Tag: Lucia Tancredi

Io non la conoscevo, Savina Disanti, ma la conoscevo attraverso le parole delle amiche. Io non la conoscevo, la “libraia di Vieste”, ma conosco molte, moltissime libraie, e moltissimi librai, perché in questi anni di cammino sono stata loro ospite, e ho sempre pensato che senza librerie chi scrive non raggiunge nessuno, e che quando si piagnucola sulla propria bravura non riconosciuta si pensa sempre a se stessi, come al solito, e pochissimo a chi fa di tutto perché chi scrive abbia il suo riconoscimento.
Sapevo, di lei, che organizzava incontri e collaborava con manifestazioni estive, e sapevo che era un punto di riferimento, come sono molto, molto spesso, le libraie e i librai. Per questo la ricordo anche io, scegliendo le parole di chi, invece, la conosceva bene, Lucia Tancredi.
Rendere i libri una cosa possibile. Questo dovremmo fare, invece di piangerci addosso, ogni santo giorno, rinchiudendoci sempre di più nella gabbia della nostra autostima ferita. E ricordare chi lo ha fatto, con amore.

So che questo blog è in ritardo sui tempi previsti. Ma come è noto settembre è un mese fitto di appuntamenti, e viaggiando tra Mantova e Pordenone e Conversano non riuscirò a tornare ad aggiornarlo prima di fine mese. Per farmi perdonare, posto qui il mio articolo uscito su L’Espresso di inizio settembre. Era ed è sulla violenza contro le donne.
Pensavamo di essere state capite e riconosciute, almeno nella maggior parte dei casi. Pensavamo che il cammino comune con gli uomini auspicato da Simone de Beauvoir nel 1949 fosse cosa fatta. Pensavamo che chi paragona le femministe a “moderne fattucchiere” fosse minoranza. Pensavamo che questo scavallare la soglia della violenza fosse frutto di un tempo diviso, di una generale condizione di frustrazione e rancore. Non è così o non è solo così. La sensazione di questi ultimi giorni è che il linciaggio della rete nei confronti degli stupratori e degli assassini non tocchi davvero la questione, e sia semmai rassicurante: loro sono diversi da noi. Sì, e no, perché l’immaginario è comune, e quell’immaginario non è stato ancora cambiato, ma solo scalfito, e quelle “comunità di dominio”, come le ha chiamate Alessandra Dino sul Manifesto, sono ancora intatte.

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