STORIE DI CONCORSI

Ho conosciuto Fabrizio Funtò quando era direttore artistico di Virtuality, dieci anni fa. Lo ritrovo via mail. La mail, che pubblico con il suo assenso, è quella che segue: una mail molto amara, che riporto senza commentarla.
Esce il concorsone per gli insegnanti. Tutte le materie, anche informatica.
Ho una vetusta abilitazione e qualche merito in filosofia, laurea con 110. Ho pubblicato un paio di libri con Laterza, uno ha fatto scalpore. E’ l’unico libro di Ludwig Wittgenstein pubblicato in italiano in originale. Si tratta dei “Diari Segreti” del Filosofo, appuntati durante la Prima Guerra Mondiale sullo stesso taccuino su cui Wittgenstein, sulle pagine di sinistra, appuntava il suo celeberrimo Tractatus Logico-Philosophicus. Ne hanno parlato le riviste di filosofia di mezzo mondo, una nuova corrente interpretativa del suo pensiero ― grazie a giovani ricercatori ― si è fatta strada sfruttando anche questo lavoro e ai contrasti che ebbi con i propugnatori dell’interpretazione ufficiale, autonominatisi eredi del suo pensiero. L’Espresso mi ha dedicato dieci pagine di scoop, ne hanno parlato dappertutto, da Lucio Colletti a  Deleuze, per la verità non sempre bene, ma è naturale. Mi è stato chiesto di scrivere paginoni interi su riviste e quotidiani, per spiegare la mia posizione interpretativa.
Sono ovviamente anche stato intervistato da molte televisioni, tutte straniere. Il testo pubblicato era in codice, ed anche sulla mia decodifica  hanno scritto e continuano a scrivere. Non solo: il Tractatus è noto per avere una numerazione particolarissima delle frasi, ed anche su questo ho dato un contributo guidando il ricercatore che ne ha svelato la struttura interna, trasformandolo in ipertesto ed usando i numeri come link: il primo ipertesto nella storia dell’uomo, 70 anni prima che gli esseri umani parlassero di ipertesti. Quindi incomprensibile.
Ci ho lavorato all’epoca moltissimo, dopo una tesi teorica su questo filosofo e su Hume, in comparazione. Insomma, il mio piccolo contributo alla filosofia credo di averlo dato. De Mauro, il mio professore di tesi, mi chiamava “l’atipico”, ero fuori dalle categorie normali.
Non ho mai fatto concorsi, se non quello abilitante all’epoca. Decido di andare a vedere cosa succede, sportivamente. Mi preparo. Classi di concorso: 036-037 (filosofia e pedagogia + storia per licei) e 043-050 (italiano e materie letterarie alle medie).
Ho insegnato 5 anni in un liceo sperimentale, ma il fatto risale al 1985, mi sento anzianotto. Comunque non viene valutato. Le pubblicazioni si, se si superano le prove, danno punteggio.
E ci vado. Anzitutto il test informatico, che elimina la maggior parte dei candidati. Difficile non superarlo, soprattutto se si sono effettuati i test preparatori sul sito del Ministero: basta andare a memoria. Ma non tutti hanno internet. I ragazzi sono poco preparati, zero in informatica.
E si arriva agli scritti. A mano. Solo in corsivo, non in stampatello. Solo con la penna nera o blu, altrimenti ci si identifica. Venti righe a quesito. Non una di più.
