L’umana pietà è quella che dovrebbe sempre guidarci, quella che dovrebbe impedirci di gioire per la morte altrui, in ogni circostanza. Ammetto, però, che stavolta mi è difficile: non esulto, non gioisco, ma quando ho saputo della morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi ho pensato che, se esiste una morte giusta, forse è proprio questa.
Ho pensato ai crani fracassati di Mahsa Amini, di Armita Garawand, di Nika Shakarami e delle loro coetanee, alle sei pallottole che hanno ucciso Hadith Najafi, alle migliaia di esecuzioni (numero ufficiale nel 2023, 853: ma secondo Amnesty International è molto più alto). Ho pensato al rapper che ha sei mesi in più di mia figlia, Toomaj Salehi, e che è stato condannato a morte per aver partecipato alle proteste. E penso che abbia ragione Azar Nafisi: “I Paesi europei dovevano scegliere tra il regime e il popolo iraniano e hanno scelto il regime”.