SONO ANCORA QUA. EH, GIA'.

C’è stata una giusta maretta, ieri, sui social, dopo che una mamma ha postato la fotografia di un libro di testo per la seconda elementare: la mamma fa parte dell’associazione culturale ConsapevolMente, che si occupa di stereotipi di genere. Nel testo, la mamma “cucina e stira” e il papà “legge e lavora”. Ancora.  Il libro è La Nuvola, pubblicato  nel 2017 da edizioni La Spiga. Che, almeno a quanto leggo, vorrebbe aprire un confronto. Ci si chiede con chi, ma pazienza.
La protesta ne segue un’altra di qualche giorno fa: la linguista Cecilia Robustelli aveva corretto l’affermazione di un mio collega conduttore di Radio2: sindaca e non sindaco. La risposta, via twitter, riguardava la presunta solitudine e infelicità di Robustelli. Seguono dibattito e scuse del conduttore, ma dopo altre accuse di tristezza e solitudine un po’ a tutte le contestatrici. Giuro che se lo incontro nei corridoi di via Asiago improvviserò un saltarello marchigiano per dimostrargli che tristezza e solitudine non abitano dalle parti di chi riflette sulla lingua.
E visto che siamo ancora qui, provo a fare un po’ di riassunto per quello che riguarda linguaggio e testi scolastici. Dopo dodici anni, e dicasi dodici, sembra immutato quello che scrivevo, ai tempi, in Ancora dalla parte delle bambine: e giuro, commentarium, che non mi fa nessun piacere citarmi, non solo per quel briciolo di pudore che ognuno dovrebbe portare con sé, ma perché ai tempi speravo che le cose sarebbero cambiate. Invece no. Invece no. Il brano si riferisce all’indagine realizzata tra  il 1998 e il 2001 da Irene Biemmi, pubblicata nel 2006 nel Quaderno n.29 del Consiglio Regionale della Toscana. Commissione regionale pari opportunità donna-uomo, con il titolo Sessi e sessismo nei testi scolastici.
“Nel dettaglio: su un totale di trecentoquaranta brani, e su trecentocinquantasette protagonisti, i maschi sono 182 contro 123 femmine. (59% contro 37% : per ogni dieci femmine ci sono sedici protagonisti maschi). I gruppi maschili sono 18 contro 4 femminili. Gli animali sessuati vedono 11 maschi contro 5 femmine. Scomponendo. Nei testi di narrativa i protagonisti sono il 62% contro un 34% di femmine. Ma la disparità risulta ancora più evidente se si esplorano le sottocategorie: nei racconti d’avventura il rapporto è di 72% contro 20%; nei miti e leggende siamo a 62,5% contro 25%. Le biografie sono quattro: tutte maschili. Per essere ancora più precisi: la stragrande maggioranza delle storie del passato ha protagonisti maschili: su 91 storie, 67 contro 22, 73,63% contro 24,18%. Come scriveva Ida Magli in La femmina dell’uomo, “Immersa in un quotidiano sulla cui trama gli uomini avevano agito senza riconoscerle una funzione vitale, la donna sembra non essere mai realmente vissuta, se non come sgabello ai piedi della storia”.
Non va meglio per quanto riguarda il piano qualitativo. Fin dal primo anno di scuola, scrive Biemmi, ai bambini viene detto che esistono “spazi, attività e funzioni differenti che definiscono gli uomini e le donne. Quando bambini e bambine entrano per la prima volta nella scuola e siedono nello stesso banco, probabilmente con aspettative e sogni simili, vedono nello strumento che utilizzeranno quotidianamente l’immagine maschile e, per quanto possano cercare, le bambine incontrano poche immagini che si riferiscono a loro: un bambino pratica surf, una mamma porta la merenda, l’uomo guida la macchina, ha la libertà di spostarsi e di viaggiare alla ricerca d’avventure. Alle bambine non resta che descrivere ciò che gli altri fanno”.
Il punto dove si evidenzia offre la maggiore discriminazione, è quello del lavoro. Su settanta protagonisti maschili i lavoratori sono 49. Su 32 protagoniste femminili, 18. Dunque, lavora il 70% degli uomini e il 56% delle donne.
Ancora. Le professioni maschili sono cinquanta: re (5 casi), cavaliere (quattro), mago (3), maestro (3), scudiero, scrittore, dottore, poeta (tutte presenti due volte), pescatore, pittore, pirata, paggio, mozzo, medico di bordo di una nave, meccanico, ombrellaio, nobile, navigatore, scultore, alunno, scienziato, valletto, taglialegna, studioso, sceicco, viaggiatore, presidente di una squadra di calcio, profeta, riparatore di sedie, venditore, barbiere, Babbo Natale, artista, bibliotecario, cantante, boscaiolo, architetto, artigiano, arrotino, giornalista, giocatore (di carte), marinaio, geologo, contadino, comandante, capitano di una nave, crociato, ferroviere, esploratore, esattore delle tasse.
I lavori attribuiti alle donne sono quindici: maestra (otto), strega (3), maga (2), scrittrice, Befana, nobile, nutrice, pittrice, attrice, principessa, fata, casalinga, castellana, bibliotecaria, indovina.
Dunque, non soltanto le donne possono scegliere fra un numero ristretto di professioni (ancora oggi economicamente e professionalmente poco interessanti). Ma anche l’immagine della fata e della strega si relazionano alle attività di cura, o a quelle domestiche: oltretutto, l’insistenza sull’associazione simbolica con la magia rimanda a quell’idea di estraneità dalla vita reale che per secoli ha accompagnato le donne ed oggi riemerge con forza del tutto nuova.
Biemmi sottolinea un altro particolare: “anche nelle attività non professionali il ruolo delle donne è considerevolmente limitato: per esempio, esse non eseguono quasi mai attività da sole, senza cioè essere accompagnate da un personaggio maschile. Inoltre, spesso, mentre intorno alle professioni maschili e alla loro utilità sociale vengono proposte attività, nessuno spunto analogo emerge intorno all’importanza sociale del lavoro familiare: questo porta a concludere che il lavoro familiare non ha valore, non ha statuto sociale, non produce ricchezza”.
Conseguentemente, e come sempre, gli uomini sono rappresentati negli spazi pubblici, perfettamente a loro agio. E quando sono negli spazi domestici, si trovano in soggiorno, e quasi mai in cucina. Un solo padre si cuce i calzini da solo. La riprova è ancora una volta nei numeri: il 49% delle femmine contro il 28,6% dei maschi viene definito non in base alla professione ma in base alla sua attività nell’ambito della famiglia.
Una conferma viene dalla diversità degli aggettivi utilizzati per i due sessi il maschio viene descritto come “sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso, onesto, ambizioso, minaccioso, pensieroso, concentrato, bruto, avventuroso, autoritario, furioso, generoso, fiero, duro, egoista, iroso, virtuoso, tronfio, saggio, deciso, audace, libero, impudente”. La femmina come “antipatica, pettegola, invidiosa, vanitosa, smorfiosa, civetta, altezzosa, affettuosa, apprensiva, angosciata, mortificata, premurosa, paziente, buona, tenera, vergognosa, silenziosa, servizievole, comprensiva, docile, deliziosa, delicata, disperata, ipersensibile, dolce, innocente”.

