BookCity è andata molto bene, a quanto sembra. Anche Scrittori in città è andata molto bene, a quanto ho visto: incontri con il tutto esaurito, pazienti code di spettatori per entrare nelle sale o in teatro, attenzione, calore, domande.
Dunque, cosa c’è che non va? La sovrapposizione, tanto per cominciare: perché nello stesso week end c’era anche L’altra metà del libro a Genova, Scriba a Bologna e il Festival delle letterature adriatiche a Pescara, più altre manifestazioni letterarie sparse per la penisola. Benone, si dirà: più siamo, meglio è, e semmai il problema si pone per gli ospiti che si precipitano da una città all’altra, o per chi deve dare notizia dei festival e rischia di trasformare un racconto nell’elenco del telefono. Gli spettatori, invece, ricevono un’offerta adeguata nella propria città.
Verissimo. Però a BookCity sono stati diffusi dati dove si evince che nel terzo trimestre 2012 le vendite dei libri sono crollate (meno 13%). E credo che sia più che legittimo il dubbio che mi ha posto un bravo e coraggioso editore in quel di Cuneo, passeggiando verso una cioccolata calda: non sarà che chi frequenta gli eventi e gli incontri con gli scrittori si accontenta dei medesimi e non ritiene di dover comprare e leggere i libri di cui si è parlato? Non sarà che i festival rischiano di diventare, alla lunga, un boomerang?
E, aggiungo, non sarà che a questo va ad aggiungersi quanto sostiene Philp Roth? Il quale dichiara al New York Times: “il pubblico dei lettori si sta esaurendo. Questo è un fatto, e lo sto dicendo da 15 anni. Ho detto che lo schermo ucciderà la lettura, ed è vero. Prima lo schermo cinematografico, poi lo schermo televisivo, e ora il colpo di grazia, lo schermo del computer”.
(Non è un male, non è l’apocalisse, insisto: è una mutazione. Forse varrebbe la pena di rifletterci).
philip roth potrà aver ragione per il futuro, per il presente ha detto una cosa completamente sbagliata: cinema e tv se hanno avuto influenza sul numero dei lettori, l’hanno avuta in maniera positiva. se ci fermiamo all’italia, dagli anni 60 a oggi il numero dei lettori è aumentato in maniera continua. e negli Usa pare leggano almeno un libro l’anno il 70 per cento delle persone, non credo che prima di cinema e tv stessero meglio.
poi un giorno uno si sveglia, legge un post di massimo 10 righe, e tutto gli appare di una chiarezza disarmante: era ovvio, era lì da anni, come dice roth, lo si poteva intuire, ben prima che dalle statistiche, dal disprezzo e dalla supponenza con cui viene guardato chi legge. non è la congiuntura, non è un fatto ciclico: i lettori sono in via di estinzione. càpita: come quelli che si facevano cucire gli abiti su misura, quelli che facevano i fioretti o i digiuni rituali, quelli che si macinavano il grano in casa. il mondo sopravviverà, senza.
peccato che quel giorno sia lo stesso in cui uno abbia deciso di non farsi prendere dal pessimismo imperante, di riprendere a battersi per fare il giornalista, per migliorare il blog, per costruire impalcature narrative, insomma per scrivere. ma scrivere per chi?
vado a cercarmi un corso per sceneggiatori di videogame (ma si dirà così?)
@ dario de marco
scusa se te lo dico, ma mi sembri davvero pessimista e poco lucido. la lettura da anni viene propagandata, in tutte le salse, il libro è un feticcio, gente che non legge compra comunque libri per far vedere che legge, perché si sente in soggezione anche, perché oggi “leggere fa bene”. i videogiochi al contrario sono disprezzati, sono considerati nocivi, sono una cosuccia divertente ma in fondo stupida. un genitore che acquista un libro per un figlio si sente bravo, se acquista un videogioco si sente in colpa, un compromesso necessario.
il fatto è che i videogiochi sono di gran lunga superiori a qualsiasi libro, quanto a emozioni e coinvolgimento. però i libri hanno qualcosa di diverso, per questo si continua a leggere.
Può essere che ci sia la tendenza a fruire dei contenuti di un libro, assaporandone i concetti e le anticipazioni durante la presentazione, per cui poi la lettura vera e propria diventa un approfondimento considerato non più necessario. Poi magari si parla della conferenza, non del libro in se, quindi in effetti il libro sta diventando un’altra cosa.
