TRE RIGHE SU TOLKIEN

Su Repubblica di oggi, si apprende del giudizio di Elio Vittorini su Tolkien: Vittorini, infatti, suggerisce a Mondadori di “scartare” Il signore degli anelli: in accordo con Vittorio Sereni, scrive:  «Escluderei la possibilità di arrischiare un esperimento».

33 pensieri su “TRE RIGHE SU TOLKIEN

  1. Sereni ha in carniere un bek po’ di rifiuti “illustri”.
    Su GIAP, abbiamo di recente ricordato con Wu Ming 1 il rifiuto di Sereni alla pubblicazione di S. King.
    G.C. Ferretti, nel suo “Poeta e di poeti funzionario. Il lavoro editoriale di Vittorio Sereni” (Il Saggiatore, 1999) traccia un profilo molto eloquente del Sereni funzionario Mondadori: attento a non esagerare, a non abbandonare la tradizione, a non offrire ai lettori autori “rischiosi” e “pericolosi” e “pruriginosi” (ad esempio lo Ian Fleming della serie di 007)…

  2. Beh, non mi stupisco… Il Signore degli Anelli è stato un serio candidato al no persino nel Regno Unito! A quale anno risale il rifiuto di Sereni&Vittorini?

  3. “che problema c’è?”
    C’è che, se si ha voglia e interesse e passione per l’ambiente culturale, vale la pena di chiedersi come alcuni autori stranieri siano arrivati in Italia, come alcuni autori italiani siano arrivati a essere pubblicati. Chi lavorava in una casa editrice o in un’altra? Come venivano letti, valutati e scelti i testi da pubblicare? Saperne di più sulla storia dell’editoria aiuta a capire meglio le linee di sviluppo della cultura. Provare a riflettere sulle scelte editoriali di funzionari che erano anche scrittori può aiutare a inquadrare meglio la loro figura nella letteratura italiana…
    @ barbara,
    Vittorini ha lavorato in varie case editrici (Einaudi, Bompiani, Mondadori), ricoprendo varie funzioni. Ha quindi esplorato in lungo e in largo il lavoro editoriale.
    Se qualcuno è interessato, Ferretti ha dedicato un libro anche a Vittorini: L’editore Vittorini (Einaudi 1992).

  4. Zauberei, all’epoca non era questione di fiuto né di marketing. Non esisteva un pubblico massiccio fedele al fantasy, e quasi non esisteva il fantasy. E dunque, ipse dixit “Escluderei la possibilità di arrischiare un esperimento”.

  5. Stranamente ormai son d’accordo con Binaghi su tutto e anch’io ribadisco qual è il problema?
    @danae: riprendendo il titolo di un saggio recente, meno letteratura, per favore!
    Questo bisogno di pedagogia con ringraziamenti inclusi (poi chi non sa che Vittorini leggeva e cassava e scriveva ma non da casa?).

  6. boh! non avevo per nulla un intento pedagogico, ma semplicemente ho voluto rispondere a una domanda…
    Sulla questione “pubblichiamo Tolkien o no?”, secondo me può essere interessante sapere che Vittorini e Sereni hanno detto no. Qualcuno potrà dire: “Ma guarda questi!! Si davano grandi arie da letterati, e però non capivano molto della letteratura straniera! Che gran toppa hanno preso!”, altri invece: “E ti credo! Non valeva mica la pena pubblicarlo!”. Altri, magari, potranno articolare il commento, magari in base a quanto conoscono.
    Insomma, non “c’è una problema”, ma forse l’occasione di parlare ancora un po’ di editoria.

  7. Si davano grandi arie da letterati e hanno “toppato”? Sì in effetti non c’è alcunché di provocatorio. Niente di personale.

  8. Non è la prima volta che leggo di grandi autori-curatori rifiutare un libro poi destinato a diventare opera rilevante. Accadde per Il Gattopardo di T. di Lampedusa, per Guido Morselli con Calvino. Accadeva, forse, anche per motivazioni culturali, non soltanto editoriali, come per il caso Tolkien.

