Non è che la vostra eccetera non voglia occuparsi di letteratura, come mi viene rimproverato nei commenti, o come i soliti scrittori con il cognome che finisce in consonante rimproverano altrove. E’ che rivendica il diritto di scegliere quando e come farlo. E di quale letteratura occuparsi, magari.
Ad ogni modo, questo è l’articolo apparso oggi sul quotidiano. Si parla “anche” di letteratura, ma non solo. Il “non solo”, a mio modesto parere, resta fondamentale quando si discute di libri. State bene.
“Tu sei come me”, dice il vampiro dodicenne al coetaneo umano che ha appena scoperto la sua natura. E’ vero: se potesse, il bambino Oskar ucciderebbe i bulli che lo picchiano e lo insultano. Ma vive nel mondo degli uomini e deve sottostare alle sue regole: per questo, si limita ad accoltellare un albero fingendo che si tratti del suo persecutore. Il vampiro Eli non ha costrizioni e può uccidere: ma soltanto per continuare a vivere.
Questo è il momento rivelatore di Lasciami entrare, uno dei migliori film sui vampiri degli ultimi tempi, tratto da un romanzo che affronta con oscura delicatezza il tema dei ritornanti. Film (di Tomas Alfredson) e libro (di John Ajvide Lindqvist) sono entrambi svedesi e prediligono al colpo di scena e agli effetti speciali la normalità di un’amicizia fra disperati. Senza redenzione finale: Eli è e resta un predatore, e anche quando gioca con un cubo di Rubik le sue unghie sono incrostate di sangue.
La feroce malinconia della storia ha avuto riscontri più che positivi: il film, da pochi giorni nelle sale italiane, ha collezionato premi su premi, e un remake americano a firma di Matt Reeves è già in lavorazione. Il libro, pubblicato in Italia da Marsilio e uscito nel 2004 in Svezia, ha elevato allo status di autore di best-seller un ex prestigiatore ed ex cabarettista di Stoccolma. Il merito di Lindqvist, però, non è soltanto quello di aver portato agli onori delle classifiche l’horror svedese (“l’horror non è poco comune nel mio paese- ha dichiarato lo scrittore alla rivista Horror Magazine – non esiste proprio. Anche se io ho avuto tanto successo coi miei libri, continua a non esserci nessun altro romanziere dell’orrore in Svezia”). Soprattutto, Lindqvist ha restituito dignità, valore simbolico e potenza mitica alla figura stessa del vampiro. Mai così diffusa, soprattutto in Italia. Mai così tradita.
La parola vampiro, nei tempi recenti, si associa infatti a una fisionomia ben precisa: ha i capelli color bronzo, lo sguardo ardente e le buone maniere di Edward Cullen, principe più adatto al castello di Biancaneve che a quello di Dracula. La tetralogia di Twilight di cui è protagonista, creata da Stephenie Meyer, è da mesi in testa alle classifiche dei libri più venduti, complice l’uscita del film tratto dal primo volume e il quasi contemporaneo arrivo in libreria dell’ultimo capitolo della saga, Breaking Dawn.
Cullen beve solo sangue animale e rispetta gli umani: qualcosa di inedito, e forse di profondamente sbagliato, nella letteratura fantastica. Come notavano anni fa nel saggio Le vampire i due studiosi Arianna Conti e Franco Pezzini, i vampiri sono, sempre, sintomo di ribellione a-ideologica al conformismo. Cullen incarna l’esatto contrario. Invece di essere portatore di una non morale, ne ripristina una. Invece di spezzare le norme comunitarie, se ne fa portatore: è integrato nella società umana, impone il matrimonio alla sua amata Bella, rimandando il contatto sessuale a dopo le nozze, non intende farne una sua simile mordendola. E, non casualmente, il sole, indispensabile agli umani e fatale per i non-morti, non lo uccide, ma lo fa brillare come un gioiello.
