe media bianca, cosmopolita, di educazione supriore e spesso urbana, ma si comincia da lì. Il giorno che tutti i vicini ti guardano male o ti evitano o chiamano i carabinieri a ogni segnale sospetto e insistono che venga fatta denuncia, che gli amici al bar improvvisamente hanno da fare, ma anche che le forze dell’ ordine, quando accorrono, non si limitano a cercare di riportare la pace ma dicono decisamente: signora lei adesso deve sporgere denuncia-firmi qui, allora si che possiamo dire che qualcosa cambi. E come diceva bene un commentatore, sono eprsone come noi che possono avviare questi cambiamenti e siamo tutti noi a doverlo fare.
(Poi sul fatto che l’ interiorizzazione della violenza che esplode contro i deboli sia una cosa tutta maschile, perdonatemi, ma non sapete cosa riescono a suscitarmi i miei figli in certi momenti topici, per fortuna anni di civiltà e repressione mi impediscono di passare agli atti, ma i film me li faccio tutti, e, cavolo, funziona).
Ecco, ora è più chiaro, Zauberei. Introiettare intendo. Ma credo che non possa essere la psicoterapia a risolvere un problema come quello che descrivi in quanto rientra in una patologia. Le patologie vanno trattate come tali, la violenza maschile è un’altra cosa e va FERMATA, va compresa . Va compresa, respinta, fermata, sanzionata, riconosciuta per ciò che è evitando confusioni con le patologie…
Mi dispiace che gli psicologi siano nelle condizioni di non avere un ruolo ben definito nel panorama delle discipline che intervengono sulla psiche umana ma è un problema che spetta agli psicologi stessi di dirimere: per definizione un discorso (logos) intorno alla psiche di per sé non autorizza, a mio avviso, a nient’altro che presidiare il fronte della prevenzione dei fenomeni, e quindi della comprensione, come dicevo sopra. Per la terapia è necessario altro e per la violenza maschile altro ancora. Ora vi saluto.
facciamo così, lo dico in modo “impressionistico” e meno sentenzioso, perchè davvero vorrei che passasse il senso, e nessuna accusa/polemica/provocazione. zaub. allora io sono laureata in lettere, esattamente in critica letteraria, dunque se si parla di letteratura, entro in un dibattito e dico la mia. se però il dibattito non è, come dire, accademico, e si parla di, che ne so, harry potter, anzichè gramsci, io non mi metto a dire che harry potter è, secondo la definizione di pagliano, eco, e tanti altri, paraletteratura, e non mi metto a fare discorsi troppo tranchant. dico che ho pure io i sette libri, che me li sono letti, e che me so pure piaciuti. poi in altri luoghi posso fare la specialista. in questo caso, secondo me non è irrispettoso. dicendo così, mi fai pensare alla visione dall’alto. mi fai pensare a loredana che scrive milioni di post sulla condizione della donna, su quelle che succede nel mondo a tutte le donne, e a te che ne fai una questione di “dibattito”, che ne so, come poteva essere, immagino, nell’ottocento, sull’infanzia, in seguito alla pubblicazione dell’emile, quando poi andavi a guardare e rousseau non era stato propriamente un gran padre. mi viene in mente che ad esempio ho un fratello che ha fatto la steiner, e ho conosciuto molte mamme e papà che disquisivano della genitorialità in modo molto “filosofico”, e poi però i figli avevano playstation, televisione, etc. etc. cioè come fai a separare il privato dal “pubblico” in argomenti come questi? persino la mia psicologa, spesso, per farmi capire le cose, ormai mette in mezzo se stessa, si mette in mezzo, come a farmi capire, oramai ad un livello avanzato della terapia, in cui non sono più, come dire, ai suoi occhi, “un caso clinico”, come funzionano le cose. è logico che se parliamo di infanticidio pure a me viene un atteggiamento distaccato e interessato per comprendere un fenomeno. ma la violenza subita all’università, il tizio sull’autobus che ti molesta, il fidanzato che spara la stronzata maschilista, l’amico intellettuale progressista che è più misogino del vicino di casa muratore, voglio dire, è pane quotidiano, no? io rispetto ovviamente quello che scrivi, però secondo me è più, come dire, utile, in sostanza mettersi in discussione e portare la propria esperienza umana per cercare di capire insieme e proporre soluzioni alternative ai problemi.