Sembra uno scherzo, mi sento in un altro pianeta. Lo scibile è enorme, il tempo e lo spazio risibili. Occorre sintesi estrema.
Compilo tutte le risposte. Sono agli atti. Mi diverto perfino. Argomenti generici e ampiamente noti. Due domande anche su Wittgenstein e il suo ambiente. Penso di aver preso la sufficienza e di poter passare agli orali. Ed è qui che sbaglio: non ho contato il “fattore Italia”.
Le tracce sono: Una sulla Repubblica di Platone, la seconda è un commento su una frase di Kant (commento?), la terza è una chiarificazione sul “linguistic turn” nel ‘900 con esempi. La quarta è come impostare una lezione in classe, a scelta, su Tommaso d’Aquino, Cartesio o Wittgenstein.
Ora, si può essere espertissimi e bravissimi, e prendere il massimo di voti nella materia, come me nella valutazione della Pertinenza e sulla correttezza linguistica. Ma in griglia ci sono altre due vocine, e se non si prende il massimo anche lì, si è fuori. Le voci sono le seguenti:
Completezza, dove si prende 1 se la trattazione è lineare ma scevra di riferimenti interdisciplinari e disciplinari, 2 se i riferimenti ci sono.
Originalità. Non commento. Anche qui 1 e 2. Chi passa con 2 qui, e siamo nel campo dell’arbitrio totale, accede agli orali.
Quindi sono stato bravissimo, con pertinenza massima e correttezza linguistica (in uno dei quesiti ho preso il minimo, ma il compito non è corretto quindi non so quale scorrettezze linguistiche possa aver commesso) ma se non giudicano completo e originale il brevissimo commento di 20 righe, sei fuori.
Mi viene in mente quando ho fatto l’allievo ufficiale: tutti i voti dei 60 esami sostenuti nei 6 mesi di corso andavano a far media con il voto di “attitudine militare”, a insindacabile giudizio del tuo comandate. E oplà, il gioco è fatto. (All’epoca rientrai nel primo decimo, cioè nel 10% dei più bravi che avevano diritto a scegliersi la sede, cosa che puntualmente non avvenne. Mi mandarono a Bracciano, a fare l’istruttore, per il rotto della cuffia.)
Le griglie sono state concordate coi sindacati. Concordate. Di oggettività, di criteri ragionevoli e di possibilità di contestazione quindi neanche l’ombra. Ampio spazio ad arbitrio la raccomandazione, con conseguente divisione dei posti e della torta. La “aggiustata” è oramai diventata legale. Concordata. Non divisiva.
E’ un piccolo spaccato dei mali d’Italia. Non so come i nostri ragazzi possano chinare la schiena e sopportare tutto questo. Se può servire si può rendere tutto pubblico. E’ la vendetta dei mediocri. Ai quali sarebbe giusto dare pubblicità.
Sono oramai sicuro che prendano in giro gli italiani, soprattutto i ragazzi, senza ritegno. I regolamenti, tutti concordati, come le leggi ad personam, servono solo per rendere legale l’abuso, per rendere possibile l’impossibile. Gli intellettuali, chi ha una certa età, hanno il dovere di aprire gli occhi ai giovani, di fare loro toccare con mano cosa non va e cosa è da rifare completamente. E la scuola è l’accademia del nostro futuro.

