Ho scritto Non è un paese per vecchie quando avevo 54 anni, più energie di quante ne abbia ora (come è giusto e normalissimo che sia) e un bel po’ di progetti in testa, esattamente come adesso, nonostante i quindici anni in più. Mi aspettavo alcune cose dalla vecchiaia: fisiche, intanto, e quindi i cedimenti che si cerca di arginare come si può, nonostante le cattive abitudini che infliggo al mio corpo, una mutazione del medesimo che, anno dopo anno, somiglia sempre più a un corpo femminile invecchiato, e qui siamo nell’ovvio. Mi aspettavo i piedi gonfi la sera, una certa fragilità del sonno, la necessità di quella che è la manutenzione ordinaria e straordinaria delle ossa, dei muscoli, delle articolazioni.
Non mi aspettavo invece, e facevo male, lo stigma nei confronti delle donne vecchie che fanno un lavoro intellettuale e continuano a essere presenti non solo con i propri scritti, ma appunto con il proprio corpo. Ogni volta che partecipo a un festival o a una manifestazione, ogni volta che prendo un treno e che faccio quello che ho sempre fatto, c’è sempre qualcuno che mi invita, più o meno cortesemente, a starmene a casa. O che tira fuori la pensione che dovrei godermi in silenzio, naturalmente, come se continuare a praticare quello che per me è l’attivismo culturale fosse una faccenda da chiudere nel cassetto e da tirar fuori nelle serate di pioggia, con una tisana calda nella tazza decorata a fiorellini, sospirando sui tempi che non torneranno.
Ora, è piuttosto raro che si rimproveri a un uomo della mia età il suo attivismo culturale: anzi, l’essere presente e attivo a festival, manifestazioni, iniziative è considerato segno di vitalità e di curiosità intellettuale. Le donne devono fare le nonne, come mi vien detto qua e là. Le donne devono lasciare il posto agli altri. Le donne devono stare a casa, appunto. E se proprio devono fare qualcosa, che scrivano pure, così occupano il tempo.
A quasi un anno dal mio pensionamento, ho continuato a fare quel che amo fare non per dipendenza lavorativa, timore del vuoto, orrore dell’invecchiamento: banalmente, come detto, è quel che amo fare e non c’è motivo alcuno per non farlo più, finché il mio corpo non mi manderà potenti segnali in senso contrario. Quando avviene, come nelle ultime settimane, peraltro lo ascolto, gli dò il tempo di guarire, poi ricomincio a prendere treni e a incontrare persone.
Michela Murgia diceva sempre che l’idea della maestra non viene presa in considerazione: al massimo, si nomina la maestrina, in senso dispregiativo. O, appunto, la nonna.
Dove voglio arrivare con questa reprimenda? Semplicemente dare ragione a quello che presentivo quindici anni fa e che ora mi trovo a vivere in prima persona. E anche avvertire chi continua a ripetermi di stare a casa, suscitando (lo ammetto) un furore che raramente provo in altre circostanze che, banalmente, deve rassegnarsi a vedermi in giro. Finché posso, finché voglio. Ma decido io. E le altre come me.
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Qua e là leggo diversi interventi sulla vecchiaia. Dunque, mi sembra il giorno giusto per riproporre l’articolo che ho scritto mesi fa per L’Espresso. Sulle donne e la vecchiaia, sì?
Alda Merini posò nuda, ma è stato un raro atto di libertà, in questa sotterranea denigrazione dove, peraltro, la consapevolezza del cambiamento dei corpi portata dalla vecchiaia viene chiesta quasi esclusivamente alle donne. Non esiste il corrispettivo femminile di José Saramago che sosteneva che più si diventa vecchi, più si diventa liberi, e più si diventa liberi, più si diventa radicali (e lo dimostrò eccome, sul suo blog). Le donne over 60 sono consapevoli, come disse Imre Kertész a proposito del Novecento – e perdonate quella che sembra un’irriverenza – che sono esposte, e chiunque può prenderle a fucilate. Non esiste la vecchia competente e saggia: esiste la vecchia.
Se questo è l’immaginario, non ci si stupisca della mancanza di donne ai vertici della politica e delle istituzioni.
E’ una vecchia storia, quella su cui mi sto interrogando in questi giorni, seguendo percorsi che sono di vita e insieme di scrittura. La storia riguarda il senso del dovere che molte, anzi moltissime donne si ritrovano sulle spalle da…