detto in soldoni se la mia psicologa ha una figlia problematica, immagino che sarà costretta a scendere dal ruolo/”piedistallo” e porsi domande in modo completamente diverso. non avrà la soluzione a portata di mano solo in quanto specialista. e i problemi di discriminazione di genere riguardano tutte le donne, mica solo quelle ignoranti o quelle che non lavorano. capisci cosa intendo? cioè io ho l’impressione che non coinvolgersi in certi discorsi sicuramente è una forma di protezione, ma è anche un modo per trincerarsi e dire: sto problema non riguarda me, e se mi metto a parlarne offro il mio parere di specialista. a me in questo senso, lo dico da studiosa di letteratura, la letteratura pare una cosa un minimo più inerente all’arte, alla speculazione, che non questioni di genere, bambine che hanno come modelli bambole agghiaccianti, pubblicità offensive, discriminazioni sul posto di lavoro, culture radicate di squalifica alla donna. in sostanza, e concludo, voglio dire banalmente che siamo tutti coinvolti, in questa storia qua, e ho notato, nella vita, che i risultati, i “progressi”, gli uomini li compiono solo quando si mettono in discussione loro stessi, tutti, e si ammette: ok, anch’io che punto il dito contro la violenza di tizio, anch’io, per aiutare tizio a capire, per smuovere la sua coscienza, devo riconoscere una radice della stessa inclinazione in me. ti parlo non sul piano terapeutico (ovviamente un terapeuta più empatizza più sbaglia). ti parlo sul piano dell’amicizia, del rapporto col collega, col marito, col padre, col figlio. se uno è più illuminato, deve parlare, un minimo, il linguaggio di quello meno illuminato, sennò l’altro non capisce, sente il distacco, e rifiuta la tesi che gli viene proposta. secondo me. non mi piace l’atteggiamento da “povere donne violentate”, non mi piace la finta pietà; quella donna domani potrei essere io. e allora è bene che qui, quando si dice, “che ognuna si vesta come vuole”; io rifletta, più o meno pubblicamente, su quanto voglio prendermi sto diritto, e su come fare, in concreto, per convivere col resto del mondo senza arroccarmi, senza isolarmi in torri d’avorio, ma portando il mio pensiero, informe e ancora in “progress”, pretendendo rispetto e sperando di seminare qualcosa.
Spero di essere stata chiara.
(p.s. Io riconosco alla tua disciplina meriti e facoltà immense. ma appunto, la terapia, per come si esplica, non è una “cosa” teorica in cui il terapeuta si lancia in questioni con linguaggi tecnici. nella terapia, credimi, di solito utilizzo molto più io termini come introiezione, proiezione, maternage, dinamica, etc. etc., che non lei. e dopo tanto tempo credo di aver capito perchè). e se la mia psicologa viene chiamata ad un convegno in quanto esperta, bene. i convegni dove si dicono le cose tra loro (perdonami, la vedo così.) ma qui, non mi sembra ci possano essere troppi esperti. come ho già detto, e a rischio di ripetermi, i figli ce li hanno tutti, un marito ce l’hanno tutti, situazioni di discriminazione pure. e porsi di fronte al molestatore con sguardo clinico quanto può essere produttivo, se quel molestatore lo incontri proprio tu sull’autobus stasera? lo affronteresti con gli strumenti acquisiti col dialogo e “l’autocoscienza” o quelli conseguiti con lo studio e la tecnica?.