  9. Sottoscrivo Pietro Fratta.
    Niente di nuovo,cose sempre accadute,anche a Proust,a Melville,a Conan Doyle,T.S.Eliot,Joyce,Joseph Roth,Garcia Màrquez,Kundera…
    Di fronte a questa lista,ci sarebbe da chiedersi qualcosa sulla professionalità di chi li ha rifiutati e di chi invece li ha pubblicati,a prescindere da altri tipi di censure non editoriali come,ad esempio, per Orwell e Lawrence.

  10. Da sempre gli editori ci proteggono da quel 90% di ogni cosa che, si sa, è scheisse. Senza di loro, invece dei 163 nuovi titoli al giorno ne avremmo 1630 e a quel punto, davvero, l’unica alternativa sarebbe rileggere e basta perchè la contemporaneità diverrebbe per noi un libro chiuso. Un po’ lo stesso principio per cui se i partiti non riducessero le alternative ci troveremmo a scegliere per 100000 candidati a ogni elezione, rendendo priva di senso la scelta.
    Del resto, questo è il futuro di cui già vediamo l’alba.
    Vero, a volte certi editori rifiutano libri di valore. Non vengono pubblicati? No, li pubblica qualcun’altro. Infatti tutti i titoli citati qui sono di autori famosi e canonici. Perchè nessuno dice che Vittorini bocciò un libro di suo nonno o che Calvino non si accorse della grandezza di zia Teresa?
    Il gioco di dire ADESSO che qualcuno si è sbagliato nel non riconoscere il best seller o il long seller è un giochetto truccato che serve a sentirsi intelligenti senza sforzo ne’ merito. A meno di non ammettere che, di fronte all’offerta letteraria del momento, la nostra capacità di giudizio – anzi la nostra ‘professionalità’ – non sarebbe in alcun modo migliore di quelli che hanno corsi i loro rischi, magari sbagliando. Non c’è molto merito nell’indovinare il vincitore del campionato dopo l’ultima giornata: il difficile è dirlo alla prima, no?

  11. Quanto ci viene offerto oggi è quasi sempre il 90% di scheisse di quei 163 titoli giornalieri,la maggior parte dei quali vegeta sugli scaffali.
    Alla buon’ora,vorrebbe forse che ne fossimo sommersi da 1630?Che si starebbero a fare allora gli addetti ai lavori?
    Il gioco non è di adesso,visto che altri editori allora li han pubblicati senza aspettare la fine del campionato.Magari qualche merito lo avranno pure?
    Non serve a sentirsi intelligenti,solo ad annotare fatti,e
    vista la lista tutt’altro che completa digli autori non proprio trascurabili, qualche domanda bisognerà pur porsela,non trova?

  12. Posso? No, Vittorini non aveva tutti i torti. E’ interessante la formula che usa: «Escluderei la possibilità di arrischiare un esperimento». Si sarebbe trattato di un esperimento rischioso, in effetti, per quei tempi. Ma queste parole aprono un scenario ucronico affascinante, in cui quell’intellighenzia egemone nella cultura del dopoguerra e attiva nelle grandi case editrici poteva decidere l’azzardo e traghettare per prima Tolkien in Italia, cambiando radicalmente le sorti di questo autore nel nostro paese (e forse quelle di tutta la letteratura fantastica).

  13. Quasi Ot. Vittorini che io amo molto come inventore del Politecnico ( in mia opinion rivista migliore non si è più vista sotto questi cieli e forse in pochi altri) e poco come autore, immagino vedesse il Signore degli Anelli come una sorta di harmorny dei tempi suoi, Ha sbagliato. Qualcun altro ha rimediato. Per quanto mi riguarda dal punto di vista numerico il disastro del paese è nel numero dei lettori, non in quello che si pubblica.

