TRE (SEGNALAZIONI, E NON SOLO)

Tre segnalazioni.
La prima, di servizio: domani sera sarò a Berlino, a Mondolibro, nell’ambito della rassegna Alice allo specchio, per raccontare l’intera trilogia sulle donne.
La seconda, di approfondimento: Laura Boldrini rompe un tabù per quanto riguarda la rete. Leggete l’intervista e pensateci su.
La terza, di ringraziamento: sempre su Repubblica esce oggi la recensione di Elena Stancanelli a “L’ho uccisa perché l’amavo”, scritto con Michela Murgia. La posto qui sotto.

Quando un uomo uccide una donna compie un femminicidio. Abbiamo battezzato questo crimine con una parola goffa. Lo sappiamo: pazienza. Serviva un termine esatto, per dare specificità a un crimine che si stava nascondendo tra gli altri. Esistono i morti per mafia, le vittime della strada, gli infanticidi… Da adesso chi scanna la moglie, la compagna, la fidanzata è un femminicida. Un nome è una cornice, chiama attenzione. L’attenzione è il tema del pamphlet scritto da Loredana Lipperini e Michela Murgia, pubblicato da Laterza nella collana Idòla. Un energico pamphlet che fin dal titolo — iconico e irrituale: “L’ho uccisa perché l’amavo. (Falso!)” — svela il suo carattere intemperante, verso la volgarità ideologica, verso la disattenzione colpevole, soprattutto dei giornali. «L’ex confessa: l’amavo più della mia vita», «pronuncia il nome dell’ex fidanzato: strangolata per gelosia», «L’ho uccisa durante un lungo abbraccio» «Lo tradiva, perde la testa e le dà fuoco» e ultimo e sublime per la sua ossimorica insensatezza: «L’ha uccisa perché non voleva perderla».
Sono titoli apparsi in questi anni, soprattutto negli ultimi due, da quando il femminicidio ha assunto proporzioni che chiamano allarme. Le due scrittrici, con voce limpida e un’oratoria inoppugnabile, per un centinaio di pagine smontano teoremi, svelano schemi mentali ammuffiti, ribadiscono cifre. Nel 2012 sono state ammazzate cento donne. È un numero che conosciamo, l’abbiamo scritto, gridato per strada, l’abbiamo recitato e ballato perché fosse chiaro a tutti. Una donna uccisa ogni tre giorni. Per dare un’idea della progressione, Murgia e Lipperini scrivono che, nel 1991, l’11 per cento delle persone uccise in Italia era donna, mentre adesso siamo intorno al 25. Una vittima su quattro. Una donna che muore «in famiglia», colpita da chi aveva amato, da chi dichiarava e dichiarerà inseguito di amarla perdutamente.
La prima cosa da fare, spiegano le due scrittrici, è eliminare dal contesto dell’omicidio la parola amore. Nei titoli dei giornali, ma anche nella nostra testa, perché un reato è anche l’humus culturale nel quale cresce. Amore, gelosia, abbandono. Ogni volta che scriviamo di un uomo che non ha retto alla separazione, i cui nervi hanno ceduto all’idea di non poter star più con quella donna e quindi l’ha ammazzata, compiamo a nostra volta un crimine: spostiamo la responsabilità dal carnefice alla vittima.
L’azione è il coltello, la corda, la pistola. È lui che ammazza, non lei che se ne va. Nelle nostre società — dal punto di vista legale e anche morale — non ci sono circostanze che consentono l’omicidio. Da quando, nel 1981, è stato abolito il delitto d’onore rimane soltanto la legittima difesa. Soltanto se si tratta di decidere tra la tua vita e quella di chi ti sta attaccando, nella nostra civiltà è lecito uccidere. Niente pena di morte, prese di distanza dai poliziotti violenti, una scarsa seduzione nei confronti delle armi. Eppure, quando si tratta si donne, la reprimenda sociale sfuma leggermente. Secondo Murgia e Lipperini questo avviene, soprattutto, per una distorta e impresentabile idea di possesso: tu sei mia, e come tale dispongo di te. Se scappi, ti uccido. Neanche le bestie, neanche i cani.
Per smontare questo schifoso teorema occorre un tempo, lo sappiamo. Ma è necessario che in questo tempo non si pensino le cose sbagliate. Sono le donne, di nuovo, è il femminismo ad aver colpa, qualcuno dice e scrive. Quella smania di libertà e indipendenza che umilia i maschi. Costa a me, deve essere costato a Murgia e Lipperini riportare un ragionamento così rozzo, prendere atto di una inerzia terribile che, innestandosi su una generale crisi, genera mostri. Uomini che non ci aspetteremmo più di incontrare, pensieri che speravamo dissolti. Invece no, e quindi con pazienza torniamo a spiegare che le società si muovono, gli esseri umani progrediscono, le donne aspettano ancora diritti. Che non esiste, non è mai esistito, quel luogo edenico di armonia tra i sessi, dove ognuno compiva il suo dovere in letizia. Quella famiglia, quei ruoli erano il frutto di una sottomissione da una parte e di un comando dall’altra. Che ogni convivenza è un accordo tra le parti, e qualsiasi conflitto, chiunque riguardi e di qualsiasi natura, non è di per sé un abominio. Dovrebbe anzi essere un laboratorio, un modo per capire e crescere. Se questo diventerà impossibile, se i maschi non sapranno reggere lo scontro con le femmine per spartirsi compiti e premi, vorrà dire che nasceranno società separate, comunità omosessuali, come in alcune specie animali. I cinghiali, per esempio, vivono così. Se non riusciremo più a convivere ci separeremo, andando a vivere in due territori diversi, che varcheremo soltanto per procreare, come fanno i cinghiali. I quali, come è noto, non praticano l’omicidio su base sessuale, come del resto la maggior parte degli animali.