Un’ultimissima cosa. Il problema della violenza maschile ce l’abbiamo tutte perché si esercita strutturalmente in una società come la nostra. ribadisco che molte di noi l’hanno interiorizzata (introiettata è ciò che correttamente dice Zauberei), ovvero non sono in grado riconoscerla (per questo la foglia di fico del maschio violento malato) perché la considerano quasi normale,cioè si aspettano che il maschio si comporti così come si copmporta. Tendendo conto che la violenza maschile non è solo quella sessuale, quella fisica o quella psicologica ma si espreime nella disciminazione, per esempio, nel lavoro e nel soffitto di cristallo, per esempio. Quante botte prendiamo delle quali ci accorgiamo anche poco solo perché ce l’aspettiamo? E non sarà che la psicologia, per il fatto che si occupa in modo non conforme alla cura medicalizzata, è considerata poco vincente perché non “aggressiva” e, quindi, ahimé, femminile? E come tale emarginata? Io penso che questa disciplina deve farsi forte del suo compito senza confondersi con ciò sul quale altri sono molto più attrezzati (psicoanalisi, psichiatria) e quindi, insieme alla filosofia, porsi l’obiettivo di comprendere a fondo i fenomeni sociali fin nel profondo di dove si originano. Altrimenti soffrirete sempre e sarete considerati niente. E nemmeno il vostro ordine, che vedo si sta facendo a sua volta aggressivo vero il Counseling, vi potrà proteggere. Fate una bella alleanza con i counsellor e i filosofi e insieme andate a dire che la violenza maschile è un fatto culturale e che va affrontata trattando bene chi la subisce, con l’ascolto vero e contestualizzato (filosofia) e sanzionando come merita chi la agisce. E’ anche un fatto di dignità e di professionalità, io credo. Poi pensate come volete ma così si creano un sacco di danni, non soltanto a voi stessi.
Ultimo commento a Laura, perchè trovo decisamente di cattivo gusto trollesco quasi, che qui si parli del mio stile di comunicazione e non dell’argomento. Quindo molto velocemente: a. fornisco sul mio blog e su questo esempi tratti dalla mia vita privata, ultimo lasciato ieri forse in calce all’altro post – a proposito di molestie sessuali, ma ribadisco che io trovo inutile e pure un tantino demagogico che un tecnico della letteratura riservi i suoi saperi ai tecnici mentre agli altri poveri stronzi riservi a me me piace a me numme piace. A me cara, che a te te piace Potter non me ne frega niente – perdona. Non mi aggiunge niente. A te dei miei cazzi privati non deve importare niente. Se i pareri che offre un sapere ti sembrano fuori luogo giudicherai di conseguenza, è tuo pieno diritto e se preferisci salti direttamente i miei commenti. Dopo di che per me la questione si chiude qui e chiedo scusa a Loredana per l’ot.
2. Ambra a titolo informativo. Sono filosofa e psicologa e in formazione come analista. COn cognizione di causa so che le tre cose sono collegate e come molti miei colleghi quando parliamo di psicologia ci riferiamo alla psicologia dinamica. Mi pare che ragioni per compartimenti stagni forse non pensando a quante cose già gli psicologi facciano in stretta collaborazione con altri specialisti. Si lavora sul campo: si fanno corsi alla polizia per disincentivare la discriminazione di genere e far accogliere le denunce, si lavora per la scrittura di campagne di sensibilizzazione, si fanno progetti per le scuole nelle periferie e nei piccoli centri, si hanno compiti molto chiari e ben definiti ma spesso mal retribuiti. Tu come buona parte del paese, ignorate decenni di bibliografia, carrettate di progetti molto attenti e sofisticati. Il problema assicuro non viene dal ventre della disciplina che è stratificato e composto oramai da molte riflessioni e collaborazioni, ma dal contesto culturale che la ospita. Ora anche questo è ot. e quindi saluto anche ambra.