L’oggetto libro, le sue parole, la sua lettura da soli, non bastano più. Siccome spesso un libro crea una catena bellissima e infinita di altri libri per allargare quellla narrazione che ci è piaciuta, può essere che oggi ci si senta più sazi, e la ricerca si esaurisca già nei tanti concetti toccati dalla presentazione. Dovrebbe essere il contrario, eppure la sensazione di sazietà in alcuni casi è quel che si prova.
la penso come il “bravo e coraggioso editore”: i festival sono molto frequentati, ma le librerie, forse, meno. Succede qualcosa di simile con le grandi mostre d’arte: eventi che “piacciono” e “soddisfano”, ma poi si passa alla mostra seguente…
Roth è Roth, e amo la sua capacità di lettura cinica (anche nei suoi meandri più rassegnati), e devo dire che il passaggio “di schermo in schermo” l’ho visto su di me, che pure sono lettrice fortissima. La capacità narrativa del cinema e della tv si è decisamente alzata, e ormai – a parte i soliti autori – anch’io mi trovo a preferire serie tv ben costruite a libri narrativamente mediocri (dalla notte dei tempi la retorica è il fondamento della comunicazione, non c’è niente da fare: il “come” è importante tanto quanto il “cosa” si dice, anzi a volte conta di più).
La nostra umile opinione suffragata anche dalle recenti ricerche del CENSIS è che siano internet da una parte e la telefonia mobile dall’altra, che stanno uccidendo la lettura, ma non ovunque. In Italia senz’altro. Questo è il paese in cui più di tantissimi altri si fa un uso compulsivo delle tecnologie di comunicazione. Si telefona compulsivamente, si chatta compulsivamente, si sta su Facebook compulsivamente. Non è così né in Francia, né negli USA, né in Germania o tanti altri paesi dove infatti la percentuale dei lettori in proporzione alla popolazione è di molto superiore. Prova (autobiografica) ne sia che anche in un pomeriggio di pioggia – come quello di ieri – in teoria perfetto per un buon libro, sempre più spesso occorre un certo sforzo di volontà per spegnere il computer e mettersi a leggere.
Non mi convince la tesi dello schermo che uccide il libro.
Sarò in controtendenza ma la stragrande maggioranza delle persone che conosco legge (e molto!) e non per questo non usa internet o non va al cinema.
Ma sono di una generazione di mezzo, forse per i 15-30enni è diverso.
Penso che Federica dica una cosa importante. Peerò qual’è la ragione per cui succede questo? Forse perchè nel solito ‘altrove’ la lettura è stata incentivata da più tempo, fin da quando si è cercato di colmare il gap di istruzione del dopoguerra, e meglio che da noi. Perchè c’è più attenzione per ciò che fanno i bambini e i ragazzi. Forse perchè la lettura è ed è stata considerata un modo per conoscere per molto più tempo che da noi. I computer (che poi servono anche a leggere libri!) sono arrivati dopo, non prima!
@ paola di giulio
ma l’italia rispetto ai paesi presi in considerazine ha sempre avuto percentuali complessive minori. se andassimo ad analizzare i dati anno per anno potremmo ( oppure no, non conosco i dati degli altri paesi ) scoprire che da noi in certi anni la lettura è aumentata più che in altri paesi. per cui non è che prima stavamo come gli altri, e poi con internet e telefonini siamo regrediti. i lettori italiani sono continuati ad aumentare nonostante la diffusione del web. per cui se è vero che stiamo togliendo tempo alla lettura per stare sul pc, al momento non possiamo dire che ciò avviene solo in italia, basandoci sulle percentuali.
Non è tanto per stare sul PC per lavoro ecc., quanto per stare ‘connessi’. La differenza sta proprio nella compulsività della connessione, che crea enormi disturbi di concentrazione. Non riesco a leggere un libro se sto sempre col pensiero al messaggio che mi deve arrivare, alla chiamata, al commento dell’amico sul post, ecc. Prima del cellulare, potevi passare un pomeriggio a leggere e quante telefonate ricevevi? Due, tre a esagerare proprio. Oggi la rete di relazioni nostrana si è moltiplicata a dismisura, e aggiungiamoci che si basa tantissimo sul controllo reciproco, peraltro, e che non è così proprio in tutte le culture, vivaddio. A mio parere questo è un motivo molto serio per cui la lettura è in crisi. Stiamo vivendo un enorme disturbo collettivo di concentrazione, che ovviamente affligge in primo luogo le giovanissime generazioni e non perché sono ‘native digitali’ (espressione priva di significato da un punto di vista umano) ma perché ricevono questo tipo di educazione d’entrata, dagli adulti che li circondano.