14 pensieri su “STORIE DI CONCORSI

  1. “Le griglie sono state concordate coi sindacati.” Sbaglierò ma sono convinta che sia una parte del problema. Poi all’università i sindacati non ci sono e si fanno pasticci lo stesso, ma inserire la voce ‘originalità’ in un commento di 20 righe (!) mi sembra tafazziano.

  2. Uh, il caro Funtò – quanto ho sudato sulle sue cose wittgensteiniane. Però che questa fosse la realtà delle cose si sapeva. Ho l’agenda piena di amici ricercatori e studiosi con fior di pubblicazioni che non hanno passato il concorso. Semplicemente, non è fatto per loro – ce ne sarebbero di paragrafi di Wittgenstein adatti a questo caso…

  3. Mi fa male leggere questa mail. è come un sussurro che non sa essere grido. E c’è poco da gridare, perché la verità è che siamo stati venduti. Tutti. Più di una generazione. Dal paese dei sollazzi e dei clan. Mi sono laureato in lettere classiche, e poi ho seguito una specializzazione in Archeologia per poi iniziare un dottorato. Il tutto completamente privo di una finalità lavorativa; è il formarsi estenuato di chi sa di avere poche chance. Non ho partecipato alle varie specializzazioni all’insegnamento perché sapevo quanto stessero all’ombra dell’Accademia e del baronato. Ma nessuno fiatava. La guerra dei poveri, e alcune volte dei mediocri, era in atto. In Lettere si fece la rivoluzione del nuovo ordinamento: far laureare tutti per aumentare i punteggi delle università. Mi sono ritrovato a definire “collega” persone con istruzione liceale (nel migliore dei casi) non certo all’altezza di una istruzione universitaria. Frattanto la scuola dell’obbligo cambiava connotati: la regola della promozione sociale spariva. L’uguaglianza si faceva inesistente. Chi ce la fa ce la fa perché il dopo è assicurato dal portafogli paterno, o dalla non trascurabile capacità di aver mantenuto i contatti (stupido io che credevo servisse un curriculum o dimostrare di essere bravi). In una società lottizzata, la scuola è solo un attributo. Ho sognato per anni dal 2006 un vero concorso. Che valutasse chi era davvero preparato e pronto per stare in classe da chi aveva solo perso tempo all’Università. Non è accaduto. Volevano che fossi abilitato, che poi vuol dire dare 3000 euro e passa di soldi ai baroni per farsi riciclare lezioni inutili e spesso identiche a quelle che avevi già ascoltato a vent’anni. Niente abilitazione, niente possibilità di partecipare al concorso. Sei al dottorato e allora incompatibilità con il TFA. Ritarda che è meglio. Vedrai il lavoro non c’è. Emigra. Vattene! O vuoi davvero aspettare il prossimo concorso. E che concorso poi. Scusate. Ho preso troppo spazio forse. Ma la ferita non è di quelle che si rimarginano. E non sono io ad averla. è il paese. e tra qualche decennio ne vedremo gli effetti catastrofici.

  4. Purtroppo son cose note. La meritocrazia nella scuola e nell’università non esiste quasi. Se si ha fortuna si riesce a entrare (si noti fortuna, non curriculum). E se si è davvero baciati dalla sorte si ha a che fare con colleghi bravi, che stimolano la voglia di lavorare e rispettano le tue specificità. Io ho avuto questa fortuna, ma la meritocrazia non entra nemmeno qui… Si continua a lavorare tanto anche per chi non fa assolutamente niente e lo stipendio a fine mese, aimé, arriva a entrambe le categorie…

  5. pero’, che arroganza!
    la prima metà della lettera per illustrare la propria superiore competenza, dei parametri scelti per dare alla valutazione di se stesso (ovviamente ottima) una patina di oggettività, quindi, di conseguenza, l’inadeguatezza di chiunque altro nell’esprimere una valutazione dell’esterno.
    mi dispiace, ma nessuna selezione di lavoro funziona cosi’. qualsiasi sistema si usi, nel pubblico o nel privato, c’e’ sempre un soggetto deputato ad esprime un suo giudizio che si sostanzia in assunto/scartato. anche nel privato funziona cosi’, ed anche il privato, spesso, usa sistemi deliranti per la selezione (chiunque abbia partecipato ad un gioco di ruolo sa cosa intendo).
    se non si è disponibili (magari perche’ non si possiede l’umiltà necessaria) a subire una valutazione da parte di sconosciuti, allora meglio dedicarsi al lavoro autonomo (se i libri vanno così bene…).
    quindi, che i concorsi pubblici piacciano o no, che si preferisca la chiamata da parte di un singolo responsabile, qualcuno in qualche modo la selezione tra i candidati (tutti ugualmente convinti di essere i più competenti della terra) la dovrà fare, in qualche modo.
    (io non sono di principio contrario alla chiamata diretta anche nella PA, ma la sua applicazione pratica pero’ apre, in italia, scenari facilmente immaginabili).
    oppure la proposta è che al datore di lavoro non sia data la possibilità di scegliersi i dipendenti? che si imponga l’assunzione dei candidati che si (auto)valutano più bravi degli altri, a proprio insindacabile giudizio?
    detto tra noi, io che un po’ di gestione del personale l’ho fatta uno con tutta la presunzione e l’arroganza dell’autore della lettera non l’avrei assunto neanche se regalato. se questa fosse stata una lettera di presentazione per un posto di lavoro per cui avevo la responsabilità di selezionare un candidato questo era un no assoluto, prima ancora di leggere il CV e senza neanche prendere in considerazione un colloquio o una selezione di gruppo.