mi dispiace che si pensi che io stia trolleggiando, davvero. intervengo così raramente, e sempre portando il mio vissuto. per me chi trolleggia è chi spesso con cinismo polemizza, con vezzi e modi che proprio non sono i miei. al massimo pecco di “ingenuità”, forse, di emotività. e poi non capisco mai il perchè delle reazioni così stizzite. quasi che dire quello che si pensa, cazzo, senza polemica, significhi non so cosa. “A me cara, che a te te piace Potter non me ne frega niente – perdona. non mi aggiunge niente”. scusa non scriverò più niente, ma che te devo dì? se di una cosa che scrivo te capisci quello che te pare e in più rispondi così, mamma mia, questa è dissuasione alla partecipazione.
non è che ce l’ho con te e sto lì solerte a vedere se scrivi una cosa valida o no, non prenderla così sul personale. tipo: a me non frega dei tuoi cazzi così, per sport. stavo dicendo che secondo me a volte esporsi (esporsi non nel senso di dire, se nessuno te l’ha chiesto: me piacciono le melanzane, bensì dire ho vissuto questa esperienza bla bla) è più utile.
non capisco davvero il motivo di tanta acredine.
io leggo sto blog da una vita, non sono una che commenta spesso, ma lo leggo, credimi. però certe volte quando uno si inserisce e trova sto tipo de respingenza te fa venì voglia de scrive direttamente a loredana, come lo si farebbe con la mamma, dicendole, loredana, please, traduci il mio pensiero perchè io non volevo fare altro che partecipare.
punto. (zauberei, trovo che reagisci in modo aggressivo, come se qualcuno ti stesse provocando. t’ho pure detto che sull’altro blog stavo difendendo il tuo stile basato sulla “diglossia” italiano-romanesco…) e poi non è che io riservo il mio sapere, cribbio, ai sapienti, e agli altri “bello/brutto”. ma che è?? ma chi l’ha mai detto? un conto è un parere “scientifico”, e ok. ma secondo me questi argomenti su questo blog che mi sembra tutto fuorchè un blog da addetti ai lavori, di tipo solipsistico, secondo me ripeto non vanno affrontati come se si stessero conducendo analisi in laboratorio. mo se non s’è capito significa che me spiego male e basta. uff.
poi una cosa, zaub. tu ad ambra dici “Tu come buona parte del paese, ignorate decenni di bibliografia, carrettate di progetti molto attenti e sofisticati”
allora calcola che mia madre è un’assistente sociale, superspecializzata, superdirigente. sempre stata una “pasionaria”, una che c’ha creduto, una che ha lavorato sempre tanto, in modo propositivo, sperimentando, facendo mille progetti, alcuni molto sofisticati, di cui spesso a me è giunta solo l’eco. ha lavorato con psicologi, filosofi, di tutto. vedi, non posso fare a meno di parlare di me.
quello che voglio dire è che ad esempio si parlava tempo fa delle mamme degli anni 50/60 che “emancipate”, spesso non sono riuscite a trasmettere la passione, quale senso mettevano loro nel lavoro.
oppure il fatto che, magari a casa mia certe cose, culturalmente, siano state date per scontate, o, “peggio” ancora, una certa cultura di sinistra progressista vecchio stampo però, abbia creato non pochi problemi sul quotidiano in quanto a libertà di trucco, parrucco, e tacco 12. cose così, insomma. cose degli esseri umani. allora secondo me a volte la formazione, il lavoro, non sono sufficienti. se mia madre intervenisse qua sopra magari direbbe tante belle cose, sicuramente riscuoterebbe molto più credito di me, apparirebbe supercompetente in merito a leggi, giudici, tribunali, economia, statuti e quant’altro. però magari poi scavi nel privato e vedi che c’è incoerenza. non sto dicendo che mia madre è l’incoerente, nè che lo sei tu, zaub. mi capisci? sto dicendo che a me interessa poco apparire “brava” e competente, e poi magari a casa tua con tuo figlio combini cazzate addirittura perchè magari segui un trend, un dogma pedagogico, o bla bla. a me interessa un modo, un sistema, comune, per riuscire a sopravvivere in un mondo dove non è detto che se hai un lavoro, una laurea, e un cervello, allora sei una donna libera.
e secondo me la risposta non è in una teoria.
altrimenti la soluzione è portarsi dietro un bignami della de beauvoir e aprirlo ai vari punti a secondo dei casi. con questo ho finito di parlare di me. ciao.