Il modello Cullen si estende a non pochi dei numerosissimi libri sui vampiri usciti in questi ultimi tempi. Newton Compton ha mandato in stampa due dei quattro volumi de Il diario del vampiro di Lisa J. Smith, autrice specializzata in romanzi per giovani adulti e vampiri innamorati. La casa editrice ReNoir pubblica un’accoppiata romanzo più serie manga che si chiama Vampire Kisses .di Ellen Schreiber, dove si narra la storia d’amore fra una goth-girl di nero vestita e il bel ritornante Sterling. Ovunque, ci si imbatte in modelli più o meno estremi di inserimento dei vampiri nella società degli uomini, con la perdita della loro parte aliena. Avviene in manga come Vampire Knight e nell’acclamatissimo serial televisivo True Blood, nato dai romanzi di Charlaine Harris e in arrivo su Fox Italia a marzo.
Dunque, quel che predomina è un sovrannaturale addomesticato, che si rende identico al naturale. Mentre la dimensione altra del mondo dovrebbe, per parafrasare Stephen King, colare a poco a poco nella nostra, come liquido dal fondo di un sacchetto di carta. Contaminandola. Questa, per King, è la paura. Che è anche la parola chiave del nostro tempo: e forse è proprio l’accresciuto timore verso quel che ci è estraneo a spingere gli scrittori ad ammorbidire la figura mitica più spaventosa dell’immaginario. I vampiri sono morti che tornano. Sono, dunque, incarnazione di una tremenda anomalia sociale. Peggio: la estendono attraverso il contagio, rendendoci contemporaneamente vittime e colpevoli, come raccontò in modo esemplare Abel Ferrara in un film di oltre dieci anni fa, The Addiction, dove il vampirismo si diffonde rabbiosamente col morso di una studentessa (una versione più morbida dello stessa tema è in un altro romanzo pubblicato recentemente da Fazi, Vampirus di Scott Westerfeld).
Di contagio (il male subito porta a commetterne altro) parla anche il semiologo Renato Giovannoli in un saggio pubblicato da Medusa, Il caso Manzoni-Dracula e altri casi di vampirismo letterario. E di contagio parla Lindqvist: ne fa, anzi, uno dei punti di forza di Lasciami entrare. Eli diffonde il male, anche se suo malgrado. Contagia il suo ex-protettore umano, un pedofilo ossessionato dal desiderio di possederla, al punto di non trovare requie neanche dopo la non-morte. Contagia Virginia, una donna alcolista, che respinge il suo nuovo status e cerca volontariamente la fine esponendosi alla luce (il sole, qui, consuma la pelle dei vampiri come acido). Non contagia Oskar: non fisicamente, almeno, anche se una delle pagine più belle del romanzo è dedicata al timore del bambino di essere diventato un vampiro (o di essere un omosessuale, quando scopre che Eli non è esattamente una femmina). L’influenza di Eli è semmai mentale: perché dopo averla incontrata Oskar troverà il coraggio di reagire, anche con la violenza, ai suoi aguzzini.
C’ è una parola serba, ocajinik, che in tempi lontani indicava il morto che torna e che ora significa semplicemente “infelice”. Il portatore di contagio fa paura ed ha paura, perché è solo. La solitudine unisce Eli e Oskar. La solitudine è quella che affligge gli zombi di un altro magnifico romanzo di Lindqvist uscito per Marsilio, L’estate dei morti viventi. La solitudine condanna coloro che si allontanano dal contesto sociale, come dimostra Gianfranco Manfredi in un altro romanzo sul tema, Ho freddo, uscito per Gargoyle, dove l’autore risale alle origini storiche del vampirismo dimostrando come la rabbia e la paura degli umani producano catastrofi peggiori di un paio di canini aguzzi.
Negli indifferenti anni Ottanta in cui è ambientata la storia di Lindqvist, esseri umani picchiano, sniffano, bevono, insidiano bambini. Eppure, è Eli la loro paura. Perché non appartiene all’umanità, non ha un sesso, non ha dimora. Poco conta che sia capace di provare tenerezza davanti a un giocattolo e di lasciare messaggi d’amore a Oskar usando i dialoghi di Romeo e Giulietta. Infatti, non sarà lei a integrarsi: sarà Oskar a trasgredire ogni possibile norma pur di restarle vicino, allontanandosi per sempre dalla comunità. I docili vampiri di Stephenie Meyer, al contrario, cercano con ogni mezzo di adeguarsi al mondo umano: facendo propri gli aspetti superflui del medesimo, come le automobili lussuose e le carte di credito da donare alla fidanzata.
