C’è stata, tanto per cambiare, una polemica il giorno dopo l’assegnazione del premio Campiello (ad “Alma” di Federica Manzon), e la polemica medesima, su cui non entrerò qui in dettaglio, o non subito, mi suggerisce una serie di considerazioni certamente non nuove né originali, ma altrettanto certamente prese molto poco sul serio da una parte di chi legge, scrive, fa critica.
Ora, temo che la questione riguardi proprio la categoria “lettori di storie”, che da qualche anno a questa parte vengono declassati a lettori ingenui e di bocca buona, quelli (e quelle, soprattutto) che mandano in classifica o incoronano testi che letterariamente e soprattutto linguisticamente sono poveri, volutamente facili per compiacere chi legge. Non sono certa che sia così. Missitalia di Claudia Durastanti, per fare un esempio, è un romanzo di storie e non è in alcun modo facile e ne cito solo uno, per ora. Di contro, come notava con intelligenza una commentatrice sull’altrettanto intelligente post di Helena Janeczek, non è vero che ci sia un immaginario romanzesco femminile che sta sostituendo quello maschile, come scrive oggi Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera. E’ vero invece che ci sono sempre più scrittrici che raccontano storie, e storie che riguardano il mondo, e sempre più scrittori che raccontano se stessi. In sé, non è un bene e non è un male: è un fatto, e ci sono libri meravigliosi fra quelli maschili e intimisti e libri mediocri fra quelli che raccontano storie, come è normale che sia. Ma forse questo fornisce una spiegazione diversa del successo delle autrici rispetto alla litania “si premia una donna perché è politicamente corretto” o “si premia una donna perché affronta un tema alla moda o gradito alla vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia”. Le virgolette non si riferiscono a un particolare intervento ma alla summa di una serie di interventi, nessuno si offenda. Semmai, io trovo un po’ noiosa, più che offensiva, questa dicotomia fra etica a estetica.
Dunque? Dunque per ora mi fermo qui, sperando che la discussione prenda una piega diversa dall’accusa di semplificazione, o peggio di essere tutte Sintara Golden (lo scrivo io prima che piombino altri), stereotipo della scrittrice politicamente corretta e dunque di successo raccontata in American Fiction. Le cose sono molto più complicate di quanto non si creda: gli stessi lettori e lettrici non sono più classificabili in ingenui e avvertitissimi, sono una miscellanea di nicchie, in un paese dove leggere è una nicchia. Far loro torto, e ripetere che non capiscono la vera bellezza (sottotesto) non porta, temo, da nessuna parte.
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