Zauberei la prendi davvero male e aggredisci parecchio, mi dispiace per te.
Lasciati ancora dire che se è vero che lavori sulla violenza come racconti, tu come una parte del paese, ignori che l’appoccio medicalizzato al fenomeno è veramente un bel problema per le poveracce che vi capitano fra le mani. Ho provato a farti ragionare ma se attacchi per difenderti c’è poco da fare. Tipico di chi è insicuro, malgrado le carrettate di bibliografia ma forse dovuto ai risultati che ottenete. Buona fortuna, soprattutto alle poveracce che si ritroveranno ancora in psicoterapia quando il problema è un altro.
In topic. Sono una storica, il mio campo di studi è circoscritto tra Otto e Novecento. Gli strumenti che hanno funzionato, se non per debellare ma almeno per mantenere sotto controllo stretto fenomeni di discriminazione e violenza rivolte a particolari soggetti sono multipli e mai hanno dato risultati, se non quando sono stati usati tutti insieme. Li ordino ma senza una scala di importanza: 1) consapevolezza da parte delle vittime di essere oggetto di varie scale di violenza; 2) consapevolezza da parte delle vittime che nessun loro comportamento è in grado di scardinare il pregiudizio (esemplifico un ebreo non può sconfiggere il pregiudizio sulla propria presunta avarizia neanche se è una persona estremamente generosa) 3) azioni legislative sia punitive sia affermative (quote per l’accesso all’istruzione, per esempio, nel caso dei neri afroamericani); 4) un lavoro sull’immaginario, il simbolico, lo stereotipo veicolato dai media e dai linguaggi 5) lavoro degli psicologi nelle zone di frontiera o nelle situazioni strutturate a seconda degli strumenti che la disciplina ha in quel particolare momento storico. Sul punto 5 credo ci sia una scarsa conoscenza sull’evoluzione dei metodi e della disciplina. Quindi si tende a svalutare – a svantaggio di tutti.
laura, la questione bibliografica non era riferita a te.
ambra, ma sei tu che mi hai messo addosso un approccio medicalizzato senza sapere esattamente cosa faccio. QUi e sul mio blog ho detto sempre peste e corna dell’atteggiamento medicalizzato – per me è un insulto! Perchè ho altre basi e altri itinerari. Sei tu che mi hai messo addosso uno stereotipo, senza sapere come lavoro e le cose che faccio. Sei tu che reagisci pavlovianamente alle poche idee che hai sul settore. Quali chiavi adotto e quali no – e certo che reagisco male, perchè non ho detto che faccio psicoterapia a tutti, non potrei farlo, nè mi interessa farlo. Proponevo un dibattito proprio sulle cose extra. Non te ne sei manco accorta! Mi hai fraintesa fin dall’inizio e si ho reagito male e si, perchè avevamo un sacco di cose di cui parlare, se solo tu avessi avuto l’intelligenza di fare qualche domanda – o anche proporre qualche idea, che oltre un generico e inutile questo no, non è arrivata.
Non è detto che chi risponde male lo faccia sempre per insicurezza, anche se non è un reato e per me eventualmente non costituisce problema.Semplicemente, l’arroganza genera arroganza e mi spiace di aver partecipato al giochino sterile. Ora davvero inviterei a chiudere.
Barbara intervento fichissimo,ci avevo tutte cosette da aggiungere, come ipotesi più che di analisi di intervento – soprattutto sui maschi, che pare che culturalmente non è un problema loro – ma sono spompata!