  6. Secondo me lorenzo fai completamente fuori tema.
    Non si parla di simpatia, ma di come i criteri di selezioni nei concorsi pubblici siano in gran parte al di fuori del merito e del curriculum.
    Tu nella tua impresa puoi assumere con criteri tuoi, nessuno te ne vorrà. Ma lo Stato deve (dovrebbe) mettere in primis il merito.

  7. Cari tutti, caro @lorenzo in particolare: innanzitutto credo che la selezione del personale insegnante della scuola abbia poco a che spartire con la selezione di candidati ad altro tipo di impiego: al di là delle competenze professionali, persino le “doti umane” richieste dall’insegnamento sono del tutto differenti dalle qualità che oggi sono considerate di importanza primaria [faccio un esempio, e spero di non essere fraintesa: nelle aziende spesso viene privilegiato chi è capace nel lavoro di squadra; l’insegnante della scuola secondaria, per quanto facente parte di un consiglio di classe e di altre strutture organizzative che spesso fa sbocciare la parola team sulle labbra di dirigenti scolastici molto aziendalisti, ha il suo terreno privilegiato di relazione con i propri alunni].
    Secondo (insegno sì, ma non filosofia, e non so assolutamente nulla di Fabrizio Funtò né del suo esame): conoscere benissimo il proprio campo è condizione necessaria ma assolutamente non sufficiente per fare bene il lavoro del prof. Conosco decine di plurilaureati, dottori di ricerca e variamente pubblicanti che hanno, dopo decenni di cattedra, fama di prof meno capaci di trasmettere concetti ed emozioni, meno lucidi nel giudizio rispetto a colleghi meno titolati ma più dotati di…xfactor (concedetemelo!).
    Terzo: negli ultimi vent’anni, e il dramma è diventato tragedia dopo la riforma Berlinguer (3+2), l’università (e in particolare le facoltà umanistiche, ahimé) è sempre meno in grado di formare menti pensanti e capaci di pensiero critico, e si è di fatto trasformata in un luogo di formazione para-liceale, spesso parziale e la cui qualità dipende unicamente dagli sforzi e dalle richieste di singoli e sempre più demotivati docenti [prvengo le facili obiezioni: no, non è sempre stato così. Ho visto gente laureata in lettere classiche che non ha mai, dico MAI, tradotto una riga di greco o di latino. venti o trent’anni fa ciò era impensabile anche nella più provinciale delle sedi]. Non ha affatto torto chi scrive che un giovane laureato è (probabilmente) ignorante: dovrà costruire negli anni le sue competenze, visto che è altamente probabile che la sua università non gliel’ha date.
    Quarto: a nessun commissario d’esame è stato detto sulla base di quali parametri doveva valutare. Ovvio che stando così le cose ci siano state disparità e ingiustizie: di chi è la colpa?
    Quinto: a quando un tavolo serio che valuti il lavoro degli insegnanti nel corso della loro intera carriera, e non per dare il voto alla scuola, come si va delineando in questo momento? A quando ua seria riforma del sistema di reclutamento, visto il fallimento su tutta la linea del sistema TFA+concorsone?

