LE DONNE, I CAVALIER, L’ARMI, LA VECCHIAIA

Qua e là leggo diversi interventi sulla vecchiaia. Dunque, mi sembra il giorno giusto per riproporre l’articolo che ho scritto mesi fa per L’Espresso. Sulle donne e la vecchiaia, sì?

 

La mia generazione ha perso, ma perdendo ha tenuto per sé i posti migliori. E’ verissimo: i sessantenni hanno occupato ogni possibile spazio a scapito di chi ha venti, trenta, quarant’anni. Però c’è un distinguo da fare, perché il fenomeno riguarda solo una parte di quei sessantenni. Qualche esempio.
Scenario politico. Quanto si parla di donne, di quanto siano state e siano sentinelle del cambiamento, non è vero?. Quanto si ripete che senza le donne il paese non crescerà, giusto? Bene, contiamo i vertici. Una sola donna segretaria di partito, ed è Giorgia Meloni, più una coordinatrice (Teresa Bellanova di Italia Viva, con Ettore Rosato però), più una portavoce anche qui ex aequo con un uomo, Marta Collot di Potere al Popolo. Non che in Europa vada meglio. Secondo Eige (istituto europeo per l’uguaglianza di genere), nel 2021 le donne leader nei principali partiti in Unione europea sono il 26.1% contro il 73,8% di uomini. Solo in Finlandia, Svezia e Danimarca le cose vanno diversamente (rispettivamente 66,7%, 57,1%, 50%). In Francia, Croazia, Repubblica Ceca, Polonia, Romania e Malta nessuna donna è ai vertici dei maggiori partiti presenti in parlamento.
Scenario economico. L’Istat, nell’edizione 2022 di Noi Italia, fa sapere che nel 2021 il tasso di occupazione sale, sì, ma che le donne occupate restano il 53.2 % a fronte del 72,4% dei coetanei uomini. Non solo. Le donne, a livello apicale, restano la minoranza: sono il 70% delle occupate nella Sanità? Le primarie sono il 20%, una cifra simile a quanto avviene in ambito universitario. In altre parole: gli uomini occupano l’81% delle posizioni di vertici. Vale anche per le pensioni: il Rapporto annuale 2022 dell’Inps ci dice che per le donne la retribuzione è più bassa del 25% rispetto a quella degli uomini, anche perché hanno lavorato di meno.
Dunque, le questioni sono due: una legata al genere di appartenenza e una legata all’anagrafe. Nel nostro strano paese, il modo in cui si discute pubblicamente di problema generazionale non aiuta: ci sono, altrove, studi importanti sulla necessità di stringere patti intergenerazionali invece di alimentare le divisioni con decine di contrapposizioni. Durante la pandemia ne abbiamo avuto esempi pesantissimi, dove di volta in volta si accusavano le giovani persone di mettere a rischio i nonni con la loro mania dell’aperitivo o si accusavano i vecchi di egoismo per aver costretto, con la loro fragilità, a tenere i bambini chiusi in casa. Per quello che riguarda il lavoro, ripeto, la contrapposizione è vera: la cannibalizzazione da parte degli over 60 esiste, anche se i medesimi la negano dicendo che sono i giovani a non voler fare la gavetta.
Peccato che non si precisi mai che i cannibali sono over 60 maschi (e bianchi, va da sé).
Delle over 60, dette amabilmente “perennials” (non muoiono mai, insomma) si parla blandendole e dicendo loro che la vita comincia a sessant’anni, e che questo è il tempo della greynassance. Rinascimento grigio, già (però ci sono schiere assai malevole pronte a schernirti sui social se il grigio dei capelli si vede quando vai in televisione: è accaduto all’ultimo premio Strega). A dimostrazione del trionfo delle signore in età si citano le influencer che su YouTube istruiscono sul make-up perfetto dopo i sessanta come Tricia Cusden (ha anche un pubblicato un libro, Living The Life More Fabulous, con un sottotitolo che recita: Beauty, Style & Empowerment for Older Women. Tutto bello, resta da capire dove sia l’Empowerment). O l’adorabile novantaseienne Iris Apfel, quella degli occhialoni. Tutto qui?
