Oggi, su Facebook, una scrittrice e storica di luminosa intelligenza come Vanessa Roghi (leggete, a proposito, il suo La parola femminista, perché avremo occasione di parlarne) pone un problema non piccolo. I libri delle altre. Ed è un problema a varie sfaccettature, perché i social, lo si voglia o meno, sono il terreno in cui nella maggior parte dei casi passa non solo la promozione ma il racconto dei libri. Mi rendo conto che io stessa mi informo molto dai social, che spesso arrivano prima dei canali tradizionali, e che mi fido del parere di alcune e di alcuni.
Però parlo molto poco, sui social e sul blog, di libri italiani, se non per informare in poche righe di un’uscita che mi sembra significativa: parlo di più di libri stranieri, e con meno titubanza. Il motivo è semplice: detesto quell’idea malevola di sottofondo secondo la quale se parli di un testo che ti è piaciuto lo fai per amicizia. E’ peraltro interessante che questa accusa si rivolga soprattutto alle scrittrici, mentre da tempo incalcolabile gli scrittori sono decisamente disinvolti e continuativi nel sostenersi, on e off line.
Il secondo motivo risale ai tempi di Fahrenheit: se parli di un autore e autrice fai torto a chi non nomini.
Di fatto, è un problema mio.
Di fatto, è un problema comune.