Zauberei, sei molto offensiva. Ti ricordo che il tutto è nato perché hai voluto piegare un mio termine, interiorizzazione, (della cultura alla base della violenza maschile) verso uno tuo, introiezione, che ha un suono quasi onomatopeico, per quanto è prossimo all’ingordigia e quindi all’assunzione acritica, forzata, patologica di qualcosa.
Io parlo un’altra lingua.
Non vedo per quale motivo avrei dovuto farti domande per approfondire cosa? il tuo impegno? e tu? ti sei chiesta niente del mio quando hai preso ad assalirmi? No, Zauberei, mi dispiace, non ci siamo e non è così che si possono confrontare due approcci. Tu il mio non lo conosci, io il tuo sì, checché tu ne pensi ed è puerile che tu ti metta ad annoverare a tuo merito le bibliografie e tutto il resto, non è così che susciterai la curiosità e men che meno l’interesse altrui, così fai solo propaganda.
Ora ti saluto definitivamente, ne ho abbastanza. Io avevo solo commentato un troll, riguarda sopra com’è andata, non c’è da vittimizzarsi e da aggredire, c’è da diventare grandi.
Leggo con molto dispiacere il tenore degli ultimi commenti. Con dispiacere ancora maggiore leggo altrove la prevedibile strumentalizzazione di chi, come un corvo affamato, presidia ossessivamente e quotidianamente questo spazio per continuare a spargere veleno contro le donne e le discussioni delle donne, sostenendo che sono sempre riportabili a personalismi, ansia di primeggiare, perdita di tempo – ché nei blog si perde tempo, si sa – e autopromozione di non si sa bene quali libri. So che non deve importarvi e che la miseria altrui non dovrebbe importare neanche a me (certo che, quando è quotidiana, somiglia molto allo stalking). Fatto sta che credo nella discussione, anche accesa, ma sempre finalizzata a chiarimento e a crescita reciproca e di chi legge. Invito dunque tutte, davvero tutte, a confrontarsi con serenità. Grazie e buona domenica.
Oddio loredana scusa scusissima – hai ragione,ci sono cascata con tutte le zampe. Purtroppo me ne sono accorta tardi. Spero di non ricascarci in futuro ecco.
Dovreste scusarvi tra voi. Io non sono la maestrina dalla penna rossa. Sono semplicemente una persona che offre questo spazio alla discussione, ogni giorno: che non ha bisogno, peraltro, di un blog come vetrina o come contenitore promozionale. Ma che crede nel confronto, che è sempre utile, a differenza del branco che rumina insulti in capannello.
Il commentarium appartiene a voi, non a me.
Gli spazi di libertà vanno sempre salvaguardati. Anche io ho provato disagio a leggere gli ultimi commenti. Anche perchè è vero, c’è chi non aspetta altro, per frustrazione o malignità o perchè sta fuori di testa, di sparare sulle altre donne. Magari risparmia i soldi dello psicologo (scusate, non volevo riaprire la discussione in questo senso) ma è molto più deleterio per la collettività e la causa.
Mi sento di dovere delle scuse più altro agli altri commentatori o anche solo lettori. Perchè questo tipo di discussioni avvitate sono proprio un po’ come lo spam, occupano il tavolo e allontanano gli altri, e alla fine di tutto si parla che del topic, potevo evitare e riprendere l’argomento, e magari proprio sull’argomento io e ambra avremmo potuto confrontarci. E’ una cosa che mi sono trovata a criticare spesso per altro in questo blog – cercherò di tornare a stare attenta. Magari placate le acque con Ambra ci saranno altre occasioni di scambiare punti di vista.
Sono una delle ragazze che venerdì sera ha assistito all’interessantissima discussione su Donne e Media alla Sapienza e sono venuta a visitare il blog. Volevo ringraziare per i contributi e anche per le liti, che comunque aprono prospettive a chi si vuole informare. Signora Lipperini, è questo che conta: il resto, comprese le donne che purtroppo cercano di gettare discredito sulle altre donne (ne so qualcosa) per invidia e disagio, conta poco. Grazie a tutte.