  14. Trovo la segnalazione interessante. Sarebbe utile però avere modo di contestualizzarla maggiormente (a partire dall’anno in cui tale giudizio fu formulato. La Mondadori in effetti ha avuto un ruolo molto importante (nel bene e nel male) nella diffusione della fantascienza in Italia attraverso Urania. Ancora verso la fine degli anni 70 ricordo che presentando un romanzo fantasy nella collana sentiva il bisogno di giustificarsi in quarta di copertina. Insomma da quelle parti il pregiudizio sul fantasy era ancora forte. E solo qualche anno dopo cominciò a pubblicare libri dichiaratamente fantasy senza peraltro dedicarcisi mai con particolare entusiasmo. Forse da qualche parte stanno ancora a rosicare per avere lasciato che un long seller come il Signore degli Anelli sia andato in mano alla piccola concorrente Rusconi. In tema di ucronia, se non avessero dato retta a Vittorini adesso in edicola avremmo, accanto a Urania, Fantàsia…

  15. Questa notizia è succulente, come accenna anche Wu Ming 4 come dato sulla sorte e connotazioni della letteratura fantastica in italia.
    Il romanzo di Tolkien si è diffuso nel mondo anglosassone tra il 1955 e gli anni sessanta, dividendo l’opinione pubblica della critica.
    Quali era l’habitat culturale e editoriale da noi, tale da rendere la pubblicazione del Lord of The Rings un esperimento da non arrischiarsi a fare?
    D.

  16. A me pare che non si tratti di una questione di poco conto. Non è semplicemente un andare a sindacare sulle scelte di un editor di collana (pur se autorevolissimo) che per distrazione o chissà cosa altro ha deciso di scrivere il suo “no”. A interessarmi molto è cercare di capire se a scrivere quel no sia stata tutta un’area politica di riferimento o meglio (come direbbero gli stessi WM) un inconscio politico. E qui il calendario gioca un ruolo molto importante ai fini dell’interpretazione. Se non ricordo male il 1962  si trova a cinque anni dalla pubblicazione inglese della trilogia. E, per quanto ne so, successive tracce di una seria presa in considerazione del manoscritto appariranno cinque anni più tardi in Italia, nel 1967 ad opera dell’editore Ubaldini (quello di Astrolabio). Ma bisognerà aspettare il 1973 per poterlo vedere in libreria.
    Insomma, penso di poter dire, un lentissimo processo digestivo nelle pance di parecchi intellettuali italiani dell’epoca (anche se, ovviamente, i mezzi tecnici e i tempi di reazione di quegli anni non possono in alcun modo essere paragonati a quelli di oggi).
    La cronaca editoriale di questo manoscritto assume un contorno particolarmente emblematico (e spinoso) dal momento che, come tutti sappiamo, andrà a concludere il suo iter in un area difficilmente equivocabile quanto ad orientamento attraverso la casa editrice Rusconi.
    Ma, in più, tutto questo ha fatto in modo che le sorti del genere di appartenenza del SdA, anzi probabilmente proprio il suo testo fondativo nella percezione comune, cioè il fantasy, siano state irrimediabilmente viziate da un pregiudizio che ancora adesso si fa una gran fatica a smontare: «ma come, alla tua età stai ancora dietro a queste stron storie più adatte ad una utenza meno matura?»
    Poi, sarà poco, personalmente mi sto convincendo che (non solo ma anche) parte delle sorti attuali della destra italiana abbiano trovato in quelle pagine la loro linfa identitaria e simbolica, che ha permesso, a tutta una generazione di (ex) giovani, di emanciparsi da una sparuta dirigenza nostalgica caparbiamente fuori tempo e fuori posto. Insomma, forse molti di loro (non solo, ma anche) adesso ci stanno governando anche grazie a Tolkien. Bum.
    Non proprio una questione di poco conto.
    Dico questo perché mi piacerebbe che fosse sgombro il campo da un vizio (sorry) italiano fra i più fastidiosi, a mio avviso: il “peccato originale” è stato sicuramente carico di conseguenze ma credo sia ingiusto addossarlo solo sopra un paio di spalle (quelle di Vittorini o di Sereni).
    Fra l’altro, su Repubblica si dice che: «[Vittorini] lo bocciava [Tolkien] dopo una lunga discussione interna».
    Ecco: ci fosse un audio di quella discussione o almeno una trascrizione, sarebbe non poco illuminante.
    Insomma: chi sa, parli! 🙂
    PS – qui c’è l’immagine della scheda di lettura di Vittorini del 1962 e un bel post da parte della Associazione Romana Studi Tolkieniani.