Ma l’horror, dice Lindqvist, non deve rassicurare, bensì mostrare “le cose in agguato degli angoli bui. Del mondo. Della mente”. Per questo, forse, la fila di quattordicenni davanti a me, alla fine di Lasciami entrare, borbottava uscendo che, peccato, il film era un’altra cosa rispetto a Twilight.
Se questo era il tuo modo di dimostrare quello che sai fare quanto parli di letteratura, beh, l’hai dimostrato. Una bella risposta, dunque. E un bell’esempio di come si possano analizzare i fenomeni di costume senza demonizzarli né incensarli. Ma cercando di capire il perché del loro successo. E la categoria dell’addomesticamento del perturbante funziona per un sacco di fenomeni letterari. Davvero stimolante.
Non ho ancora visto il film che non voglio assolutamente perdere. Quando ho letto il libro di questo scrittore che non conoscevo, ho trovato la storia bellissima, di una delicatezza infinita perchè non è solo questione di vampiri ma soprattutto parla del difficile periodo dell’adolescenza dove Oskar si trova ad affrontare i soliti bulli della scuola e nell’amicizia/amore con Eli trova la forza di superare le avversità.
Questo articolo è fantastico. Delizioso. Punto.
Per chi legge in lingua inglese: “The Uncanny”, di Nicholas Royle, un lungo saggio che approfondisce la questione.
ecco, sì, non solo lit-blog, potrebbe essere il giusto nome di lipperatura. in una piccola città dove vivevo, fino a 20 anni fa c’erano 3 librerie ben fornite. poi una chiuse, dopo un po’ chiuse anche un’altra, e l’ultima rimasta oggi è diventata una cartolibreria, ha cambiato nome, l’insegna dice: “non solo libri”, quasi a rassicurare i clienti. dentro, i pochi volumi esposti sono semisommersi dagli zainetti delle winx, i pupazzetti dei vampiri, i comics, le playstation e i videogiochi.
Ti senti rassicurato, Sergio? Mi fa piacere. Io, invece, mi sento sempre meno rassicurata dall’invasione dei SuperEgo. Meglio i pupazzetti: sono più onesti. 🙂
Ps. Francesco, grazie!
Ma io non compro quella roba Loredana, sono mica un cliente. Io ci vado perché mi piace la commessa 🙂
Non che io sia un fan della saga di Belle ed Edward Cullen (ma ho una figlia in età da Twilight, e questo comporta dei doveri paterni di lettura e visione): ma almeno due spunti di riflessione sulle prime due puntate della saga sono riuscito a produrli.
1. Confrontate l’aspetto fisico di Edward, l’oggetto del desiderio erotico della fanciulla, con l’autoritratto di Foscolo: «solcata ho la fronte, occhi incavati intenti / crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto / labbro tumido acceso, e tersi denti». E collegate l’impressionante somiglianza con l’evoluzione dell’immaginario erotico dall’eroe romantico (pallido, bisessuale, quasi androgino) al macho vittoriano, tutto muscoli e bistecche rosse, all’interno del quale (come ha dimostrato Mosse) nasce l’omofobia moderna. Non è neutro, e non è forse neanche un caso, il ritorno all’immagine del maschio ambiguo: Johnny Depp è sicuramente più democratico, dal punto di vista estetico, di John Wayne e Charlton Heston.
2. Confrontate il vampiro di Bram Stoker, incapace di dominare gli istinti bestiali, ai vampiri “vegetariani” della famiglia Cullen. E confrontate quello che al tempo di Stoker si credeva fosse la natura animale con quello che oggi sappiamo dell’intelligenza dei viventi non umani. Stephanie Meyer non avrebbe mai potuto pensare un vampiro dotato di autocontrollo prima di Konrad Lorenz: i suoi vampiri rendono più facile pensare all’esistenza di diritti inalienabili anche per i viventi non umani.