3 pensieri su “SONO ANCORA QUA. EH, GIA'.

  1. Sai che la penso come te Loredana e che sono attenta alla questione linguistica, tanto più per i libri di testo.
    Lo sconforto mi viene dalla realtà però. Quel libro riflette una realtà che purtroppo non è cambiata, almeno per la mia personale esperienza.
    Su 24 famiglie dei compagni di scuola di uno dei miei figli, ad esempio, in tutte, senza eccezione, a stirare e cucinare è solo la donna. Indipendentemente dal fatto che lavori o meno. Indipendentemente dal tempo che ha a disposizione.
    E’ la donna che si occupa della gestione dei figli, che li accompagna dal pediatra o in palestra, che fa la spesa, che fa lavatrici e stende, che misura la febbre e imbocca. I padri se li incontri al parco che tirano due calci al pallone col figlio maschio è oro colato.
    Io nel mio piccolo combatto. Anche se il dubbio che resistere non serva a niente ogni tanto mi attanaglia…

  2. Crepascolino ha appena compiuto dieci anni. Crepascola ed io siamo soddisfatti del lavoro delle sue maestre. Ricordo addirittura un incontro colle maestre della materna in occasione della preparazione di uno spettacolo teatrale in cui si è rassicurata una mamma che temeva sarebbero stati distribuiti i ruoli di principi e principesse rispettivamente a maschi e femmine e non secondo i desiderata dei piccoli attori. So che suonerà come celia, ma nei libri del nostro cucciolo la cosa più fastidiosa è la sostituzione dell’ausiliare essere con il lombardismo venire ( ed io sono milanese ). Non ho notato altro per ora, ma la strada è lunga da qui al reddito di cittadinanza per ‘Lino e chissà con quali testi faremo a testate.
    Credo che vedremo un segnale di cambiamento nel Belpaese quando i nostri figli – ed il sottoscritto come altri adulti – saranno il pubblico di cartoni animati italiani nel solco degli americani Gumball, Vlarence e Steven Universe , ma anche i Simpson , in cui i modelli di famiglia tradizionale sono superati. Mai la fine.

  3. Cara Loredana,
    a mia figlia in prima elementare è capitato anche di peggio.
    Copio di seguito il dettato che fece la maestra: “La mamma di Bertino va a fare un giro nel bosco da sola. Il papà e il bambino sono a casa. La mamma cade su due sassi. Il papà e Bertino la curano e decidono di non mandarla mai più in giro da sola. Da allora succede che davanti al Bambino e al Papà c’è sempre la mamma”.
    Nel dettato c’era tutto: la mamma che decide di andare da sola nel bosco, luogo noto di perdizione interdetto alle brave ragazze sin da tempi immemori (Cappuccetto Rosso docet); la sua caduta su due sassi (non uno; due! e l’immagine non può non ricordare un simbolo fallico).
    Quello che mi colpì era che la storia era piaciuta molto ai bambini e che io ero stata uno dei pochi genitori ad arrabbiarsi .
    Abbiamo ancora tanta strada da fare !

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