Cercavo di dire che è una questione culturale, nel senso di cultura diffusa, quella che ha creato ad esempio una buona base di lettori di giornali, oltre che di libri. Una base di alfabetizzazione duratura. Non è che siamo regrediti con le nuove tecnologie, casomai non le utilizziamo abbastanza, e tendiamo a farne un feticcio. Come se avessimo saltato a piè pari qualche fase importante della ‘acculturazione’ insomma.
Io invece credo che le usiamo troppo, e molto male. In modo compulsivo e quindi disturbante per attività che richiedono un altro tipo di concentrazione.
sì, ma perché ne fate una questione che rigurda l’italia?
Federica, esiste un divario digitale ancora – anche se non è percepito nelle grandi città. Abbiamo accumulato ritardo nell’uso pratico di internet, per un sacco di cose temo. Anche questa è una ragione per la compulsività attuale. Telefonini e pc sono stati considerati fin dall’inizio (anche) un feticcio, non solo una buona opportunità, e fa parte del quadro. Ma temo sia un discorso molto largo e molto lungo. E coinvolge famiglie, educatori e alla base per me c’è sempre un tipo di cultura digerita troppo di corsa e male. E che non ha nemmeno raggiunto tutti.
Cari commentatori, ma di cosa stiamo parlando? La lettura di un libro non ha di per sé una superiorità culturale rispetto ad altre forme di intrattenimento, qualora appunto si parli di intrattenimento. L’equivoco è stato generato da una riuscita trovata di marketing per cui si è fatto credere che “leggere sia sempre un’attività culturale e positiva” senza distinguere tra leggere delle schifezze per decerebrati a fini di sostituzione del sonnifero rispetto al prodotto di qualità. Leggere per leggere non ha pregi. Inoltre leggere un saggio scientifico è finalizzato alla consocenza. Leggere romanzi è puro intrattenimento. Se poi non si leggono gli Hugo ma le James, la lettura diventa addirittura un minus, un’attività negativa, un’autolesionistica perdita di neuroni. Detto senza snobismo, sia chiaro.
Non mi verrete a dire che quando le vendite andavano meglio i lettori (e le letture) erano migliori di oggi. Per favore, non diciamo bischerate. La quota di lettori di qualità non ha fluttuazioni rilevanti. Comprendo benissimo che per chi vive di romanzi l’equazione + libri.venduti= +.spazio.per.me sia la bussola. Ma non si può chiedere a un lettore in cerca di intrattenimento e svago, tanto per passare il tempo e obliare la noia, di rivolgersi al libro oggi pià di quanto potrebbe trarre un godimento maggiore e pià accessibile rivolgendosi ad altri medium.
Lipperini, prenda pure il polso quotidiano al settore editoriale. Si chieda pure se le fiere, le conferenze, gli incontri abbiano mai favorito il medium libro, l’educazione del lettore oppure siano uno stipendificio per chi vi partecipa. Ma prenda atto che il morto è già sotterrato, il certificato di morte già archiviato. Non stiamo parlando di un moribondo e di quale terapia adottare per curarlo. Stiamo parlando di una mummia e di un passato ormai remoto.
Paola, sì sono d’accordo su questo, credo sia vero ciò che scrivi… senz’altro può esserci una correlazione fra il gap tecnologico e l’utilizzo compulsivo, di sicuro alla base c’è una tendenza all’utilizzo molto poco ragionato e consapevole. Sarebbe interessante se si conducessero studi su questo, per capire come siamo cambiati nel corso dei decenni, in relazione all’utilizzo delle varie tecnologie di comunicazione.
uno schermo ucciderà la letteratura così come la conosciamo, certo. Oltre ai tanti problemi di efficacia e qualità del messaggio letterario di questi tempi abbiamo anche il problema del costo: chi può permettersi 20 Euro al mese in cambio di mezzo chilo di carta? Pochi, perchè fa 200 circa l’anno.
Secondo me, oltre a intercettare i nuovi bisogni di lettura, occorre ritarare il prezzo, di un fattore intorno al dieci, modificare la catena del valore di un business in declino e promuovere molto di più, e in modo più attraente, anche al dì fuori del mercato captive costituito dagli eventi.
