STORIE DI DEE, PER ASPETTARE IL MATTINO – 2

Condividere significa mettere a fuoco per lavorare in futuro. Questo blog serve anche a questo. Chissà se qualcuno di voi ricorda che nell’estate 2016 ho pubblicato qui i miei pensieri da Lampedusa, e che proprio quei post sono diventati il primo nucleo, il passo d’avvio, per La notte si avvicina. Significa che sto già lavorando a un romanzo nuovo? No, ovviamente, perché ho bisogno di un po’ di tempo per ritrovare le energie, e dopo quattro anni così le energie di scrittura sono bassissime. Però, e questo è un presagio di felicità, ci sto girando intorno, come un gatto che deve trovare la posizione più piacevole per dormire sul divano o sul letto o nel luogo prescelto. Quindi mi aggiro, metto ordine, inseguo. Sperando di regalare un momento di distrazione nei tempi oscuri, la seconda parte, ma non ultima, del mio intervento per Gaia.
Le dee sono spesso dimenticate, sono lontane nel mito. Gaia è stata anche Axieros di Samotracia,
terza parte di una trinità evocata dai Cabiri durante l’iniziazione, quando il candidato passa reggendo in mano una piramide di fuoco che rappresenta il triplice, il fuoco la distruzione la riconciliazione, nascita fecondità e morte.
Axieros è anche Inanna, la dea dei Sumeri che governa l’amore e la guerra e che perde il dio che le è stato promesso perchè lo sposo ha paura di chi si oppone alle nozze, o forse ha paura della sposa e allora fugge e cade da una rupe vicino a una cascata e, pur essendo un dio, muore. Inanna consuma il dolore nella furia, e da quel momento seduce e uccide uomini e dei, e solo Gilgamesh la rifiuta perché “nessun uomo è rimasto vivo fino all’indomani mattina, dopo avere giaciuto con lei nella notte”. E allora Inanna scende nell’oltretomba con i suoi abiti e la sua ancella, per rendere omaggio alla sorella che governa la terra dei morti, e il cui sposo è stato ucciso proprio da Gilgamesh. Sette sono le porte che attraversa, e a ogni porta le viene tolto un indumento, finchè, nuda, si trova davanti ai giudici degli inferi, che la condannano a morte. L’ancella fugge, chiede al dio Enki soccorso: e il dio, con la terra sotto le unghie, modella due creature che non hanno sesso, non generano e dunque possono sfuggire alla morte: il Kurgarra e il Galatur. Le creature volano fino alla dea della morte, Ereshkigal, e la seducono. Chiedono, in cambio, il cadavere di Inanna. Lo ottengono. Versano sul suo corpo l’acqua della vita. Inanna si risveglia, ma non può tornare dagli inferi senza che qualcuno la sostituisca. I Galla, i demoni del destino, le propongono diversi sostituti: la sua ancella o i suoi figli. Infine, sarà lo sposo di Inanna a scendere nell’oltretomba al suo posto.
Anche Ishtar, la dea della Mesopotamia che governa l’amore e la guerra, scende agli inferi e può risalire soltanto quando ha lasciato, al suo posto, il proprio sposo. Come la fenicia Astarte. Come, in Tracia e Anatolia, fu Ecate. Ecate non si limita, però, a scendere una sola volta agli inferi, ma è in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei ed il regno dei morti, reggendo una torcia in ogni mano, perché è la dea che accompagna chi varca il confine e che varca, lei stessa, il tempo. Tre sono le sue facce: giovane, adulta, vecchia. Il punto in cui le strade si incrociano e diventano tre la accolgono. Tre sono i suoi corpi e i cani infernali la accompagnano. Perché è la dea del parto, ed è la dea della morte, signora dei luoghi e delle storie.
