Forse bisogna rileggere attentamente sia No Logo di Naomi Klein sia il lungo articolo che Klein ha scritto per il Guardian in occasione del decennale. Lo trovate su Internazionale. Intanto, ve ne riporto un passaggio:
“Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete.
Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea. Altre aziende hanno scelto invece il modello Microsoft: conservare un nucleo strettamente controllato di azionisti-dipendenti che gestiscono “l’attività centrale” dell’azienda ed esternalizzare tutto il resto, dalla gestione della posta alla scrittura del codice informatico, affidandolo a lavoratori precari. Alcuni le hanno chiamate hollow corporations, imprese vuote, perché queste aziende ristrutturate sembravano avere un unico obiettivo: trascendere il mondo fisico per trasformarsi in un marchio incorporeo. Come ha detto l’esperto di gestione aziendale Tom Peters: “È da stupidi possedere cose!”.
Mi piaceva studiare i marchi come Nike o Starbucks perché in un attimo ti ritrovavi a parlare di tutto tranne che di marketing: la deregolamentazione della produzione globale, l’agricoltura industriale, i prezzi delle materie prime. E da qui arrivavi al legame tra politica e denaro, che si era cementato in regole da far west grazie a una serie di accordi di libero scambio e al sostegno della Wto, al punto che attenersi a quelle regole è diventato il requisito indispensabile per ricevere i prestiti dal Fondo monetario internazionale. In poche parole, finivi per parlare di come funziona il mondo.”
E’ da stupidi possedere cose, ma le cose possiedono noi, nel profondo, proprio perchè ci appaiono “immateriali” pur potendo essere toccate e usate. Il lungo post su Giap! a proposito del feticismo della merce digitale è da meditare, specie nelle ore in cui la veglia funebre per Steve Jobs ha occupato ogni possibile spazio, on e off line. Nessuno dei miei amici e colleghi di lavoro, in queste ore, ha accettato che nella commemorazione ci fosse la minima incrinatura. Eppure, Klein aveva già previsto cosa sarebbe avvenuto ( e ci è tornata in queste ore: qui trovate alcune delle sue dichiarazioni. Qualcuno le ha raccolte, dalle nostre parti?): e dieci anni fa gli stessi che non accettano varchi nel compianto mondiale per Jobs hanno letto e amato il suo libro. Il mondo è andato avanti, pare.
Ps. Segnalazioni in coda, in topic e no. L’UDI sulle operaie di Barletta, e una riflessione di Lorella Zanardo sulle immagini delle donne utilizzate dei quotidiani.
Mi ricorda “I persuasori occulti” di Vance Packard…un classico, che penso abbia una base comune col discorso dei marchi di Klein. C’è qualcosa di “metafisico” nei meccanismi dei marchi. La gente non compra oggetti…compra qualcosa di più. E’ partendo dalla constatazione che non è la razionalità a guidare le scelte degli acquirenti che certe campagne pubblicitarie hanno successo. Ma questo lo sapevamo già, pur non sapendolo abbastanza.
Mi ha colpito l’articolo pubblicato su wumingfoundation.it in merito al lavoro nelle grandi aziende che smerciano IPhone e i fratelli tecnologici. Apple inclusa naturalmente. In particolare l’osservazione che il numero dei comunicati sulla salute di Jobs superano incommensurabilmente i servizi sulle condizioni inumane dei dipendenti.
La gente compra gli aggeggi tecnologici in cui – cito Marx – si sedimentano relazioni sociali, dimenticandole. Nelle migliaia di operazioni di acquisto di tali aggeggi che avvengono ogni giorno, l’acquirente dimentica la storia dell’aggeggio: il fatto che in esso “si nasconda” il lavoro di uomini e donne, oscurato dall’idea geniale del magnate. Non è risentimento vetero-marxistico…è che c’è uno sbilanciamento radicale.