È un dibattito molto interessante che mi incuriosisce sempre perché trovo che ci sia una certa schizofrenia (in senso buono) interpretativa: da una parte siamo perennemente scoraggiati da quella che ogni giorno ci pare la morte sempre più certa del lettore; dall’altro se andiamo a guardare i festival letterari, c’è sempre il tutto esaurito e entusiasmo, e non penso che ai festival letterari ci vadano soprattutto non-lettori.
Poi certo, ci si affida anche alle statistiche: se sappiamo che si vendono meno libri, un motivo ci sarà (può essere anche la crisi incontestabile): però occorre anche dire che “meno vendite” non vuol dire “meno lettori”, perché va contestualizzato il momento storico. Io per esempio ultimamente compro pochissimi libri per ragioni economiche, ma sto leggendo anche più di quanto mi sia mai capitato, perché ho a casa un sacco di libri da leggere accumulati nel corso degli anni. Secondo me c’è un vizio di fondo: ossia applicare alla categoria del lettore il filtro utilizzato per gli altri consumatori; se si vendono meno saponette probabilmente ci sono meno utilizzatori di saponette perché sono prodotti estemporanei. Ma se per un certo periodo si vendono meno libri, non è detto che ci siano meno lettori.
Ne avevamo discusso, scusando la citazione, in un articolo che vi linko:
http://www.criticaletteraria.org/2012/05/criticalibera-in-italia-non-si-legge-la.html#more
Molto d’accordo con Pier, anche perché i lettori forti non sono necessariamente ricchi. Ma esistono le biblioteche pubbliche e lo scambio di libri tra amici.
Ecco, finalmente, l’uovo di Colombo.
Medium is message (lo dicevano cinquant’anni fa) ovvero la rassegna letteraria è il prolungamento dello “struscio”, come i Festival della Filosofia e simili. La psicologia del lettore forte è tutt’altra da chi affolla questi eventi mondani o le pagine Fan dell’autore su Facebook. Il libro è un oasi di tempo dilatato, rubata allo scalpiccio frenetico della vita corrente: basta essere dei lettori forti per saperlo. Chi è il lettore forte? Quello che preferisce sempre un libro a un salotto. Non è un problema di valore: anche la socievolezza ha le sue necessità. Ma piantiamola di confondere il latte e la neve solo perchè tutt’e due sono bianchi.
Pier, in Italia ci sono stati da un anno all’altro 700mila lettori in meno. E per lettori si intende chi ha letto almeno 1 libro in un anno. Oggi legge almeno un libro l’anno meno del 50% della popolazione italiana. Negli USA è il 78%. (http://bit.ly/10e4QsC)
E’ stato citato Philip Roth, a memoria si può anche citare Vargas Llosa. Il problema della televisione ed ancor più del web è che hanno portato con se la spettacolarizzazione della comunicazione, e con essa la sua riduzione ai minimi termini sia quantitativi che di significato. Non e’ che i programmi televisivi o i videogames siano fatti male o non siano emozionanti, è che sono fatti per essere subiti in maniera semplice e passiva, e ci stanno disabituando alla fondamentale capacità di pensare in maniera complessa.
@ Paolo E.
i videogames fatti per essere subiti in maniera semplice e passiva?
@Federica
700mila lettori da un libro all’anno, Federica, vuol dire che sono lettori occasionali e come sono stati persi, l’anno successivo potrebbero essere riguadagnati col prossimo best-seller; per cui la vedrei come una fluttuazione forse fisiologica. Riferendosi ai lettori forti o comunque abituali, penso che possano spendere di meno, ma non scomparire o crollare di botto. Se a uno piace la lettura, non smette di leggere all’improvviso.
@Paolo E.
I videogames a mio parere sono l’antitesi della passività. Ce ne sono alcuni che durano centinaia (!) di ore e hanno profondità narrative insospettate che durano per mesi. Dipende sempre da quanto li si conosce: se lei si riferisce a un semplice gioco platform in FlashPlayer dove devo sparare ai piccioni, può anche aver ragione (esistono tanti giochi scemini che sono solo intrattenimento); in altri casi, sono molto più interattivi e stimolanti di film o serie tv.
@Pier @+
Senza nessuna pretesa di togliere valore a chi è appassionato di videogames, parlo solo per me.
Per passività intendevo quella dell’immaginazione, non certo per risolvere la narrazione che, come giustamente dite, dura centinaia di ore. ma per dire, la fisionomia del protagonista è definita a priori e non viene lasciata al fruitore la libertà di crearsela nella propria mente, la caratterizzazione dei personaggi è fatta soprattutto di azioni e non di pensieri, tutto è molto più aggressivo in termini di tempo e vividezza delle immagini (che sono sia visivamente che auditivamente molto forti).