Grande articolo, Lippa. Ma anche ottime note, Girolamo. Come chiarisce correttissimamente “gamberetta” quelli della Meyer sono “Gnokki”, non vampiri, punto. La mutazione è davvero inaccettabile? Il successo degli “gnokki” al cinema e nei libri, sembra indicare il contrario…
Beh, Girolamo. Interessante il parallelo Cullen-Foscolo anche se mi fa venire il mal di pancia (amavo Foscolo). Però siamo un passetto oltre e un passetto di lato. Il ritorno dell’eroe romantico in mutate vesti è reale: con il particolare che questo post-post eroe annienta l’atmosfera di sconfinamento che invece ai romantici apparteneva. Cullen, insomma, non singhiozza e non sogna: sono sicura che nella missing scene del romanzo porta Bella al centro commerciale. Non è solo (presumibilmente) democratico: è integrato. Senza neanche un pezzettino di Apocalisse.
Quanto al discorso dell’autocontrollo: vero, ma ci era arrivata prima Anne Rice. Con forza molto, ma molto maggiore.
PS. La carta dei diritti per non umani mi sta benissimo, comunque.
Attenti che se si fa la carta dei diritti per non umani Ferrara la estrapolerà dal contesto per rilanciare la campagna contro l’aborto 😉
Tira vento in Partito del Nord.
Finalmente un articolo ad ampio respiro sul vampiro moderno!
I “succhiasangue” affascinano ed intimoriscono da sempre per la loro diversità, e perchè rappresentano un collegamento con la morte.
Cos’ha di attraente Edward, a parte l’avvenenza fisica? Dopo secoli di “non vita” sulla Terra, un eterno liceale finisce per innamorarsi di una fanciulla senza alcun tipo di interesse che passa il tempo a sospirare.
Ad ogni modo, se invita gli adolescenti a staccarsi dalla De Filippi per buttarsi sui libri, ben venga anche Twilight.
Buongiorno,
ho letto ieri su Le Repubblica il suo articolo, inerente alla presenza della figura del vampiro, nella letteratura recente.
L’ho letto con molto interesse, anche perché da poco tempo ho terminato la lettura dei quattro libri della saga di Stephenie Meyer, dedicata al vampiro Edward Cullen.
Ho letto i quattro libri della Meyer per pura curiosità intellettuale, dato che se sta facendo un gran parlare.
Posso dirle che il personaggio di Edward Cullen, come vampiro, è del tutto inedito. Su questo concordo pienamente, se non altro perché appare più come un gentiluomo primo-novecentesco, che come un essere assetato di sangue.
Il fatto che Cullen sia addomesticato, cibandosi di sangue animale, e che abbia scelto di vivere pacificamente tra gli uomini, non mi pare, però, che diminuisca la sua alienazione. Anzi. Pur vivendo nel mondo umano, assumendone gli aspetti più superflui, come lei giustamente nota, (denaro, carte di credito, macchine lussuose e lussi d’ogni genere), Cullen resta sempre ai margini. Non ha contatti con nessun essere umano. Solo con Bella, la donna da lui amata, egli istaura un vero rapporto, per la prima volta.
La solitudine, l’emarginazione e l’auto-emarginazione di questo essere, è un aspetto che mi pare emerga nei libri della Meyer. Certo, Cullen non fa paura, non è spaventoso. Ma gli uomini lo tengono a distanza e lui se ne tiene a distanza. Solo Bella, la protagonista umana, lo avvicina per prima, e si lascerà avvicinare. Ma Cullen resta, anche una volta istaurata la relazione con Bella, in una posizione intermedia: è un non-morto, che non ha più una vita, anche se continua a vivere sotto altre spoglie. Non è più umano, ma non è neppure un vero e proprio vampiro, dato che ha scelto di non uccidere e di non cibarsi di sangue umano. Vive tra gli uomini, ma se ne sta ai margini. E’ un essere che sta a metà. Sospeso tra la vita e la morte, tra il mondo umano e quello dei vampiri, senza appartenere a nessuno di essi.
In realtà, i vampiri della Meyer sono più alienati rispetto ai loro colleghi della letteratura classica. Perché sono vampiri, ma non si comportano come tali. Un’alienazione maggiore, sia rispetto agli uomini, di cui vivono il lato più effimero e superficiale della vita, sia rispetto al mondo dei vampiri normali che invece uccidono e succhiano sangue umano. Come un vero vampiro dovrebbe fare.
L’addomesticamento forzato di questi esseri non li avvicina al nostro mondo, e li allontana dal loro. Non so, ma a mio avviso, sono più inquietanti questi vampiri, di quelli veri e propri. I vampiri della Meyer non sono spaventosi…ma davvero, non appartenendo a nessuna dimensione precisa, recano con sé l’inquietudine dello “stare in mezzo”.
Un’inquietudine velata e sottile, che resta in sordina. E poco importa se al sole essi risplendono, invece di bruciare cpme tutti gli altri vampiri. Poco importa se le loro maniere sono gentili ed eleganti (ma forse, solo per recitare una parte che sia “accettabile” nella più generale farsa umana.)
La loro bellezza angelica, il loro splendore, non è che una finta apparenza della loro condizione di esseri sospesi. Esseri non più umani, ma non per questo morti. Esseri che si comportano come la maggioranza degli uomini vogliono che si comportino, ma senza per questo essere accolti pienamente nel loro mondo. Esseri incapaci addirittura di comportarsi come dei veri vampriri.
L’alienazione risulta con più forza.
Claudia
(dpottoranda in discipline filosofiche, SNS di Pisa)
Non mi piace affatto la compiacenza che nell’immaginario collettivo si rivolge ultimamente alla figura mitologica dei vampiri, e a mio parere è un segno dei tempi e del tipo di società. Il vampiro, per es. in Stoker, non è un diverso, un povero emarginato. E’ l’incarnazione dell’abuso del potere e del privilegio, un ex umano che per raggiungere l’immortalità e la forza (fisica, sessuale) non si fa scrupoli di ammazzare la gente, di solito non del suo stesso rango sociale. In più, è il simbolo della scorciatoia, del compromesso, del rifiuto della morte e della vecchiaia, del non essere disposti a pagare nulla a parte l’anima, ma tanto nell’epoca della fine delle ideologie, in cui “morale” è una brutta parola, che vuoi che conti l’anima?
La nostra società è profondamente vampiresca: sfrutta le risorse naturali senza nulla ridare, non accetta i limiti che le vengono imposti dal contingente (il pianeta) o dal trascendente (la morale… e Dio, che è tornato a essere una brutta parola), diventa ricca, immortale e opulenta sulla pelle di altri esseri umani, guarda caso di rango sociale inferiore.
Ecco, a me un immaginario in cui i vampiri non sono più i cattivi mi preoccupa un po’.
E se sta Meyer ha avuto semplicemente la furba idea di trasformare il vampiro in eroe? Anzi, visti i suoi poteri, in super-eroe?
Fino ad adesso l’eroe delle storie di vampiri era l’umano che riusciva a sconfiggerli, se il protagonista positivo diventa il vampiro ovvio che debba perdere le caratteristiche mostruose e omicide per somigliare a un tipico raddrizza-torti invincibile.
Insomma, il “sovrannaturale addomesticato” non è più una storia “de paura”, ma la solita storia.
E infatti, Nautilus.
Qui pare che si perda di vista qualche punto. Scusami Claudia, ma per quanto riguarda Meyer quel che si perde di vista è semplice: lei non ha scritto un horror, e basta. Lo ha dichiarato in prima persona (a me, fra l’altro). Ha scritto una storia romantica dove, per puro caso, il principe azzurro è un vampiro.
Ciò detto, non è neanche vero che Cullen sia un emarginato. Ha la sua famiglia (tribù) perfettamente solidale. Ha rapporti, sia pur discordanti, con altri esseri della sua stirpe. Nè mi sembra di cogliere l’inquietudine: se non quella comune a molti adolescenti e giovani di essere accettati e di affermarsi come individui. Ma queste sono caratteristiche molto umane, non Altre.
E, Daxman, ho qualche dubbio sulla lettura del vampiro come simbolo del potere. Il succhiasangue di classe non mi convince: anche perchè ancora un piccolo passo e, senza rendercene conto, finiamo dritti nel grande equivoco che ha consegnato Tolkien alla destra. Quando si parla di Alterità e di Fantastico il punto di vista, a mio parere, dovrebbe essere quello sottolineato con semplicità ed efficacia da Lindqvist. Sono le nostre tenebre, individuali (e anche sociali, ma non nell’ottica di cui sopra) a venire osservate. Se vogliamo, è il benedetto Senso del Sacro di cui molto laicismo sta facendo allegramente polpette confondendolo con l’anticlericalismo.
Sottilità, direbbe Stephen King.
In Lindqvist la sottilità c’è.
In Meyer no.
“è il benedetto Senso del Sacro di cui molto laicismo sta facendo allegramente polpette confondendolo con l’anticlericalismo”.
Cavoli Lippa, questa frase che hai detto è importantissima. Però mi rendo conto che se dovessi dare una definizione sintetica e “semplice” (non banale) di “Senso del Sacro” avrei qualche difficoltà. Chi mi aiuta?
Da quello che mi ricordo di aver letto, sig.ra Lipperini (o Loredana? qui le danno tutti del tu, ma non so se perché la conoscono personalmente), uno dei motivi alla base del folklore sul vampiro nell’est Europa è proprio l’identificazione con i potenti che “succhiano il sangue” ai poveri. Non c’è niente di male a trasformare in metafora fantastica un aspetto reale (sia esso sociale, politico o esistenziale), anzi è proprio attraverso questo, secondo me, che il fantastico si nobilita. Sennò, almeno a mio parere, è solo castelli in aria. Inoltre, e so che qui scandalizzerò lei e molti altri, io sono di quelli che pensa che l’immaginario di Tolkien sia noioso, pesante e, sì, reazionario.
“Lasciami entrare” deve essere davvero un bel libro.
Puoi darmi del tu tranquillamente Daxman, figurati. Beh, il folklore, invece, secondo gli studi di Barber, non parlava affatto di potenti, nè di ricchi, nè di poveri. La leggenda del vampiro nasce dal timore del morto che torna. Timore antichissimo, peraltro, e radicato in tutte le culture. Quindi da una anomalia sociale, appunto. Non è una questione di classe, ma di tenere a bada quel che non si conosce: la morte, nel caso.
Il punto su cui discordiamo, e ci torno appena ho un secondo di tempo, è che il fantastico non ha alcun bisogno di essere nobilitato.
I toni politici li introduce Stoker, nella figura del vampiro. Dracula è il residuo di un’epoca passata e oscura che fa il passo più lungo della gamba arrivando nella civile ed evoluta inghilterra e viene spazzato via. C’è un misto di positivismo (l’avversario di Dracula è un uomo di scienza) e di ideologia vittoriana (cade vittima di Dracula Lucy, che rispetto a Mina è meno aderente alle convenzioni sociali). Dracula è sì un simbolo negativo di oppressione, ma da un punto di vista etnocentrico, perché Stoker gli oppone come modello virtuoso una potenza coloniale che va in giro per il mondo a renderlo più civile.
Poi non credo neanch’io che il fantastico vada “nobilitato”. E’ vero che ha un valore aggiunto quando viene usato per gettare uno sguardo inconsueto sul nostro “reale”, ma non capisco che cosa ci sarebbe di male in del buon fantastico fine a se stesso (tipo, che so, le storie di Lankhmar di Leiber)
Rispondo a “Lalipperini”
Che la Meyer non abbia scritto un horror è vero. Che il principe azzurro dei suoi romanzi sia casualmente un vampiro, anche.
A parte il fatto che, sinceramente, avrei preferito che Cullen fosse un vampiro vero e proprio, ma comunque, a me sembra (ma è un’idea mia) che la tribù dei Cullen viva comunque separata, sia rispetto agli esseri umani, sia rispetto alle altre comunità di vampiri che invece succhiano sangue umano (nei libri della Meyer, vampiri veri e propri che uccidono e succhiano sangue ci sono e non a caso sono i rivali dei Cullen).
Edward Cullen, poi, non è né carne né pesce. Sospeso, senza appartenere ad una categoria definita. Ecco perché ho parlato di effetto straniante. Almeno, io lo vedo così. Come un alienato, rispetto agli umani e rispetto ai suoi simili: è l’eroe buono per antonomasia. Non fa una piega, mai una sbavatura: è bello, ricco e pure gentiluomo. Forse anche banale nei suoi connotati così classici e perfetti. Di sicuro è un vampiro anomalo. I suoi “colleghi” non sono così. Non sono buoni né si interessano di salvare vite umane. E in fin dei conti, anche parecchi umani sono meno buoni di lui.
Anche se la Meyer non si sofferma sulla solitudine o sull’emarginazione di questo personaggio (se non qualche volta, en passant), io questo effetto l’ho sentito durante la lettura.
Vabbé, si sa…su ciascuno di noi i libri hanno effetti diversi e comunicano impressioni diverse. Indipendentemente dalla volontà dell’autore.
Uno finisce per riscriverselo un pò il libro che legge, dentro la sua testa.
saluti
A proposito di super-Ego.
Nelle produzioni letterarie e cinematografiche più recenti, nella fattispecie dalla Rice in poi, si è affinato il modello del vampiro vincente: consumato da conflitti, intrappolato in eterno nella prigione dei sensi, portatore del fardello di una bestia interiore che lo avvicina più agli uomini che ai “consanguinei”, trova la scappatoia da tutte le insidie intra- e inter-psichiche nel super-Narcisismo, non nel super-Ego.
Non ha mai tendenze di controllo sul macro-sociale o manie di grandezza. Non è lo scienziato pazzo che vuole conquistare il mondo. Non cerca potere.
Viceversa, è padrone di una nicchia di soggetti-oggetti veneranti, esercita fascinazione su una cerchia ristretta di giovani uomini o donne, punta dritto al controllo delle loro emozioni – e dei loro desideri, e infine dei loro corpi.
Qui sta il punto. Il vampiro-narciso deve per forza essere “nobilitato” nell’appeal (dalla pettinatura al vestiario cool) e nel differente approccio al suo stato di ritornante, non vivente tra i viventi. E l’autore di turno lo segnala con i fattori più al passo coi tempi.
Era così Louis, ancor più Lestat (forse l’esempio più riuscito, a seguito del suo desiderio di suonare per una folla adorante in un concerto simbolico di outing collettivo), lo è senz’altro il miserevole Cullen (che annovero per onor di cronaca, essendo un puro tratteggio o spot di MTV), lo sono i nuovi vampiri di True Blood (sensualità e narcisismo si sprecano). Tutti di matrice letteraria.
Sfuggono invece i vampiri suggeriti da altri media: per esempio Blade e le bestiacce di “30 giorni di notte” provengono da comics, e si sente. Per non dire dei vampiri/lycan, puro estetismo.
Cambia però, al passo con i modelli estetici, la connotazione visiva: dal gothic-punk, hard-rock vampiro della Rice, agli emo-nostalgici più recenti, fino agli invece recentissimi “Gnokki punto e basta”.
Super-Narcisismo, egoico sì, ma iniettato sempre in una vena più piccola…
Mi ero dimenticato di firmare l’intervento sopra.
Aggiungo che il notevole serial True Blood (se ne parlerà molto presto anche in Italia, Sky lo trasmette a Marzo), tratto dai romanzi sulla telepatica Sookie Stackhouse, è da annoverare tra le produzioni spartiacque: attinge a piene mani dal vampiro della “White Wolf”, una casa editrice specializzata in giochi di ruolo, molto in auge negli anni ’90 per il suo gioco Vampiri: La Masquerade. Proprio questa matrice “compilativa” lo rende sfacettato e intrigante, una boccata di ossigeno.
Poi la vicenda dei Southern Vampires è veramente commisurata alla provincia USA, alla Lansdale: bel tratteggio della Lousiana e delle sue ambiguità. Vene sempre più piccole…
Lippa Lippa Lippa!!!
Ho visto il film stanotte, scaricato dal mulo in fretta e furia.
Ricordavo che da qualche parte ne avevi parlato. Ma all’epoca ero in Canadà, circondato dallo stesso ghiaccio che quasi lenisce il colore del sangue di questi morti…
Veramente bello, strano, e carico di atmosfera senza uso di effettistica banale. Ce n’è poca ma messa bene. Riusciremo mai a vedere qualcosa del genere in Italia? Mi pare che Mirta\Luna abbia qualcosa di Eli, anche lei non si redime, né viene redenta.
Ma al Cinema, ahimè, finché non ci sarà un Ekerot De Laurentiis la vedo dura!
Grande segnalazione. A sto punto mi tocca leggere il libro, sperando di non aver già avuto tutto il meglio. Anche perché non sono riuscito a capire dove Oskar porti la vampira alla fine…