Jobs alla Stanford ha potuto fare un discorso commovente. Penso sinceramente che meriti ammirazione e quant’altro. Tuttavia, un “capitalismo etico” dovrebbe essere il primo requisito di ogni businessman idolatrato. O forse capitalismo ed etica sono inconciliabili.
Ma manca la sensibilità e la consapevolezza. Dopo i 200 anni dalle riflessioni di Marx ancora non lo abbiamo capito.
stamani alla rassegna stampa di radio3 ho ascoltato il pezzo di gramellini sul “partito della gnocca”. lo si trova a questo link: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
dice gramellini: “Ma persino in questo interminabile viale del tramonto, colui che fu Berlusconi rimane fedele alla sua essenza di pubblicitario. Convinto che, di ogni prodotto, ciò che davvero conta sia il pacchetto in cui viene incartato.”
sono molto daccordo con lui…
Da noi ci provò, in modo antesignano, la Piaggio, con la famosa campagna del “chi Vespa mangia la mela” (guarda un po’), che infatti fu poi ripresa e ristudiata dai teorici del no-logo.
Su Jobs, mah. Diciamo che secondo me è stato tutto all’insegna del ‘troppo’, come sempre nella storia della Mela (quell’altra). E a me continua a venire in mente solo e soltanto Forrest Gump.
Credo che sia la prima volta in cui mi trovo totalmente d’accordo con un post di Loredana Lipperini (strane congiunture astrali?). Scendo dal politico al personale: esistono persone come me che non hanno mai e poi mai utilizzato quel marchio (la apple), non sanno cosa sia un mac, un ipod, un ipad ecc. Non ci tengono a possedere quelle cose, non gli interessano affatto e vivono felicemente senza, fino a quando..non muore Steve Jobs. E lì gli si apre un mondo, soprattutto nel momento in cui, in cerca di notizie sul 15 ottobre, non solo scoprono che si litiga sul percorso da seguire ma su molti siti “no global” si leggono veri e propri coccodrilli sul tizio in questione. Ci dev’essere qualcosa che è sfuggito alle persone come me, che boicottano praticamente tutto il boicottabile, in cui l’unico brand è quasi il boicottaggio stesso, che coi computer avanti con Ubuntu e Mozilla di là e OpenOffice di qua, per non parlare del cibo, delle scarpe, della compagnia aerea piuttosto che della frutta esotica (non mangio un ananas che saranno vent’anni). Noi, la nostra volontà nell’orientare le nostre scelte pur coscienti che tutto non si può bypassare o eliminare e che siamo consumatori, non abbiamo capito nulla.
Bollicine di Vasco Rossi svilippa un buon racconto sui marchi e sulle tecniche pubblicitarie più usate negli ultimi quarant’anni.
A partire dal marchio che diventa simbolo di sogni, bisogni e identità (“Coca Cola e sei protagonista”), il testo disseminato di strizzatine d’occhio, allusioni e doppi sensi che dovrebbero far scoprire un significato oltre quello letterale. Un segreto che ti porta a far parte di una schiera di eletti “che sanno” (e così si alimenta il passaparola).
L’uso del tormentone ambiguo, chi vespa mangia le mele, il finto messaggio subliminale di una strofa recitata a velocità troppo elevata per essere capita (ma se l’ascolti alla giusta velocità, “chissa cosa dice”)
http://www.youtube.com/watch?v=0hpz9hGpOHU
Discutevo ieri a cena, con i miei famigliari sul valore rivoluzionario del lavoro di Jobs. Non nego, certamente, il talento del compianto cofondatore di Apple, un pioniere ed un innovatore indiscusso ,al quale va il merito , tra le altre cose, x es. di aver creato il mouse. Contro l’opinione di mio marito e delle mie figlie, da tempo convertiti alla religione della “sacra mela”, sostengo che ad aver cambiato il rapporto dell’uomo comune con il mondo informatico sia stata, piuttosto l’intuizione di Bill Gates :-“Nel futuro vedo un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa”. All’emancipazione della donna hanno contribuito gli elettrodomestici in generale, non certo quelli di una determinata marca .Credo che la diffusione dei computers debbano aiutare l’emancipazione dalla schiavitù mentale non certamente contribuirvi.