A causa di tutto questo, la fruizione di un videogame rispetto ad un libro mi sembra quando va bene meno profonda, quando va male parliamo di passare ore a sparare ai piccioni (bella immagine! :))
Paolo, dal punto di vista dell’immaginazione certamente, ma appunto sono due prodotti che si completano. il videogame non deve farti immaginare una storia, te la fa vivere. faccio un esempio: non sono un grande appassionato di videogiochi, ma mi piace l’horror. nel libro o nel film horror hai paura con per il personaggio in pericolo. nel videogioco hai paura per te stesso, e l’effetto è straordinario, molto più potente.
Ahimè, temo che sempre più questi festival vengano vissuti, fruiti consumisticamente: vi sono quello del pensiero, quello della storia (beh, quelli), quelli della letteratura, quelli della poesia etc. Pieni di pubblico, sì. Che è sempre poca cosa rispetto al resto della popolazione in grado di leggere. Sempre che quel pubblico sia davvero interessato alla lettura e un po’ meno all’evento, in certo senso mondano, a cui partecipano personaggi famosi di cui “in qualche modo qualcosa abbiam sentito dire e qualcosa abbiam letto”.
Sul fatto che lo schermo uccida la lettura, è in corso da tempo un dibattito serrato (cito tra tutti il bel saggio di R. Simone, “La terza fase”). Certo che a forza di guardare immagini e leggere sempre meno la scrittura alfabetica, ci si ritrova poi con troppi studenti che sempre più fanno fatica a scrivere a mano (stanno proprio disimparando, e negli USA studiosi di tale fenomeno si sono già accorti del danno che questo comporta), a leggere a lungo e con la giusta concentrazione, a seguire lo svolgersi lineare del pensiero veicolato da una scrittura alfabetica; in sostanza, a capire a fondo quel che leggono. E’ certamente in atto una mutazione, ma quando sempre più studenti hanno difficoltà a scrivere e costruire un testo con logica consequenziale, perché troppo abituati a “saltellar” da un argomento all’altro senza obbligati passaggi logici e capaci solo di procedere per libera associazione di idee… la preoccupazione c’è. Sta di fatto che gli studenti migliori continuano ad arrivare da ambienti in cui ancora si educa alla vecchia logica, che tanto è favorita dalla capacità di lettura consequenziale imposta dalla scrittura alfabetica.
Guardare, saltar di palo in frasca e di link in link e di programma in programma a piacimento e senza alcun ordine logico, non si vede ancora in quale professione possa poi tornare utile .
@Paolo E.
Be’ Paolo, su quello siamo d’accordo e neanche io lo metto in discussione: ossia il valore superiore del libro in quanto a “profondità”: io il libro comunque lo intendo “superiore” anche al resto, sia cinema o fumetto o quant’altro. Ma tutto si relativizza comunque entrando nel particolare, perché ci sono alcuni videogiochi comunque più “profondi” di alcuni libri.
Dall’altro lato, però, non sono neanche sicuro che sia giusto farne un confronto: sono ambiti di espressione (artistica o meno, dipende ovviamente dai casi) molto differenti e non mi piace scegliere o mele o pere.
Breve appendice: taccio sui molti corsi di scrittura creativa che tanto vanno di moda, nelle scuole e non. Laddove capita purtroppo di rendersi conto che la scrittura creativa viene confusa con l’improvvisazione spacciata per creatività, che è tale veramente quando, partendo dalla conoscenza di certe regole e certe tecniche, le infrange consapevolmente. Ma non è tale quando in suo nome viene contrabbandata l’improvvisazione a briglie sciolte. Dico questo perché troppi ragazzi vengono diseducati, fin dai primi anni di scuola, da temi liberi e testi spacciati per “creativi”. Il risultato di tutto ciò sono poi studenti (e futuri cittadini) incapaci di costruzione logica di un discorso. Con tutto quel che ciò può comportare.