8 pensieri su “TRE (SEGNALAZIONI, E NON SOLO)

  1. Molto ficcante la recensione di Elena, brava.
    E, purtroppo, molto interessante l’intervista di De Gregorio a Boldrini. Abbiamo subito tutti la violenza della rete (spesso nel nome di una falsa libertà d’espressione), ma l’accanimento di genere, l’esplicita violenza sessuale è ancora più odiosa.
    Mia figlia ha 13 anni e ormai la rete la bazzica. Ogni tanto mi chiedo: dove la sto lasciando andare?

  2. Mah, io sono stato a Perugia con un paio di amici a sentire De Gregorio e Iacona parlare di femminicidio, la sala era piena e c’erano molti giovani e molte giovani. Uno dei miei amici tempo fa comprò Ancora dalla parte delle bambine, perché me l’ero portato in vacanza e si era incuriosito. Poi lo ha regalato a sua sorella. è stato bello e toccante, certo Iacona insisteva sull’inasprimento delle pene, ma pure ovviamente sull’aspetto della gelosia. Questo per aprire una parentesi che riguarda il modo in cui si parla d’amore. Credo che sia troppo semplice pensare che c’è un amore buono e uno cattivo, oppure che in questi casi non si tratti di amore. La cultura del possesso riguarda tutt*. De Gregorio poi si è inerpicata sui neuroni specchio per dire in due secondi che maschi e femmine reagiscono in maniera diversa quando assistono da piccoli a scene di violenza, senza ulteriori e necessarie spiegazioni. Cosa utile, ma dà sempre questa idea della differenza. E qui arrivo alla recensione della Stancanelli, che mi innervosisce: a parte la solita incapacità di interpretare le cifre, immagino dipenda dal fatto che la matematica è odiata da tutti, che diavolo c’entra il finale animalistico e apocalittico? “se i maschi non sapranno reggere lo scontro”?

  3. Shane, per me il problema non è la gelosia in sè, sono le persone che non sanno o non vogliono gestirla e rendono infernale la vita a sè e alle persona che hanno accanto.

  4. ho sempre fatto facile ironia sul fatto che molte donne subissero il fascino della divisa.Ma ultimamente facendo i conti col principio di realtà mi rendo conto che forse è un fenomeno da valutare alla luce del fatto che,almeno in via teorica(e con tutte le eccezioni del caso),un rappresentante della legge si astiene dall’essere un manesco,e dal tenere comportamenti che da qualsiasi parte li si guardi tracimano una psicopatia antropologica decisamente trascurata
    http://www.youtube.com/watch?v=aSiU1T_w0-8

  5. Ho letto troppo Massimo Carlotto (et al.) per immaginarmi il rappresentante della legge che si astiene dall’ essere manesco. Ma volendo, visto che ci sono sempre quelli a cui piacciono le cifre, potremmo anche contare i suicidi in carcere e riparlarne

  6. Caro Shane/ex faccina, sono un paio di volte che fai riferimento alle cifre, e a me questo discorso interessa. Perché non espliciti meglio queste perplessità? Se vuoi, ne parliamo.

  7. @ Maurizio
    premetto che scrivo solo perché mi interessa e perché mi pare utile essere critici e sinceri, nel rispetto degli altri.
    beh, in riferimento alla sola recensione ( sono perplesso anche sul termine a questo punto: prima è omnicomprensivo; poi specifica verso la categoria relazionale, che però lascia fuori le sex worker uccise. Allora tutta questa chiarezza dov’è? ) penso che non ha letto bene il capitolo 6 del libro che recensisce e che inoltre faccia un errore che trovo nel capitolo stesso. Per esempio scrive che il fenomeno ha assunto proporzioni allarmanti, senza specificare se sia “cresciuto il fenomeno in sé” o l’attenzione che riceve. Poi usa le percenutali, che di per sé ancora non dicono nulla ( nel capitolo 6 si capisce ciò, c’è il riferimento allo studio di Barbagli, ma uno ci può arrivare anche da solo ) per parlare di progressione.
    credo che nel capitolo sul negazionismo si faccia lo stesso errore che fa Marcello Adriano Mazzola ( tra l’altro quando uscì il suo post sul fatto online, passai due giorni a discutere con chi era d’accordo con lui, immagino inutilmente ). Ovvero non sono i numeri che possono dire se esiste o meno un fenomeno, possono solo dirci quanto è rilevante statisticamente ( comunque dato che parliamo di vite umane la statistica passa in secondo piano ), e se varia quantitativamente. Il femminicidio esiste se il suo significato trova corrispondenza con la realtà. Poi le donne possono anche non venir uccise mai, il femminicidio resta tale. E trovo problematico parlare di aumento del fenomeno: intanto perché la percentuale delle donne sul totale delle vittime come parametro è inutile, se la mafia tornasse ad ammazzare come un tempo la percentuale diminuirebbe anche a parità di vittime nel tempo, poi qualcuno potrebbe sempre dire che un terzo dei crimini viene commesso da stranieri ( non conosco le cifre sui femminicidi ). Inoltre stiamo parlando di un comportamento che ha talmente tante variabili nel suo manifestarsi che dire che aumenta o diminuisce anno per anno lascia il tempo che trova. Capisco che sia già stato arduo farlo emergere dal silenzio e che ci sia l’urgenza delle misure preventive che necessitano di fondi.
    In definitiva sono perplessità di poco conto, però se una fa la giornalista e scrive una recensione, vorrei un po’ più d’attenzione. ciao

  8. @Shane Drinion: ho letto, ti rispondo appena ho un momento. Adesso scusami, ma sono un po’ preso dal lavoro. Per quanto riguarda la tua tenzone con i fan di Mazzola, sei già fortunato che non ti abbiano censurato. Io mandai un commento molto circostanziato, ma non sono mai riuscito a vederlo pubblicato. Avrei preso parte volentieri a quella discussione, ma evidentemente il mio argomentare non era gradito.

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