Interessante per molti aspetti l’articolo di Naomi Klein. Soprattutto quando dice, parlando dell’amministrazione Bush, che “l’impresa di mettere all’asta lo stato, riducendolo a un guscio vuoto – o a un marchio – è stata condotta con un impegno e una dedizione straordinari”. E’ quello che sta facendo il Governo di centro-destra da sempre: sta svuotando la scuola pubblica e la sanità pubblica e i servizi sociali nel silenzio o nell’ignoranza di gran parte dei cittadini. Sta demolendo l’ossatura del nostro welfare schermandosi dietro il pretesto della crisi e degli sprechi, mentre al contempo foraggia i privati. E la parola d’ordine “privatizzazioni” che arriva dalla Bce e dalla Germania per uscire dall’impasse economico-finanziaria mi inquieta perché ripropone come soluzione alla crisi lo stesso rimedio che la ha provocata: le ricette del neoliberismo.
Tornando al tema per cui lo hai segnalato, mi sembra che la Klein ci stia segnalando l’enorme dilatazione del simbolico a scapito del reale, sapientemente manovrata a scopo di lucro. La domanda di attualità è: bisogna riconoscere comunque a Steve Jobs il genio e la visionarietà? oppure bisogna contestualizzare e smitizzare? Io relativizzo provocatoriamente (ma devo dichiarare che non sono una Apple-maniaca): forse Jobs era un genio nei nostri tempi di mondializzazione selvaggia del mercato così come Leonardo era un genio ai suoi tempi di corti e mecenati. Con le sue contraddizioni e i suoi paradossi Jobs incarna perfettamente, meglio di ogni altro, il senso profondo della nostra epoca.
@Molvettina
L’inventore del mouse? See, e Jobs ha inventato anche me.
Ma chi le racconta in giro queste cazzate?
E’ molto interessante il paradosso di cui parla Terence Corcoran: mentre moriva Jobs, emblema del sogno americano mediante il prodotto, il consumo, la tecnologia (dunque in piena sintonia col sistema capitalista), negli USA gli indignati manifestavano contro quel sistema, indignati che a loro volta sfilavano per le vie di Manhattan con iPod, iPad e iPhone
Qui trovate la storia del mouse (e qualcun’altra).
http://www.internazionale.it/news/steve-jobs/2011/10/06/storia-di-un-visionario/
Veramente il visionario del mouse è Engelbart che lo sognò nel 1925 e lo brevettò nel 1967. Dopo di che l’idea fu presa dalla Xerox e solo alla fine finì nelle mani di Jobs.
Oggi sembra aver inventato tutto lui… Tutte le religioni hanno bisogno dei loro miti fondativi.
Se la domanda è: cosa compra chi compra un marchio? E’ giusto il richiamo al famoso libro di Packard. E interessante la battuta che vi è attribuita a un manager del ramo cosmetici:
“Noi non vendiamo rossetto, compriamo clienti”.
Il marchio come forma di reclutamento.
L’impiego in politica dunque non è un’eterogenesi dei fini, ma l’epilogo fatale del dispositivo pubblicitario.
“Forza gnocca”, quasi un destino.
Grazie Manuela e a MariaGiulia. Entro questa sera avrò le teste, metaforicamente parlando, dei miei cattivi informatori e provvederò , con molto piacere, a ripristinare la verità storica.
Steve Jobs non ha inventato l’apparecchio chiamato “mouse”, ma ha inventato la configurazione friendly, in altri termini il computer che va a colpi di clic e mouse, invece di ricevere istruzioni in linguaggio tecnico dalla tastiera. È all’interno di questo uso friendly che il mouse passa dall’essere una specie di telecomando col filo all’essere il “mouse”. Del resto anche Marconi mica ha inventato niente, a rigor di logica: ha brevettato una composizione di oggetti già esistenti, che però messi insieme diventavano una cosa nuova. E l’inventore della “macchina a vapore” in realtà ha inventato “solo” un congegno che serviva ad attivare l’argano per tirare sù i secchi di carbone dal pozzo della miniera: poi un altro ha pensato di applicare l’invenzione mineraria al telaio, e… Sono classici esempi della distinzione tra “invenzione” (che di per sé può anche rimanere inerte e non modificare alcunché) e “innovazione”.