@Pier: gli ambiti di espressione sono appunto diversi ed estremamente necessari a seconda delle situazioni, ma proprio di questo si sta parlando, come anche il post di Anita sottolinea. Che a fianco di una cultura spettacolarizzata dalla televisione ci sia una fruizione sempre più importante di comunicazioni di nuovo genere finisca col rendere le persone incapaci di affrontare un testo scritto o comunque di seguire lo sviluppo di un discorso complesso ed articolato. Le terribili difficooltà di degli studenti che ho in famiglia (tutti forti fruitori di videogames e di social networks) a preparare una lezione di materie umanistiche o ancora peggio a scrivere un tema lo dimostrano.
forse noi lettori così appassionati non lo siamo stati abbastanza da trasmettere il vizio come un’infezione fino a trasformarla in pandemia.Ma siamo sempre in tempo(con la complicità degli addetti ai lavori)
http://www.facebook.com/notes/im-losing-my-fucking-mind-vol5/durante-un-incendio-nella-foresta-mentre-tutti-gli-animali-fuggivano-un-colibr%C3%AC-/247491771953001
Non penso che il festival della letteratura limiti l’acquisto dei libri. Al festival della letteratura vanno lettori, che di solito divinizzano un po’ troppo quello che leggono. Non si va a pupparsi un pallosissimo festival se non per gesto di devozione, affetto o status, ma lo status che si acquisisce mediante lettura. Penso piuttosto che la folla dei festival crei un’illusione ottica, come se vedendo tante persone dentro a un ascensore, si possa statisticamente inferire che c’è piazza del popolo piena.
No, i lettori so tutti li e fuori nc’è nessuno.
Trovo interessanti i dati di federica. Sono più preoccupata però per quello che internet fa all’artigianato della produzione artistica in genere che per le eventuali mutazioni di costume. Sto un sacco in rete, eppure il tempo di leggere lo trovo. Ma se vi dicessi che ho 50 romanzi nuovi di pacca per i quali non ho speso un centesimo? Il kindle è la iattura. Altro che facebook.
@zaub, kindle e’ il futuro, altro che iattura 🙂
come no, della roba vecchia, poi quando nessuno pagherà per comprare ne riparliamo. Nessuno sta gia pagando e quindi per l’esempio l’industria musicale è in ginocchio.
non per polemizzare ma la notizia è che non ci sono più soldi per ciò che non è strettamente essenziale. Nessuno, tranne i grandissimi, può più permettersi il lusso di scrivere e comporre come mestiere, perlomeno devono scrollarsi di dosso elementi di costo che essenziali non sono e con l’arte non hanno niente a che fare, tipo i supporti fisici come la carta, gli intermediari come editori, distributori e parassiti vari.
Ci sarà sempre qualcuno disposto a pagare per l’arte, pagata però al peso netto.
io ho l’impressione che la lettura non sia mai stata così importante e diffusa. leggono tutti e in ogni luogo: in autobus, sulla metropolitana, al bagno, nelle sale d’attesa. ciò che angustia alcuni è che ciò che si legge non sono solo libri, ma giornali, riviste, fumetti, blog come questo e quant’altro. lo stesso verbo “leggere” viene ora applicato a un sacco di cose all’apparenza non pertinenti. si legge un quadro (e vengono chiamati testi figurativi), una stoffa, un dibattito politico, forse perché quella necessità non è mai venuta meno, e questo secondo me è un dato positivo.
“Il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in italiano di media difficoltà: il 5% non è neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell’analfabetismo, un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello. Non più del 20% possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana. Ce lo dicono due recenti studi internazionali, ma qui da noi nessuno sembra voler sentire”.
Tullio de Mauro
giorgiap – la polemica va fatta, scusa l’arroganza con i mezzi a disposizione.
1. I libri non sono solo di arte – molti libri sono di ricerca, sono un lavoro, e l’arte stessa quando riesce bene è l’esito di un’artigianalità che merita di essere retribuita.
2. La produzione del libro ben fatto implica una serie di professioni che solo la struttura editoriale può offrire, la carta è la questione meno grave: ci sono i correttori di bozze, ci sono gli editor, ci sono i traduttori. Se compri un libro minimum fax ci sono i titoli di coda e vedi i nomi di tutte le competenze che sono state necessarie per mettere insieme quel volume. Quindi dire che l’editora è inutile è una stronzata. Scusami la franchezza.
3. Ma quello che ti sto dicendo- è che allo stato attuale internet fa si che la gente disposta a pagare per l’arte sia sempre di meno. Perchè mio marito ha trovato 4 versioni diverse delle variazioni goldberg e se le è scaricate tutte, perchè io come dicevo mi sto leggendo l’ira di Dio di romanzi a gratis. E se è sempre di meno vorrà dire che potrà contare sempre più su prodotti vecchi ma non su prodotti nuovi, perchè l’industria culturale non avrebbe finanziamenti su cui investire. Case discografiche hanno chiuso per questo discorso. Persone perdono lavoro.