Segnalo questo
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2011/11/27/un-femminismo-a-puntate/#more-13789
Mi sembra pertinente a molte cose dette qui e che si continuano a dire – puff – altrove.
Posso? Due questioncelle mi girano per la testa una estetica sollevata dal post precedente. Alcuni commenti – non ricordo i nomi dei commentatori e delle commentatrici, scusate ma tanto il punto non è personale – sottolineavano la mise delle donne in alcune situazioni. Nessuno di noi, credo, ha un’estetica condivisa ergo a meno che non ti riceva il papa, il presidente della Repubblica, la regina d’Inghilterra,situazioni per le quali esiste un protocollo codificato, se una gradisce e si sente a posto con l’abitino leopardato non vedo perché questo debba essere oggetto di critica. Si può essere dei geniacci nel proprio campo e avere del “cattivo gusto” abitizio. Le due cose non coincidono.
La seconda questione inerisce invece la continuità tra pubblico e privato. Non nego ci sia o ci si sforzi di tenere contigui i due ambiti tuttavia restano ampiamente distinti. Si può avere un privato disastrato ed essere tuttavia impegnati nella causa.
Pur pensando che anche le molestie – lievi o gravi – siano una violenza mi piacerebbe si distinguesse meglio nei ragionamenti tra la molestia e la violenza fisica o psicologica domestica e no. Perché, impressione strettamente personale e di profana, altrimenti non si capisce più niente e diventa tutto un unico minestrone -)
Buonasera. Spero di non offendere la sensibilità di nessuno: ho messo in moderazione una decina di commenti che mi sembravano off topic rispetto al tema trattato, che non è un tema da poco. Qualunque fossero le intenzioni, credo che non sia questo il luogo per discutere di vicende che mi auguro non si ripetano e che comunque non sono in argomento. Grazie.
Guarda che se continui a togliere la parola a questo e a quello, finirai per restare da sola davanti allo specchio sempre più desolato del tuo blog, unica detentrice della vera saggezza e della verità assoluta. Ma “scialla”, va!
Scialla, o chiunque tu sia. Per stavolta lascio smoderato il troll di turno: non ho “tolto la parola” a nessuno. Semplicemente, la discussione che si era sviluppata intorno a uno spiacevolissimo caso, non mi sembrava in topic. Ho tolto la parola, come dici tu, anche a fedeli commentatrici del blog, come Zauberei, Barbara e Gianna, che spero saranno comprensive. Se c’è un post, si resta in topic. Quanto al “togliere la parola”: è vero, la tolgo ai troll. A chi interviene qui per insultare, per sviare il discorso, per accentrarlo su se stesso. Se poi vogliamo ancora contarcela con la storia che chi cerca di rispettare l’andamento della discussione è un censuratore, ma prego. Quanto a me: non mi ritengo saggia, nè bella, nè intelligente, nè figa, nè la migliore. Sono quel che sono, dò quel che posso. Tanti cari saluti.
Io non sento di dovermi scusare, eventualmente mi scuso di questa presunta mia insensibilità al dovere di porgere delle scuse ma realmente non sento di aver commesso qualcosa di contrario allo spirito del confronto. Direi piuttosto che ho assunto e riaffermo la responsabilità di quanto ho detto, seppure adottando un nome diverso dal mio per evitare le oramai usuali persecuzioni del troll. Lo chiamo troll al singolare perché sono del tutto persuasa che si tratti di una organizzazione da un solo argomento e un solo intento.
Voglio però aggiungere ancora una cosa inerente le modalità del discutere tra donne per capire se possiamo rifletterci e trovarne delle nuove. Metadiscutiamo rimanendo IT per il fatto che la competitività sorda che attanaglia le donne è un elemento di enorme debolezza sul quale si innesta con grande agio ogni tipo di violenza maschile. Se le donne fossero più unite, i maschi violenti avrebbero minori possibilità di aggredirne una alla volta, o anche gruppi, ma in genere una alla volta e al riparo dagli occhi delle società. Non c’è comunità femminile e non stiamo facendo granché per crearla.