  17. L’inconscio politico è duro a morire.
    Basta vedere l’ostinazione con cui si continua a definire Tolkien un autore “fantasy”, anzichè riconoscergli il respiro epico che ha.
    La cultura post-resistenza, che pure ha avuto tanti meriti, era cieca da un occhio, prigioniera di una concezione angusta di realismo, la stessa che oggi fa preferire ad alcuni minimalismi ombelicali a romanzi di vasta costruzione e di respiro storico.
    Ma c’è anche il pendolarismo cosmico dello yin e dello yang.
    Dicendo più sopra “che problema c’è?”, volevo semplicemente rassegnarmi a quelle che ho imparato a riconoscere come oscillazioni polari (ed epocali) del gusto.

  18. Tolkien. Non letto in lingua. Grande ambientazione, ma scrittura talmente piana, forse volutamente piana, da non avermi emozionato granchè. Forse sarò io, tanto che non mi entusiasma più di tanto neanche un altro peso massimo dell’epica fantastica come Asimov ma stravedo per le tamarrate giapponesi in formato anime…

  19. Del resto abbiamo avuto Pratt, le sorelle Giussani, Valentina, ecc. ma la maggiorparte di noi considera ancora il fumetto/cartone animato un contenuto (da bambini) invece di un medium. Idem per il fantasy, cosa aggravata dal ripetersi degli stereotipi. Maperchè?

  20. Be’, ma Vittorini mica ha detto che il libro faceva schifo. Ha detto che era rischioso pubblicarlo. Magari si riferiva ai rischi “politici” di pubblicare un testo gia’ allora molto controverso (a torto o a ragione non importa).
    Ma se anche cosi’ non fosse, e si trattasse davvero di abbaglio, be’, e’ in ottima compagnia: io se fossi uno dei 12 editori che rifiutarono Harry Potter forse mi sarei gia’ suicidato.

  21. Non conosco molto l’ambiente editoriale, ma immagino che, allora come ora, si cercassero di pubblicare libri con un potenziale mercato – insomma, i libri li volevano vendere, non pubblicavano solo per benificenza.
    Nel 1962 mi viene da pensare che il mercato non fosse pronto: andavano cose diverse, veramente diverse. Do ragione al comitato editoriale, anche da tolkieniana di ferro. Quanto alla miopia politica… mah, sotto questo aspetto erano miopi in parecchi, anche i lettori, direi.
    Magari ci sarebbe da chiedersi come mai il discorso non venne ripreso alla fine degli anni 60, quando LOTR diventò un best seller in America, con tanto di spillette “Frodo is alive”. A posteriori (che si sa che è più facile prevedere le temperature di ieri che quelle di domani) mi sembra che il momento giusto sarebbe stato dopo il 1967.
    Comunque la Mondadori pagò pegno nel 1976, quando in mancanza d’altro dovette ripiegare sulla Spada di Shannara, che è un calco di LOTR ma molto, molto andante ^__^

  22. Letti i commenti di Vittorini e Sereni, mi sembra che giudizi nettamente negativi sul romanzo in sé non ce ne siano. Per il resto, le note sono troppo succinte e sbrigative per valutare il perché i due non ritenessero di pubblicare il SdA. Mi sembra quindi inutile sollevare questioni che si basano su ipotesi infondate. @ Sir Robin… ma che c’entra??? Ora i sopravvissuti dei campi Hobbit ci governano per colpa degli Hobbit… e io che pensavo fosse stato il voto popolare ! E comunque Tolkien lo leggevano i ragazzi di destra come quelli di sinistra, solo che i secondi non lo ammettevano! 😉

  23. @ Murasaki
    Per quel poco che ne so, penso di poter dire che allora si cercasse di privilegiare più un discorso di catalogo, cioè si puntava a non lasciarsi scappare opere di sicuro respiro e di spessore pur se non proprio appaganti nel breve periodo. E senza grossi strepiti. Il contrario di quanto avviene oggi ^__^. Non che anche allora non ci si preoccupasse di avere una appetibilità commerciale, però si faceva più attenzione alla costruzione di un discorso coerente quanto a titoli ed autori che andavano a tracciare l’identità della casa editrice o della collana. Credo. Poi siamo nel posto giusto per cercare chiarimenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto