THE TIMES THEY ARE A-CHANGING

Novembre 2007. Parla Gianna Schelotto, sul Corriere della Sera. Parla delle Winx, se ricordate. E afferma:
“Nessun ombelico malizioso, nessun contorcimento, nessuna mossetta. Nè tacchi nè trucchi. Insomma, (le Winx, ndr) hanno allontanato le bambine dei modelli a cui tutto un mondo commerciale le stava trascinando….Prima l’alternativa a queste streghette-fate era il modello velina…Poi sono arrivate loro, per fortuna” . E ancora.  “I maschi non ne hanno bisogno (di magia, ndr). Hanno il calcio, l’avventura, la lotta”.
Gennaio 2009. Parla Anna Oliverio Ferraris, su Repubblica. Argomento, le Bratz: “”C’è purtroppo una regressione nei modelli in cui le bambine vengono indotte a identificarsi. Sono spinte sempre più in avanti verso il lolitismo in questa generale accelerazione dei tempi di crescita. Barbie puntava sul look ma era anche un modello dinamico, una donna in carriera, emancipata. Oggi viene soppiantata dalle Bratz, che puntano esclusivamente sul look e sullo shopping, e questo è molto limitativo. Inoltre, ben più che negli anni 70 e 80, assistiamo a una stereotipizzazione dei giocattoli: un fenomeno che è pesante e deleterio, funzionale al mercato. C’è un ritorno a una divisione netta dei ruoli: basta entrare in un grande magazzino e vedere come sono separati e diversi fra loro i reparti per i maschi e quelli riservati alle femmine, in cui tutto è rosa, tutto è stucchevole, tutto è carico di lustrini, e l’unica aspirazione che viene incoraggiata è quella a diventare principessa”.
La vostra eccetera legge e pensa due cose.
Ipotesi uno: qualcosa è effettivamente cambiato nel mondo dei bambinologi ed osservatori dell’infanzia, che si accorgono di fenomeni prima sottovalutati a favore di altri. Scoprendo poi che la Oliverio Ferraris ha usato esattamente le sue  identiche parole per quanto riguarda i reparti dei giocattoli, la vostra eccetera non sa se essere contenta o preoccupata. Diciamo contenta, via.
Ipotesi due: il discorso sul genere è diventato moda, cattura l’attenzione dei comunicatori e i bambinologi si adeguano. La vostra eccetera è decisamente preoccupata.
Ps. Per non provocare scompensi in alcuni frequentatori di codesto blog, un post scriptum a carattere letterario. O quasi. Ieri mattina chiacchieravo con un’amica non ancora trentenne che si dichiarava incuriosita dai libri dei coetanei che raccontano la vita dei medesimi. Ci ho pensato su. Poi le ho risposto che, come sempre, le strade sono molte. C’è quella più diffusa (a vent’anni racconto le disavventure sessuali e la mancanza di lavoro, a trenta il lavoro precario e le disavventure sessuali, a quaranta le disavventure sessuali mi portano al divorzio, a cinquanta cambio vita e continuo ad avere disavventure sessuali, e via così). E c’è quella, per fare un solo esempio, che persegue una come Scarlett Thomas, di cui sta per uscire PopCo in traduzione italiana. Anche nei suoi romanzi si parla di trentenni precarie, e ci si rispecchia nel racconto. Ma intorno c’è un’esplosione di narrativa. Ecco.

5 pensieri su “THE TIMES THEY ARE A-CHANGING

  1. I romanzi generazionali senza una robusta dose di narrativa incorporata sono, a mio parere, una noia mortale.
    Comunque, Loredana, se posso darti un consiglio, non dare troppo penso a chi si lamenta (mi pare uno solo) se parli “poco” di letteratura: come si è detto in quel post, il blog è tuo e ogni letteratura è politica, quindi non vale la pena di prendersela per le fisime di uno solo 😉

  2. Stavolta reagisco un po’ io nello stile tuo e del tuo blog.
    Non è detto che gli scompensi li provochi ai letterati. Invece gli psicologi dello sviluppo potrebbero stranirsi. Perchè non sei mai contenta ! E sei scusami, lo dico con simpatia mediatica, anche se con malcelata irritazione – supponente ecco. Lo sai anche te che la riflessione sul genere, e la psicolgia evolutiva, hanno una storia ben più lunga e articolata di quel che tu lasci intendere, se non altro perchè nella storia della cultura la bambinologia seria è fenomeno recente: come si evince dal fatto che il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, non concepisce ancora granchè criteri evolutivi per le psicopatologie. E ha cominciato ad accorgersi della necessità solo nell’ultima edizione, quando ce ne vorrebbe una separata. La bambinonologia fatta dai cretini è un problema, ma clinicamente e fatta dai seri (e ce n’è a mazzi) è una mano santa. Perchè i bambini e gli adolescenti non sono degli adulti piccoli. Ma Loredana con tutto l’affetto e la stima, questo non lo abbiamo appreso da te.
    E poi questa la tua organizzazione mentale: se non ci si occupa del genere si è stronzi. se lo si fa si è alla moda, e perciò ugualmente stronzi. E bisogna sempre citare i bambinologi più cretini perchè questo ci rende la dialettica più facile.
    Perdonami Loredana se oggi oho questo tono. La simpatia è immutata e anzi è in ragione di quella che sbuffo.

  3. Non è questo, zauberei. E’ che ho paura di veder semplificato, masticato e digerito un fenomeno che tuttora persiste. Quanto ai bambinologi “cretini”, non sono che io li cito. Trovo sempre quelli sui giornali, però.

  4. A proposito di stereotipi di genere, trascrivo qui un ‘interessante riflessione dell’antropologo (e neopapà) Piero Vereni tratta dal suo blog:
    “Da qualche settimana Amanda (5 mesi) non prende più il latte della mamma, e siamo passati all’allattamento artificiale. Per disinfettare i biberon di Amanda usiamo un prodotto di marca, che poi si risolve nell’essere una specie di varecchina profumata e costosissima: ne mettiamo un misurino in due litri d’acqua e per 24 ore possiamo essere sicuri che i biberon saranno disinfettati a fondo. Il liquido è un po’ irritante per la pelle e dopo qualche giorno che sciacquavamo tettarelle, ghiere e biberon, io e Valeria ci siamo ritrovati con le mani tutte secche e screpolate. Al supermercato ho pensato di comprare i guanti di gomma. Vedo la taglia “grande” e la porto a casa, solo per scoprire che l’unità di misura dei guanti per lavare i piatti è tuttora la mano di una donna, per cui “grande” significa “grande da donna”, e infatti a me stanno strettissimi. È dentro ovvietà di questo tipo (le taglie dei guanti per lavare i piatti) che si nasconde la disparità tra uomini e donne che tutti diamo per scontata.”

  5. Mi ha lasciata sbalordita vedere, nella mia piccola città, un negozio della Sisley interamente dedicato all’abbigliamento infantile… Gonnelle di velo, pantacollant, ballerine luccicanti… tutto per somigliare ad una Barbie/ Bratz, ma soprattutto ad una graziosa ochetta di tipo televisivo, lustra, poco coperta e “stilosa”…
    Sono tutto fuorché moralista, ma ci resto di stucco. E’ proprio così necessario che una fantolina di 10anni debba già preoccuparsi di vestire “alla moda”? Di portare la camicina trasparente, la minigonna e tutto il resto? Di “apparire”, insomma, ovviamente allo scopo di far colpo sui maschietti, a che altro servirebbe sennò vestirsi tutte fighette?
    “Ai miei tempi” (una quindicina di anni fa) non esistevano nemmeno – non da me, comunque – negozi”stilosi” per bambini. Sicuramente erano poche le madri che conciavano le figlie alunne delle elementari come baby modelle. Noi – cresciuti tra la fine degli anni ’80 ed i primi ’90 – abbiamo ancora potuto vestirci da bambine e non essere turbate anzitempo con fantasmi di cosmetici (come quelli della Barbie!) e imperativi sociali di apparenza modaiola. Forse siamo state le ultime ad avere per davvero un’infanzia…

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