La dea è femmina, ricorda Robert Graves. Almeno finché un dio geloso non si impone come unico, e onnipotente e lo dice, in Esodo 20,5: “Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano”. E dunque non solo fa piovere tutta l’acqua del cielo, ma vuole tutto, l’adorazione e i sacrifici, anche umani. Perché di Isacco, che infine venne salvato, sappiamo, ma dimentichiamo la figlia di Iefte, che invece va a morire. L’episodio è nel Libro dei Giudici: Iefte chiede a Yahwe di aiutarlo a sconfiggere gli Ammoniti: “Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalla porta di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vincitore sugli Ammoniti, sarà del Signore e io l’offrirò in olocausto”. Li vince. Torna a casa. E gli viene incontro, “con timpani e danze”, la sua unica figlia. Di lei non conosciamo neanche il nome. Il padre si straccia le vesti ma non può revocare la promessa: né la fanciulla lo vuole. Chiede solo due mesi per “piangere la propria verginità” sulle montagne, in compagnia delle amiche. Passati i due mesi, si riconsegna al padre, e viene uccisa.
Sono poche le figure femminili tollerate dal dio: prima di Maria, c’era Lilith, ma Lilith diventa subito nemica. Nella cabala ebraica Lilith è la prima sposa di Adamo, poi ripudiata, ma in Mesopotamia era il demone delle tempeste e del vento e della morte, e infine diviene la donna che fa paura, che appare nella notte in forma di civetta per insidiare i maschi, e così ai neonati di sesso maschile si poneva al collo un amuleto con i nome di tre angeli per proteggerli da lei, e intorno alla loro culla si tracciava un cerchio, e ai ragazzi non si tagliavano i capelli per ingannare Lilith e farli credere fanciulle, perché Lilith avrebbe potuto procurare loro un’eiaculazione notturna e utilizzare lo sperma per creare i demoni, i jinn. Nel Libro dello Splendore, lo Zohar, “Ella vaga a notte fonda, vessando i figli degli uomini e spingendoli a rendersi impuri”, nel Libro dei Proverbi si mette in guardia dai suoi cancelli di morte, perché chiunque li varchi “non tornerà mai, e coloro che la possiedono scenderanno l’Abisso.
Lilith, che ha ottenuto le ali dopo aver pronunciato il nome segreto di Dio, non lo teme, come non le temono le altre dee, perché hanno molti nomi, e dunque nessuno, e mutano, e chi muta è un pericolo. Lilith non è vergine, come non lo è la Sibilla appenninica, che invece di profetizzare in nome di Dio accoglie i cavalieri nella grotta invitandoli a godere dei piaceri che offre loro. Il suo corpo è aperto, è mutato rispetto alla nascita, quando, chiuso dall’imene, garantiva certezze e alleviava la paura. L’apertura del corpo femminile adombra un legame con ciò che non vediamo, mette in collegamento con gli dei e con la schiera silenziosa e tremenda dei morti. Per questo, il potere femminile è considerato, anche, malefico.

Un pensiero su “STORIE DI DEE, PER ASPETTARE IL MATTINO – 2

  1. Prima di tutto, il “Dio sanguinario” dell’Antico Testamento che l’autore tira fuori è una caricatura orrenda di Dio, perchè estrapola i passi della Bibbia interpretandoli come lui vuole perchè sono stati isolati dal contesto. Potrei confutarli uno ad uno, ma sarebbe una perdita di tempo. Pensare che il Dio d’Israele, che è il Dio al quale “si sciogliono le viscere dalla commozione” davanti al suo popolo in rovina, e che esige il rispetto per il forestiero, sia malvagio, fa cascare le braccia: l’autore o non ha mai letto la Bibbia o l’ha letta in modo tendenzioso. La visione di Dio che tira fuori quell’autore è falsa. Dire che è una visione parziale è dire poco: è una visione davvero malvagia e perversa di Dio. Mostra una malizia di cui vergognarsi.
    CITAZIONE (LUCE 5 @ 9/2/2017, 17:38)
    Anche questo faraone riteneva di essere come la regina Himika “figlio del sole”, ma non solo, detronizzò gli antichi dei, affermando l’esistenza di un unico dio, il sole appunto, qui sotto riporto degli scritti.
    Magari non c’è attinenza col tuo articolo, però me l’ha fatto ricordare.