@Girolamo
Ma non scherziamo neanche un po’. Marconi ha costruito e brevettato l’oggetto. Certo che senza le equazioni di Maxwell non andava da nessuna parte.
Invece Steve Jobs non ha costruito né brevettato il mouse. Che faceva già quello che faceva alla Xerox. Lo ha comprato e lo ha distribuito.
Chiara la differenza?
Qui i problemi mi sembrano tre.
Il primo, forse il più importante e il più ampio, riguarda la produzione e chi, della produzione, finisce per farne le spese. In qualche modo i lavoratori sfruttati dalle grandi multinazionali fanno parte della stessa categoria delle donne di Barletta. Ieri sera – solo un accenno – ho sentito qualcuno dire che non sono morte per un infortunino sul lavoro, che tecnicamente è anche vero. Ma se avessero avuto un lavoro non nero la sopravvissuta e le famiglie delle vittime potrebbero godere di qualche assistenza, che di fatto non hanno. Un discorso lungo e che ho semplificato.
La seconda riguarda i miti fondanti, l’invenzione l’innovazione.
Premetto: non sopporto i fanatismi, di qualsiasi categoria, visto che in questi casi si finisce sempre per tifare da un lato o dall’altro.
La Xerox ha prodotto il primo mouse, la Apple lo ha infilato in un computer domestico a larga diffusione. La prima ha costruito un’invenzione, la seconda gli ha dato un suo pratico, quotidiano.
Apple non ha inventato l’mp3 e nemmeno il lettore digitale. Ma iTunes ha spiegato che esiste una strada per il download legale e a pagamento. Se oggi parliamo di ebook è grazie ai tablet, Apple e non. PDf e e pub esistevano da un po’.
E’ un’azienda, è commercio e marketing? Certo. Non discutiamo da secoli sul marketing dell’editoria e la sua crisi? E scrivere libri non è un lavoro?
Apple non ha inventato il telefono, ma iPhone ha cambiato il modo di usare il telefono. In bene o in male dipende anche dall’uso che ne si fa. La tecnologia, almeno in questi casi, è neutra. L’utilizzatore fa la differenza. La fissione dell’atomo e la bomba atomica sono due cose diverse.
Così come l’idolatria di massa e il riconoscimento della genialità. La seconda, purtroppo o per fortuna, genera spesso la prima. Ma esiste comunque, a prescindere.
Un discorso lunghino, che posto senza rileggere. Un saluto a tutti
http://kaizenology.wordpress.com/2011/10/07/lunico-capitalista-buono-e-quello-morto/
MariaGiulia, il mouse alla Xerox era una “invenzione”: come la macchina a vapore inventata ad Alessandria d’Egitto attorno la II secono d.C. (che però non aveva alcuna utilità, dal momentoche il mondo antico non necessitava di ulteriore forza-lavoro); applicato ai Mac è diventato una “innovazione”: proprio come i telai meccanici che, trent’anni dopo la loro invenzione, sono diventati l’innovazione che ha soppiantato il telaio a mano. Lo stesso vale per i brevetti che Marconi ha assemblato, e il brevetto dell’assemblaggio che chiamò “radio”. La differenza tra invenzione e innovazione comporta passaggi più complessi della data di brevetto e del primo uso. È la ragione per cui il mondo non lo cambia il “genio” che inventa una cosa nuova (l’avrai sentita anche tu la sciocchezza del paragone tra Jobs e Leonardo da Vinci), ma un diverso uso degli oggetti che modifica abitudini, processi produttivi e sociali, in una parola la società. Per inciso: a diffondere la radio contribuì meno il “genio” di Marconi, che il suo divieto – da buon monopolista – alle proprie stazioni radio di rilanciare messaggi (financo, anzi soprattutto, richieste d’aiuto) che non provenissero da navi che avessero installato la radio Marconi.