  8. quindi la tesi è che i concorsi pubblici siano una porcheria. bene.
    come lo si dimostra?
    un tizio con alta stima di se stesso si pone come unità di misura: io sono il massimo, lo strumento creato per misurare la qualità, se applicato alla mia persona non da’ come risultato il massimo, quindi lo strumento è sbagliato.
    la simpatia non è mia, ma di chi ha selezionato questa lettera come metro di valutazione della qualità di quel concorso pubblico: conosco il tizio, ritengo che sia bravo, non accetto che altri non lo abbiano valutato come tale.
    magari quelli che hanno preso più punti di lui sono più bravi, molto banalmente.
    credo che una discussione sugli strumenti di selezione del personale meriti una riflessione diversa: come si valutano le competenze? come si valuta l’attitudine di un soggetto ad un lavoro (che è diverso dalla competenza nella materia)?
    chi fa le valutazioni? chi è competente nella materia (filosofia), chi è competente nella professione (un insegnante) o chi ha competenze come selezionatore (che potrebbe non essere ne’ un filosofo ne’ un insegnante)?
    come si rendono il più possibile oggettive le valutazioni?
    ecco, queste secondo me sono domande da porsi. in quella lettera io ci vedo solo tanta presunzione, e, se mi posso permettere, anche tanta frustrazione (sono fichissimo ma nessuno mi apprezza).
    per esempio, relativamente al tema della selezione del personale, e dando per scontate le competenze nella materia: un soggetto con un profilo come quello che emerge dalla lettera (ovviamente molto abbozzato) sarebbe capace di lavorare in gruppo? come si comporterebbe in un collegio di docenti? è un soggetto collaborativo o fortemente individualista? la sua eccessiva autostima come lo porrebbe nei confronti della gerarchia? è capace di svolgere i compiti che gli vengono assegnati rispettando il principio di subordinazione che implica il lavoro dipendente?

  9. L’intervento di Funtò mostra una cosa che non c’entra nulla con l’autostima che l’autore ha di sé : l’aleatorietà dei criteri di valutazione. Se ci sono solo due parametri – quantificati in 1 e 2 – il giudizio non può essere ricondotto, anche a credere ai docimologi e alle loro traduzioni della “qualità” in quantità numeriche, a una seria valutazione.
    Aggiungiamo che i correttori del concorsone erano in buona parte docenti cui, per risparmiare (legg: tagli alla scuola pubblica), era stata negata l’opzione dell’esonero dal servizio (traduco: non prendo un € in più del mio stipendio, ma per un anno invece di insegnare faccio il commissario d’esame). Quidi, per una cifra risibile (più bassa di quella necessaria a pagare un supplente) correggevano le prove nell’interstizio tra le lezioni da fare al mattino e le lezioni da preparare per il giorno dopo. Con quale disponibilità di tempo da adattare alla valutazione richiesta, lascio immaginare.
    Aggiungo ancora: questo concorso era una deroga alle norme vigenti, perché imponeva un’ulteriore prova selettiva a chi aveva, secondo le norme vigenti, già passato un concorso selettivo. Quindi si configurava come una lotta fratricida tra aventi diritto, la cui posta in gioco era un accesso limitato e ristretto a diritti che erano di tutti (i concorrenti).
    E qui ci metto anche il carico da undici, come direbbe Fazio: perchè il concorso non è stato bloccato dall’indisponibilità dei docenti tutti di rendersi complici e corresponsabili di una violazione dei diritti? Dov’era il senso della solidarietà dei docenti che hanno dato la propria disponibilità a correggere le prove? Lo vogliamo dire una volta per tutte che le porcherie che passano a discapito non della scuola in sé, ma del futuro del paese, passano perché ci sono sempre dei servi obbedienti disponibili “per senso di responsabilità”?
    Poi, certo, avere un complimento (e magari una cattedra costruita in base ai propri desiderata) dal dirigente è sempre meglio che essere vituperati in collegio docenti mentre i tuoi “colleghi” si voltano dall’altra parte a guardare l’elefante rosa che vola: ma una volta tornati a casa, c’è sempre quell’antipatico specchio in bagno da guardare, e a quello non si può mentire. Neanche quando mostra la faccia di un servo obbediente.

  10. @ lorenzo
    I criteri – o, come si dice quando si parla figo, gli item – che elenchi coincidono con quelli che mi fece vedere un amico all’epoca impegnato nella selezione di un posto da dirigente di un esercizio McDonald. Sintomatico che 2 su 5 richiamino il principio di gerarchia e di subordinazione, non sia mai che il futuro insegnante si permetta di pensare con la prorpia testa e svolgere motivate obiezioni nei confronti dell’autorità. Applicando i tuoi metri di giudizio, dalle tue risposte quale considerazione del mestiere di insegnante emerge?

