LA MORTE DI EBRAHIM RAISI, LA SOLIDARIETA’ EUROPEA, LA GIUSTIZIA

L’umana pietà è quella che dovrebbe sempre guidarci, quella che dovrebbe impedirci di gioire per la morte altrui, in ogni circostanza. Ammetto, però, che stavolta mi è difficile: non esulto, non gioisco, ma quando ho saputo della morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi ho pensato che, se esiste una morte giusta, forse è proprio questa.
Ho pensato ai crani fracassati di Mahsa Amini, di Armita Garawand, di Nika Shakarami e delle loro coetanee, alle sei pallottole che hanno ucciso Hadith Najafi, alle migliaia di esecuzioni (numero ufficiale nel 2023, 853: ma secondo Amnesty International è molto più alto). Ho pensato al rapper che ha sei mesi in più di mia figlia, Toomaj Salehi, e che è stato condannato a morte per aver partecipato alle proteste.
Ho pensato che sotto il mandato di Raisi più di 19.000 manifestanti sono stati incarcerati e almeno 500 sono stati uccisi – tra cui 60 bambini – durante le proteste di Donna, Vita, Libertà. E la polizia continua ad arrestare le donne che rifiutano l’hijab .
Ho letto delle manifestazioni di cordoglio di molti leader europei, inclusa la solidarietà della nostra premier al governo italiano. E poi ho letto, sul Corriere della Sera, Azar Nafisi, che dice:

“Mi ha sorpreso che l’Italia e altre democrazie abbiano espresso il proprio cordoglio per la morte di qualcuno che è in cima alla lista delle persone più odiate dagli iraniani. È paradossale che i capi di Stato in Europa e altrove inviino le loro condoglianze non solo a Khamenei ma anche al popolo iraniano. È un insulto, è qualcosa che va contro quello che gli iraniani stanno facendo per mostrare il proprio odio per un criminale. I Paesi europei dovevano scegliere tra il regime e il popolo iraniano e hanno scelto il regime”.

E a Francesca Paci della Stampa dice:

“Bisognava mandare un messaggio di cordoglio? Bastava il silenzio. Non era necessario condannare la teocrazia sciita, sarebbe stato sufficiente non associarla al popolo, tacere. Capisco le ragioni della diplomazia, ci deve pur essere però una linea rossa, una soglia oltre cui non si va. Raisi per il popolo iraniano era sinonimo di morte. Quanto a lungo vorrà l’Occidente far finta di non capire? A volte ho l’impressione che le democrazie sottovalutino quanto la libertà sia contagiosa, quanto un Iran libero rafforzerebbe l’Europa e gli Stati Uniti, quanto i nostri nemici di oggi, dalla teocrazia sciita alla Russia che la sostiene, siano i vostri di domani”

Certo, l’umana pietà. Ma questa volta non ci riesco: è un limite, probabilmente una sconfitta etica per me, ma non riesco a non pensare alla forma di giustizia che la caduta di un elicottero ha costituito.
Anche se la giustizia dovrebbe essere altra: e Raisi, insieme agli altri leader iraniani, sarebbe dovuto comparire davanti a un tribunale internazionale per rispondere di quanto ha fatto, e pagare per questo.
Ma così ha ragione Nafisi. Non si esprime solidarietà a un regime.

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