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Il post di ieri sul Libraccio ha suscitato diverse reazioni interessanti, quindi riprendo l’argomento. Come premessa, però, ci tengo a sottolineare che il mio non era un post contro il Salone del Libro, che è stata ed è una parte palpitante della mia esistenza (al massimo, ma ne scrivo domani sull’Espresso, posso avere una perplessità sul titolo 2025, ma non per colpa del Salone medesimo, bensì del mondo), e a cui augurerò sempre e sempre e sempre vita lunga e felice.
Dunque, la questione sollevata dai 126 editori che hanno inviato la lettera al Salone (lo stand del Libraccio al Padiglione 1 sottrae possibilità di acquisto a chi è presente al Lingotto) non è piaciuto a lettori e lettrici, almeno in molta parte. Il motivo è semplice: chi legge ha meno soldi di prima (molto, molto meno) e vuole avere la possibilità di comprare libri a prezzo più basso.
Di contro, un editore piccolo e medio spende già parecchio per essere al Salone e non è possibile vendere a prezzo ridotto.
Dunque ci sono tre esigenze da conciliare: quella di chi legge, che non ha più molti soldi a disposizione, quella di chi pubblica, che ne ha ugualmente pochi (sto parlando di editori piccoli e medi, lo ricordo) e quella di chi organizza fiere e manifestazioni legate al libro. Con la vecchia questione: si vendono meno libri perché i soldi sono pochi e i libri troppi. 

E visto che mentre sto scrivendo si attende l’intervento inaugurale del ministro della cultura Giuli, una domandina me la farei: oltre a dichiarare qua e là e inaugurare qua e là, cosa sta facendo il ministro medesimo per i libri, il cinema, il teatro e tutto quello che, insomma, si chiama cultura?

Anche se non sarò, dopo tanti anni, al Salone del Libro di Torino, non significa che i miei pensieri non siano da quelle parti. Funziona così, voi che mi scrivete, certo in ottima fede, sospirando sui tempi andati che non torneranno: a parte il fatto che torneranno, in chissà quale forma ma torneranno, non è che fermarsi per recuperare salute significa pensare soltanto ad antifiammatori e risonanze. Insomma, sono zoppa, non rimbecillita, grazie.
Ricominciamo. Come qualcuno di voi saprà, un gruppo di case editrici ha scritto al Salone per protestare contro la presenza dello stand del Libraccio: le case editrici, dal comunicato arrivato nella mia casella di posta, sono 126, 42 secondo la questura, o i giornali. Comunque sia, ci sono anche nomi ben noti, fra cui  Cliquot, Alegre, Emons, Exorma, Fanucci, L’Orma, Voland e così via.
Cosa dicono gli editori? Una cosa molto semplice, come leggerete dal comunicato sotto: uno stand come quello del Libraccio, di 350 metri quadri al padiglione 1, che vende libri usati a costo più che ribassato fa una concorrenza sleale agli editori presenti al Salone. Anche considerando che il prezzo del biglietto, aggiungo io, se acquistato in loco, è di ben 22 euro, e di questi tempi è dura sborsarli e avere anche soldi per acquistare libri a prezzo pieno. Aggiungo anche che la questione si è proposta, in modo diverso ma simile nella sostanza, con Più Libri Più Liberi, perché spendendo i tuoi soldi per un biglietto non economico (anche se inferiore a quello di Torino) magari vai a vedere gli scrittori più famosi all’Arena Robinson, che non pubblicano con editori piccoli e medi, e non compri i libri dei medesimi editori piccoli  e medi. Dunque, per chi si fanno le fiere e i saloni? Per i lettori e le lettrici, ma certo. Ma anche per gli editori che, pagando, rendono possibili quelle fiere e quei saloni.
Sui quotidiani, l’ad del Libraccio, Edoardo Scioscia, dice che in fondo il loro favorisce gli editori. Copio e incollo: “i visitatori potranno sfogliare un libro di seconda mano da noi e poi andare ad acquistarne una copia nuova dall’editore”. Se fosse fantascienza, sarebbe bellissimo. 

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