STANZE VECCHIE E NUOVE

E’ andata così. Tra ieri e stamattina, in preda ad
un raffreddore solenne e dividendo l’unico braccio fra libro e fazzoletti di
carta, ho letto Stanza 411 di Simona Vinci. Che, come giustamente
ha raccontato l’autrice, non è un romanzo, ma “una via di mezzo tra l’
epistola, genere ormai molto poco usato, e un trattatello: è una riflessione
sull’ amore, sul tempo. E, soprattutto, sul corpo”. Vero. E’ un testo
straordinariamente tattile, e doloroso. Che si parli d’amore, o meglio, che si
percorra l’arco della nascita e del dissolversi della storia fra un uomo e una
donna, è alla fine quasi secondario. Almeno, rispetto al lento interrogarsi sul
cos’è di un corpo di donna: quanto e come è possibile controllarlo,
quanto risponde all’idea di se stesse (alla propria identità: quella che
Nothomb, per dire, fa coincidere con il nome), quanto sia desiderabile o
viceversa terrorizzante l’illusione di fonderlo con un corpo altro. Per farla
breve, ci ho ritrovato l’attenzione e il piacere di levigare le parole (con la
stessa “lucidità astratta” che la voce narrante riserva alle proprie braccia,
gambe, viso prima di incontrare per la prima volta un amante) del primo
racconto ascoltato da Simona Vinci, Cose, che molto dopo sarebbe finito
nella raccolta In tutti i sensi come l’amore. Mi sono ricordata dove
Simona aveva letto il racconto medesimo, a Reggio Emilia, Ricercare,
maggio 1997. E così, per curiosità, mi sono andata a ripescare la cronaca che
ne derivò per il quotidiano. La posto, perché, come si vede, ci sono questioni,
e passioni, che cambiano di poco anche con il passare degli anni.

“Allora, cosa ci si aspetta da un articolo sui giovani
scrittori? Probabilmente che rimanga nei dintorni del "Cannibali un anno
dopo", soprattutto se l’ ambientazione è quella di "Ricercare",
il laboratorio di Reggio Emilia dove, esattamente dodici mesi fa, sbocciò la
maliziosa contrapposizione che ha tenuto banco fino ad oggi (vale la pena di
ricordarla? buonisti contro cattivisti, scrittura pulp contro scrittura bianca,
etc.). Per essere precisi, ad attendersi una nuova fioritura polemica sembrano
essere alcuni dei grandi padrini della Nuova Ondata letteraria: parte, cioè, di
quel Gruppo ’63 che fu il primo destinatario di "Ricercare", nato
quattro anni fa con intenti commemorativi (era il trentennale del gruppo
stesso) e trasformatosi via via in efficace talentificio grazie ad una formula
di avanguardia collaudata (selezione di nuovi testi e lettura pubblica dei medesimi,
seguita da discussione). La sensazione, insomma, è che mentre la maggior parte
degli autori (esordienti, famosetti o decisamente celebri) si dimostra
fieramente avversa alla sola evocazione del termine pulp (per non parlare del
cannibalismo), i loro scopritori e sostenitori non intendano rinunciarci. Se n’
è avuto un esempio lampante nel dibattito seguito, ieri mattina, alla lettura
di un testo di Mauro Covacich, salutato da Renato Barilli con l’ esultante
constatazione che il pulp non è soltanto un’ invenzione dei giornalisti
(peraltro caldamente sollecitati in questo senso) e poi difeso da ogni
ulteriore incasellamento dagli scrittori Scarpa e Renello, a loro volta
rimbeccati da Angelo Guglielmi. La rivolta dei figli contro i padri? Non è
esatto neanche questo: perché se c’ è davvero una caratteristica comune a
questi scrittori (che non hanno mai inteso proporsi come gruppo, ma semmai si
sono ritrovati come affini) è quella di non cercarli affatto, i padri. Peccato,
comunque, perché a forza di polveroni si rischia di perdere di vista quello che
è il vero punto di forza di Ricercare: i testi, mai come quest’ anno arrivati
in gran numero e di qualità sorprendentemente alta. Dice Nanni Balestrini che è
come se si fosse aperta una diga, come se si fosse trovato un territorio
linguistico comune fra nuovi scrittori, aspiranti tali e semplici lettori. Di
fatto, è qui che le case editrici trovano e lanciano i loro prossimi pupilli: è
accaduto ieri con Lello Voce, che ha raccontato le ore di un tossicodipendente
in Un onesto baratto, è accaduto venerdì con quella che sarà probabilmente la
prossima star dell’ autunno. Ovvero Simona Vinci, milanese, 27 anni, laureanda
in Lettere: a Ricercare ha letto un racconto, Cose, che ha strappato il più
entusiasta degli applausi. Si parlerà anche di veneti: perché sono presenti in
gran numero e perché almeno uno di loro è destinato a suscitare discussioni. E’
Marco Franzoso, nasce a Dolo, provincia di Venezia, e per il suo primo romanzo
(La grande stagione di Westwood dee-jay) ha scelto il dialetto veneto: o
meglio, la trasposizione letteraria dell’ italiano in Veneto. Ma attenzione
alle generalizzazioni: e guai ad annunciare che la prossima stagione sarà all’
insegna del trainspotting nostrano, o sarà regionalista, o che avanzano le
cannibalesse. Perché la realtà è decisamente diversa, e le personalità dei
presenti non sono omologabili: anche se, certo in comune qualcosa c’ è. La
lingua, la sua riscoperta e rivitalizzazione, direbbe Balestrini, e con lui gli
altri gran patron che presenziano al laboratorio e che analizzano la Nuova
Ondata nel primo numero della rivista La Bestia, che raccoglie le teorizzazioni
dei presunti padri e le narrazioni di presunti figli. Ovvero gli Ammaniti, i
Caliceti, i Nove, le Santacroce, che in un anno si sono sentiti interpellare su
ogni possibile argomento, dalla crisi della coppia alle scarpe (è capitato, e
non è una barzelletta, proprio a Tiziano Scarpa). Loro, l’ anno scorso, erano
sul palco a leggere. Questa volta sono in platea ad ascoltare e commentare.
Tranne Isabella Santacroce, che è rimasta a casa. E Aldo Nove, che ambienterà
la propria opera seconda a Santo Domingo, e allora ha preferito recarsi sul
posto, comme il faut”. (da La Repubblica, 18 maggio 1997)

2 pensieri su “STANZE VECCHIE E NUOVE

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