  11. Dirò la mia esperienza proprio perché in effetti sarebbe difficile dimostrare quello che è evidente (l’arbitrarietà della valutazione):
    non starò a dire chi sono e cosa faccio, solo che ho pubblicato numerosi libri e fatto il professore a tempo pieno in una scuola privata di licei e istituti tecnici e che concorrevo nella classe per insegnanti di Italiano storia e geografia per le scuole medie. Le domande erano semplicissime e io ho dato risposte coerenti e tutte con riferimenti a geografi, storici e letterati.
    La cosa che praticamente dimostra l’arbitrarietà è che in Liguria (dove ho concorso), gli ammessi alla prova orale (su 250 persone circa che hanno fatto los cfirto) sono 25, esattamente come i posti liberi, sicché l’orale diventa pressoché superfluo. Non solo, i 25 che sono passati hanno preso i seguenti voti: 2 hanno preso 30/40, altri 2 29/40, tutti gli altri 28/40. Assurdo! Soprattutto se confrontato con i risultati di altre regioni, dove ci sono numerosi voti sopra i 30 e anche dei 40/40. Insomma, il sospetto è: non abbiamo tempo per fare gli orali, abbassiamo il voto a tutti per lasciar passare solo il numero strettamente necessario. Non ho mai creduto nell’onestà dei concorsi in Italia, ma bisogna avere una prova per sostenere queste cose, per non essere qualunquisti. Per quanto mi riguarda, l’ho avuta.

  12. Rientro in ballo in punta di piedi, visto che per @lorenzo sarei (o sono) il non plus ultra dell’arroganza.
    Non volevo essere io il centro del discorso, anzi il testo lo avevo mandato a Loredana per dare a lei uno spaccato della situazione che avevo constatato da “turista dei concorsi”. Poi lei ha deciso di pubblicarlo così come era, e con pieno diritto. Amen.
    Io ho trascorso la mia esistenza, sono solo andato a curiosare e a vedere cosa succedeva laddentro, come il giornalista che si finge profugo per entrare nei centri di accoglienza. Io sarei da pensione, per intenderci.
    Il problema vero, per me, sono i nostri giovani e il merito, le aspettative deluse e le follie perpetrate con ferocia dalla e nella PA, i meccanismi di selezione col trucco anche laddove si potrebbero fare le cose fatte bene. La criminalità ormai è parte integrante delle nostre istituzioni, e noi non ce ne meravigliamo più, ma ci scagliamo addosso a chi mostra le nudità del re. Non ci sono oasi felici, momenti in cui le cose sono quello che dovrebbero essere: è tutto finto.
    L’Italia, a mio arrogantissimo giudizio, è andata. E’ andata perchè gli italiani credo non siano più brava gente, hanno abbassato tutti gli stendardi e sono diventati corrotti e servi dentro. Nella massima parte canaglie. Et in Arcadia, ego.
    Dico solo che con un gruppo di amici stiamo per fare una mossa a sorpresa, eclatante, a vantaggio (anche economico) dei beni culturali, investendo del nostro.
    Con la speranza che il Paese si svegli, si scuota, e metta inventiva, intelligenza e creatività al servizio del bene comune. Bene comune di cui ho visto fare strame nella scuola.
    Sono padre di tre ragazzi e so quello che dico. Se la scuola è nelle condizioni in cui è, non è solo colpa delle oche giulive elevate al rango di ministre. O dei ministri per caso.
    E’ anche colpa nostra. E quindi ciascuno di noi deve portare un proprio contributo, positivo e gratuito. E chiedere che l’aria sia rinfrescata. E la scuola, insieme alla ricerca dove mi onoro di operare, sono il punto strategico, nevralgico di un Paese. Ma temo che noi non lo siamo più.

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