    Questo inno al Sole è interessante per almeno due ragioni: è la testimonianza del primo esperimento di monoteismo che si conosce nella storia, anteriore di almeno mille anni al “monoteismo” ebraico e di circa 1400 anni a quello cristiano un oceano di civiltà e cultura lo separa dai testi biblici, con il loro dio Yahweh (Geova) sanguinario e terrificante (vedere le citazioni bibliche alla fine).
    “Mille anni prima del monoteismo ebraico” non è una svista: fino al 400 aC non esisteva nessun testo biblico e l’Antico testamento, inteso come la raccolta di “libri sacri” delle religioni giudaico-cristiane, non esisteva ancora fino al 100 aC.
    Ho già sentito parlare di questo “culto di Akhenaton prima dell’Ebraismo” ed è una colossale stupidaggine.
    Prima di tutto, il “Dio sanguinario” dell’Antico Testamento che l’autore tira fuori è una caricatura orrenda di Dio, perchè estrapola i passi della Bibbia interpretandoli come lui vuole perchè sono stati isolati dal contesto. Potrei confutarli uno ad uno, ma sarebbe una perdita di tempo. Pensare che il Dio d’Israele, che è il Dio al quale “si sciogliono le viscere dalla commozione” davanti al suo popolo in rovina, e che esige il rispetto per il forestiero, sia malvagio, fa cascare le braccia: l’autore o non ha mai letto la Bibbia o l’ha letta in modo tendenzioso. La visione di Dio che tira fuori quell’autore è falsa. Dire che è una visione parziale è dire poco: è una visione davvero malvagia e perversa di Dio. Mostra una malizia di cui vergognarsi.
    Riguardo alla faccenda di “prima dell’Ebraismo” anche questa è una stupidaggine: Abramo è vissuto nel 2.000 a.C. se non prima, mentre Aton è di diversi secoli dopo. Inoltre, all’inizio la religione ebraica era orale, non scritta. A quei tempi tutto era memorizzato, ad un livello che noi oggi ci sogniamo. Ancora nei primi del ‘900 c’erano dei contadini che conoscevano la Divina Commedia a memoria. E i farisei conoscevano la Bibbia a memoria. Quindi, per forza che non c’erano i testi, ma c’era la memoria collettiva del popolo ebraico: solo successivamente, nel periodo della deportazione in Babilonia (circa il 600 a.C.) si iniziò ad avere un testo scritto perchè la deportazione non facesse perdere la memoria agli esiliati. Ma la religione ebraica era già codificata sin dai tempi di Abramo e da allora approfondita senza mai subire sostanziali variazioni. L’Antico Testamento di oggi è lo stesso di Abramo: nemmeno una virgola è stata cambiata. Si sono poi aggiunti dei libri, ma la sostanza è sempre rimasta la stessa. Quindi non si fa fatica ad immaginare che Aton abbia preso spunto dall’ebraismo. E è notevole il fatto che si parli di Aton come l’unico caso di monoteismo: senza volerlo, l’autore così sottolinea l’unicità del monoteismo ebraico, che era – ed è – diverso dalle religioni di tutti gli altri popoli.
    Inoltre, l’immagine delle dee e della Grande Madre è quella di una deità idealizzata che va bene al mondo dì oggi: infatti, non rompe con assurde regole tipo il rispetto della donna e del bambino da non abortire, mostra un pacioso “volemose bene” adatto a tutte le salse. Insomma, è un dio da cioccolato perugina che equivale al famoso vitello d’oro, attorno al quale gli ebrei danzavano, perchè era una divinità che permetteva loro ogni capriccio. E davanti ad una divinità simile l’uomo perde la sua dignità e diventa una stupida “pecora matta” come direbbe Dante, schiava di ogni suo impulso e capriccio, E Dio – quello vero – ci tiene all’uomo, e vuole che si comporti da uomo, cioè con la sua dignità reale, da re, perchè l’uomo è figlio di Dio, quindi figlio del Re dei Re. Per questo il Dio d’Israele che è il Dio cristiano, è un Dio geloso: infatti, come un padre, o come una madre, non vuole vedere l’uomo degradato davanti a queste divinità da cioccolatino Perugina, che, in ultima analisi, sono solo demoni.

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