Questa mattina ho letto con la solita avidità la newsletter di Lucy. Sulla cultura Piaceri sconosciuti (qui, per abbonati però), dove Nicola Lagioia racconta il mondo editoriale. O meglio, racconta un mondo editoriale che forse non c’è più, o forse esiste ancora o per dire ancor meglio resiste. E’ un bellissimo episodio della newsletter, dove Nicola sceglie episodi di vita personale per decostruire, da dentro, quell’atteggiamento di gioia feroce che serpeggia quando si parla di editoria, come se il cammino in discesa in cui si è avventurata negli ultimi tempi fosse motivo di soddisfazione generale.
Faccenda che, pur rendendomi perfettamente conto della situazione, infastidisce anche me: perché ogni volta che provo a raccontare lo stato delle cose c’è qualcuno, nei commenti, che si frega le mani soddisfatto, dicendo che tanto si pubblicano tutte schifezze. Il che, non mi stancherò mai di dirlo, è una bugia, perché solo negli ultimi due mesi ho letto con passione almeno cinque-sei libri di fresca uscita che hanno appagato ogni aspettativa (e, no, non ve li dico, perché detesto le liste, ma si possono facilmente dedurre da quello che scrivo e da chi intervisto).
Dunque, Nicola racconta di cosa era l’editoria italiana alla fine degli anni Novanta, quando ancora c’erano direttrici editoriali con la suola della scarpa destra scollata mentre presentavano un Dario Fo fresco di Nobel, o quando un altro direttore editoriale che prende in simpatia questi due ragazzini che avevano appena sostituito gli idoli del rock con quelli letterari rivela di non volersi rimettere i denti mancanti (un bel po’) perché con quei soldi avrebbe potuto pubblicare dieci libri in più. E i due ragazzini, uno dei quali era Nicola stesso, lo guarda allontanarsi, riconoscendo dietro la sua figura “di spalle lungo il viale, la scia luminosa, simile a una bava di lumaca fosforescente.”
Ho letto e riletto la newsletter, questa mattina, pensando che sì, le scie luminose ci sono ancora, nel mondo editoriale, che ci si creda o meno. E che esistono ancora le passioni, le follie, gli entusiasmi. Esiste la dedizione, scrive Nicola, anche nella ripetizione. Questo c’è, o non ci sarebbero quei libri che ci fanno passare velocemente, come è successo a me, cinque ore di treno in mezzo a un turbinio di bambini vocianti con Peppa Pig d’ordinanza dai cellulari dei genitori.
Però ammetto di vedere anche altro. Ovvero, l’ombra dei diagrammi a torta. Certo che ci vogliono pure quelli, e certo che l’editoria è fatta di aziende, e le aziende hanno i libri contabili e pure i diagrammi a torta che non ho mai capito, e forse, colpevolmente, mai capirò. E spesso chi invece li maneggia con perizia, e soprattutto proviene da altre realtà aziendali, che producono, che so, caffettiere o rigatoni o maglioncini di lusso, non riesce a capire che quella scia luminosa, quella dedizione, quella capacità di rischiare con un libro che ad altri risulta poco vendibile e dunque turba il diagramma a torta, o i grafici, o quel che volete voi, sono l’essenza stessa dell’editoria, e che non porci attenzione, e amore, e non considerare degne di attenzione e amore le persone che si impegnano in quei gesti di ripetitività che si muovono attorno a un libro, beh, è un bel guaio.
Per dirla con Nicola, significa non capire che “un certo tipo di dedizione è amica della luce, indipendentemente da tutto questo, una luce che non tutti scorgono, che non è evidente, ma proprio in questo sta la sua preziosità. In un mondo in cui tutto è misurabile, qualcosa di incommensurabile”.
Questi sono i libri. Accidenti.