Non del tutto. Le over 60 sono rassicurate sul fatto che possono ancora innamorarsi, per esempio, e questo ripetono alle signore i libri e le serie televisive: a sessant’anni è tutto ancora possibile, ma quella possibilità sembra esistere unicamente per quanto riguarda la vita sentimentale, e tutto il resto scompare. Basta una ricerca veloce su Google: la maggior parte dei link riguarda l’amore o, certo, il modo di vestire.  Quando Susan Sarandon osò un vestito con lo spacco a Cannes provocò un diluvio di interventi: a settant’anni la coscia non si mostra. A cinquanta si tagliano i capelli, per carità. I soliti social diventano illeggibili nel periodo di Sanremo, presidiati come sono da gruppi di signore, anche colte e raffinate, che spettegolano sul botox delle altre. Non sulle canzoni, figurarsi, ma sul grado di decenza dei ritocchi estetici.
Alda Merini posò nuda, ma è stato un raro atto di libertà, in questa sotterranea denigrazione dove, peraltro, la consapevolezza del cambiamento dei corpi portata dalla vecchiaia viene chiesta quasi esclusivamente alle donne. Non esiste il corrispettivo femminile di José Saramago che sosteneva che più si diventa vecchi, più si diventa liberi, e più si diventa liberi, più si diventa radicali (e lo dimostrò eccome, sul suo blog). Le donne over 60 sono consapevoli, come disse Imre Kertész a proposito del Novecento – e perdonate quella che sembra un’irriverenza – che sono esposte, e chiunque può prenderle a fucilate. Non esiste la vecchia competente e saggia: esiste la vecchia.
Se questo è l’immaginario, non ci si stupisca della mancanza di donne ai vertici della politica e delle istituzioni. Facciamo un passo indietro, fino al dicembre 2007. Sempre per gli smemorati, sarà bene ricordare il primissimo piano di Hillary Clinton nel pieno della campagna per le primarie americane. Il commento dell’ultraconservatore Rush Limbaugh sottolineò che esibire i segni del tempo in un corpo di donna non è piacevole, e non è soprattutto conveniente: “la politica è apparenza, sei quello che appari e Hillary come donna invecchierà peggio di un uomo, in quel lavoro alla Casa Bianca che logora chiunque, e noi americani passeremo quattro anni davanti allo spettacolo deprimente di una vecchia signora che perde ogni giorno la propria battaglia con il proprio aspetto. Un uomo anziano appare decisivo, autorevole, serio, una donna anziana è soltanto una vecchia”.
La vecchiaia maschile – quella dei potenti, almeno –  ha dalla sua l’esperienza.  La vecchiaia femminile no.  Gli uomini diventano padri della patria, o almeno padri nobili. Le donne invecchiano e basta.  In quello stesso dicembre, mentre Hillary mostrava le sue rughe, in Italia partiva una campagna pubblicitaria contro la burocrazia: i manifesti proponevano la caricatura di un’anziana signora con gli occhialini a farfalla, le labbra a cuore, un ridicolo cappellino rosa. Lo slogan era Ammazza la vecchia.
Le conclusioni sono semplicissime: quando bisogna decidere un incarico di responsabilità e visibilità non conta neanche la regola del “ci vuole una donna” (che nei fatti non è una regola: è uno specchietto per le allodole che molto spesso ci si dimentica di usare). In quei casi, si passa direttamente a un uomo. In altri termini: se l’incarico viene dato a una donna, si prende in esame la sua immagine e la conformità del suo aspetto a come ci si immagina debba essere una persona che ha pubblica visibilità. Se viene dato a un uomo, conta la competenza. O almeno così ci vien detto.

 

Un pensiero su “LE DONNE, I CAVALIER, L’ARMI, LA VECCHIAIA

  1. Articolo interessante. Non sapevo che Merini avesse posato nuda. A proposito della radicalità/vecchiaia di Saramago segnalo alcune parole di Barbara Alberti concernenti proprio la vecchiaia, da un suo recente pamphlet: “La vecchiaia non è mai stata così brutta come da quando si cerca di nasconderla. Tale è la pressione sociale e professionale, che andare in giro con la propria faccia diventa una provocazione. Noi donne siamo imbarazzanti comunque. Prima perché siamo feconde, poi perché non lo siamo più. Alle donne non si perdona la vecchiaia.”

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