Quando non si è analisti politici, sociologi, osservatori professionisti, ci si rivolge alla letteratura, ovvero a quel che si sa e si conosce: cercando conforto e a volte precognizioni che ci aiutino a leggere il presente. Un presente che appare piuttosto spaventoso: non solo nei fatti, ma nell’attenzione sviata sui fatti stessi. Si paragonino le reazioni social (perché qui ormai ci esprimiamo) ai primi terrificanti decreti di Donald Trump con la valanga di elzeviri, commenti, meme sul gesto di Elon Musk e se ne avrà contezza.
“Le immagini spaventano e proteggono”, dice Bioy Casares ne “L’invenzione di Morel”. Pur non essendo una persona particolarmente altruista (mi considero nella media, almeno), continuo a pensare a questa riduzione all’io che ha contagiato ogni aspetto delle nostre vite: la politica, la letteratura, persino la maternità.
Non c’è giudizio, intendiamoci: è un fatto su cui pensare, perché quando ci si sente soli si ha bisogno di immaginarsi parte di un gruppo. Ma quel gruppo, quella comunità, nei fatti non c’è. E’ un’illusione, come accade sull’isola di Morel. Che può piacere, ci può persino dare felicità: ma non salva nessuno, purtroppo.