I MOSTRI

Ogni tanto, come immagino avvenga a voi, mi capitano sotto gli occhi i famigerati reel di Facebook, ovvero video che non si sa perché l’algoritmo mi propone: da ultimo, scene realizzate con l’AI dove gattoni picchiano gattine che vengono salvate da coccodrilli o da castori, gente che si risveglia a Pompei nel giorno dell’eruzione, Gesù che fa miracoli vari. Non so cosa abbia fatto per dare di me quest’impressione all’algoritmo, a parte vivere con due gatti, ma pazienza.
Questa mattina mi capita invece il reel di una donna che insulta la madre di Martina Campanaro perché ha mangiato un hot dog. Basisco, mi ritornano in mente decenni di accuse alle madri vittime di sciagure atroci che non piangevano abbastanza in pubblico (è capitato per prima, pubblicamente e se ben ricordo, alla madre di Alfredino, troppo composta, dissero comari e comarelle (scusate, ma donne erano) per soffrire davvero. Mi chiedo se siamo impazziti, vado alla pagina in questione e scopro che ci sono altre signore, fra cui la famosa influencer porta-turisti, che inveiscono contro questa povera donna perché aveva mangiato, appunto, l’hot dog. Scopro anche che a innescare la faccenda è un venditore di hot-dog (ma va?) da 70.000 follower, che ha diffuso un video con la madre di Martina mentre mangiava il famigerato hot dog dal suo baracchino. Il seguito, fatto di scuse e rilanci e orrori vari, ve lo risparmio.
Mostri? Ma certissimo. Però mostri che sulla diceria e il pettegolezzo e la cattiveria, che esistevano pure prima, fanno contatti e dunque soldi. Perché quello che è accaduto in questi anni non è semplicemente che si è perso il filtro, e che ognuno scrive o filma pubblicamente ciò che prima veniva tenuto nascosto. Ma è che si rilancia, appunto, e che si tira fuori la parte peggiore di noi incitando gli altri a farlo, e a innalzare il livello dello scontro, si sarebbe detto un tempo.
Certo, lo so, esiste la parte luminosa, esistono persone che scrivono e raccontano cercando di fare l’opposto, e di tirar fuori la parte migliore di noi. Ma dal momento che siamo tutti oscuri, nel fondo, è facilissimo scivolare dall’altra parte. E allora, se si vuole fare qualcosa di serio sull’odio social, non si tratta di sorvegliare né di punire: si tratta di fare un lavoro gigantesco di confronto e di riflessione comune per fermare quel che avviene.
E, la butto là, magari smettendo anche di premiare gli e le influencer elevandoli a idoli e opinionisti in quanto influencer, e gloriarsene. Molti lo meritano, è verissimo: ma moltissimi altri sono solo un’immagine sullo schermo abbastanza graziosa o buffa oppure originale. Voglio dire che dovrebbe valere quello che hanno da dire e non lo status, o i follower, o i cuoricini. Perché il passo verso l’ombra è brevissimo, e non sappiamo quando e se verrà compiuto.
Anche da noi, ovviamente.