@Girolamo
Tesoro, ho capito il tuo punto e lo condivido. Il mouse è stato inventato dal russo Engelbart e poi è rimasto qualche tempo nel dimenticatoi; ma l’innovazione l’ha fatta Xerox, che lo ha commercializzato (capisci il termine, vero?) nel 1981 con la Ws 8010 Information System. Apple è venuta dopo.
Il primato di Apple è solo di marketing e diffusione. Ma è come dire che la borsa l’ha inventata Prada perché è quella che ne ha vendute di più.
Ok?
@ MariaGiulia
Ok. Grazie per il “tesoro”, con i tempi che corrono, i troll che riemergono dai dimenticatoi della rete e l’inverno alle porte (Winter in Coming, come dicono a Winterefell), un filo di cortesia e un accordo sul senso delle parole è più che sufficiente.
La cosa che rende il capitalismo “ridicolo” e “vincente” è che quando incontra sulla sua strada qualcuno che, con grande audience, lo critica ferocemente, anziché replicare a muso duro o girarsi dall’ altra parte, presta ascolto cercando di imparare la lezione. Cosicché alla fine il critico resta suo malgrado cooptato nel circuito.
Lo denunciava già un’ impotente Pasolini, e la trappola è scattata puntuale come la morte anche per Naomi. Il suo best seller si è trasformato lentamente da una critica del marketing a un manuale di marketing.
Le due più importanti guide al marketing uscite nel frattempo – Buyology di Martin Lindstrom e What Consumers Really Want di James Gilmore and Joseph Pine’s Authenticity – battono soprattutto sul concetto di “autenticità” e “trasparenza” del prodotto. Sembra davvero un omaggio a No Logo.
In questi casi il critico in buona fede dovrebbe esultare e dichiarare vittoria. Ma la Klein, che sente giustamente le maglie della cooptazione stringersi intorno al suo collo – sembra scocciata e anzi, considera a sorpresa che i pericoli siano aumentati.
Ai più il comportamento un po’ schizoide appare come quello di una bambina capricciosa, invece è solo quello di una scrittrice che facendo finta di parlare di marketing voleva parlare di politica.
Se poi uno considera che Shock Economy, tutto sommato abbastanza poco considerato qui da noi (la si considerava passata di moda), ha dimostrato come la Klein conoscesse l’economia meglio di tanti esperti liberali, liberisti e libertari… La Klein ha una capacità di preveggenza degna di Emmanuel Todd: la crisi del 2008 e soprattutto le sue conseguenze erano descritte con assoluta precisione in quel libro del 2007…
Ciao Loredana, ti lascio qui una riflessione in inglese che a me è piaciuta molto sul caso Jobs, ma anche su molto altro (per esempio sulla morte di Wangari Maathai): http://moronwatch.net/2011/10/celebrate-heroes-not-ceos.html
Io ho trovato squallido e sfiatato il comunicato brezneviano del comitato “se non ora quando?” a proposito di Barletta: “massima solidarietà ai familiari delle vittime della tragedia di Barletta e sconcerto per una disgrazia che deve riportare al centro dell’attenzione pubblica la necessità di una politica che offra dignità per le donne nel lavoro retribuito, e dignità nei servizi offerti alle loro famiglie quando loro sono a lavorare”. Di una pochezza e di una ufficialità che neanche il Comitato Centrale. PS: Vance Packard non solo è sorpassato, ma la realtà è così complessa (per fortuna) che anche all’epoca prendeva cantonate. PS2: mi dispiace ma l’ovvietà della dottoressa Marzano proprio non la reggo, anzi mi sa che mi ci devo dedicare a scrivere qualcosa sul mio blog. Grazie Loredana e a presto.