Quando una donna afferma qualcosa si ritrova immancabilmente a fronteggiare almeno un paio di comportamenti, un paio di tipologie di autori che l’avversano. Il primo è quello maschile che lo fa in modo diretto, ponendo se stesso come la norma e norma che deve valere anche per le donne. Di questo sappiamo abbastanza e non mi soffermo se non per dire che anche il silenzio maschile molto spesso corrisponde non al rispetto ma a un giudizio. Le variabili sono numerose ed arrivano fino al troll.
Il secondo è femminile e consiste in un bisogno tanto oscuro quanto tenace di differenziarsi, una sorta di ossessione che, come tale, si presenta priva di controllo (e di autocontrollo) fino ad assorbire moltissime energie, fino a “spompare” come detto sopra.
Cosa induce una donna a ricercare quasi con disperazione ciò che la distingue dall’altra? Fino a voler ricondurre l’altra a sé e alle proprie categorie? Perché il mio “interiorizzare” è stato cambiato di segno fino ad essere ritradotto con “introiettare”? Cos’è che impedisce di accettare la parola di un’altra senza distorcerla, senza volerla interpretare a proprio modo e portando badilate di argomenti a sostegno del proprio travisamento?
Io ho detto interiorizzare per intendere qualcosa di più ampio dal solo aspetto psicologico dell’introiettare. Intendo l’assumere una cultura come se fosse la propria, non soltanto fare mio un modo violento di comportarsi nell’eterna sindrome di Stoccolma. Intendo che si tende ad assumere tutto della cultura maschile: oltre alla sua cultura, la sua storia, la sua organizzazione sociale a partire da un’idea di famiglia che ne sostanzia la struttura, i suoi simbolismi, l’immaginario, il pensare, i pensieri, il pensarsi, il pensare le altre e gli altri, e il modo di raccontare la società e di raccontarsi. Non mi fermo a parlare delle gabbie della psiche, pure importante perché determina gli impulsi individuali, gli automatismi, le impossibilità di vincersi e di reagire, intendo una fare propri gli argomenti dell’altro, del maschile. Il che è persino più grave del semplice introiettare una o più dinamiche perché impedisce di vedere il contesto in cui si è e si agisce e si subisce.
La consapevolezza per me dev’essere a tutto tondo: non ho mai visto nessuna elaborare efficacemente una dinamica senza disporre di un’analisi storica, economica, filosofica della vicenda che la riguarda. Tutti e tutte siamo capaci di pensiero, a prescindere dal grado di istruzione. Infatti la violenza maschile non colpisce soltanto i ceti meno istruiti, anzi.
Quando poi mi azzardo a dire che la debolezza della Psicologia è quasi strutturale in una società come quella in cui viviamo e suggerisco un’alleanza con la Filosofia e la Sociologia e altro che riflette e interviene sui problemi di fondo, mi si risponde: io sono laureata in filosofia, sono psicologa… Parlavo di un’alleanza, di una strategia, di relazione strutturale non di capacità individuale. Capacità come quella di un contenitore. No, io volevo dire che ci si dovrebbe attestare con più forza nelle zone in cui si vanno a leggere i fenomeni, non basta che una riunisca in sé più saperi perché si senta, da sola, titolata a intervenire e a fare da esempio agli altri.
Questo è accaduto.
Torno alla domanda: cos’è che ci fa sentire un impulso tanto forte a distinguerci dall’altra,fino a…introiettarla? Se non la negazione di ciò che dice un’altra? E una psicologa, filosofa e tanto altro, queste cose non dovrebbe saperle? Non dovrebbe poterle controllare?
Per tutto questo non mi passa nemmeno per idea l’ipotesi di scusarmi.
Per me finisce qui.